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“IL GONDOLIERE CINESE” (SUPERNOVAEDIZIONI)

cover

(In uscita a fine maggio 2013)

 

http://ilgondolierecinese.wordpress.com/

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A TUTTI GLI EDITORI POTENZIALMENTE IN LINEA CON LE MIE COLLANE (DI PERLE WEBBICHE)
 
propongo l’opera: 

«BEST OF “CAZZEGGI LETTERARI” (2005-2012)»

(50 cluster tematici con i migliori post di Lucio Angelini)

Email: nomecognome@alice.it

Nota Bene: in caso di querela, si avverte che tutte le conversazioni riportate sono confortate da rigorosa documentazione fotografica.

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INDICE  

BOCL N.1 (UNO PSICHIATRA ALLA MIA TAVOLA) su 3 maggio 2012

BOCL N.2 (APPENDICE AL BOCL N.1) su 4 maggio 2012

BOCL N.3 (POMPINI A CAPOTE) su 5 maggio 2012

BOCL N.4 (OLIMPO PER BEOTI) su7 maggio 2012

BOCL N. 5 (UNO SCHERZO DI IGINO DOMANIN) su 8 maggio 2012

BOCL N.6 (OMAGGIO A P. BIANCHI) su 9 maggio 2012

BOCL N.7 (L’INFINITO È UNA GOCCIA DI PIPÌ) su 10 maggio 2012

BOCL N.8 (A VOIO FARE EL SCRITORE) su 11 maggio 2012

BOCL N.9 (IL SALAME ALLA CACCIATORA) su 12 maggio 2012

BOCL N.10 (VIVA LA MAMMA!) su 13 maggio 2012

BOCL N. 11 (LA LULULEIDE) su 15 maggio 2012

BOCL N.12 (LUCIO ANGELINI RACCONTA “HITLER” DI GIUSEPPE GENNA) su 16 maggio 2012

BOCL N. 13 (PREMIATA DITTA NULLO & BICE) su 17 maggio 2012

BOCL N.14 (UN COMPLEANNO IN TRANSUMANZA) su 18 maggio 2012

BOCL N.15 (CURIOSITÀ VENEZIANE) su 21 maggio 2012

BOCL N. 16 (LE MIE TRADUZIONI) su 22 maggio 2012

BOCL N. 17 (SERGIO GARUFI: “IOOOOO E BORGES”) su 23 maggio 2012

BOCL N. 18 (JORGE LUIS BORGES RACCONTA “IL NOME GIUSTO” DI SERGIO GARUFI) su 24 maggio 2012

BOCL N. 19 (LOSING MY RELIGION) su 25 maggio 2012

BOCL N. 20 (LETTERATURA E VITA, MERDA E LUCE) su 28 maggio 2012

BOCL N. 21 (VALERIO EVANGELISTI A FANO) su 29 maggio 2012

BOCL N. 21 (UN NOVEMBRE ROSSO FLOYD) su 30 maggio 2012

[vacca boia, c’è un doppione, dovrei rinumerare… lo farò in seguito:-)  ]

BOCL N.22 (ALLA MANIERA DI WU MING 1) su 31 maggio 2012

BOCL N. 23 (LOVE IS A FORCE OF NATURE) su 1 giugno 2012 

BOCL N. 24 (L’ALLEGRA RISPOSTA DI MADRE NATURA) su 4 giugno 2012 

BOCL N. 25 (HOARDING, ORDINE E DISORDINE) su 5 giugno 2012 

BOCL N. 26 (RICORDANDO SALINGER) su 6 giugno 2012 

BOCL N.27 (L’AVVENTURA VIBRISSELIBRI 1.) su 7 giugno 2012 

BOCL N.28 (L’ AVVENTURA VIBRISSELIBRI 2.) su 8 giugno 2012 

BOCL N. 29 (L’AVVENTURA VIBRISSELIBRI 3.) su 9 giugno 2012 

BOCL N. 30 (CATTIVO FIN DALL’INIZIO?) su 11 giugno 2012 

BOCL N. 31 (A CACCIA DI NIDI DI CAVALLA) su 12 giugno 2012

 BOCL N. 32 (COLORADO KID O DEL MISTERO NON SVELATO) su 13 giugno 2012

 BOCL N. 33 (BLOG E BLOOK 1.) su 14 giugno 2012 

BOCL N. 34 (BLOG E BLOOK 2.) su 15 giugno 2012

BOCL N. 35 (BOOK E BLOOK 3.) su 18 giugno 2012 

BOCL N. 36 (SPETTRI) su 19 giugno 2012

BOCL N.37 (NELLA CAVERNA DEL COSTATO DI CRISTO) su 20 giugno 2012

BOCL N. 38 (LA BUFALA DEL NEW ITALIAN EPIC 1.) su 21 giugno 2012

BOCL N. 39 (LA BUFALA DEL NEW ITALIAN EPIC 2.) su 22 giugno 2012

BOCL N. 40 (LA BUFALA DEL NEW ITALIAN EPIC 3.) su 25 giugno 2012

BOCL N. 41 (SIMONA VINCI È USCITA DAL NIUSGRUPP0) su 26 giugno 2012

BOCL N. 42 (IL PADRE NECESSARIO) su 27 giugno 2012

BOCL N. 43 (PIERSANDRO PALLAVICINI: SIZE DOES MATTER!) su 28 giugno 2012

BOCL N. 44 (CANDIDA COME TE) su 29 giugno 2012

BOCL N. 45 (ALTRI RAGAZZINI DELLA LETTERATURA) su 2 luglio 2012

BOCL N. 46 (LOREDANA LIPPERINI: LA NOTTE DELLA BLOGGER) su 3 luglio 2012

BOCL N. 47 (VENEZIA) su 5 luglio 2012

BOCL N. 48 (PUPÙ RI DI RANDOM POST 1.) su 9 luglio 2012

BOCL N. 49 (PUPÙ RI DI RANDOM POST 2.) su 10 luglio 2012

BOCL N. 50 (LUCIO SE NE VA) su 11 luglio 2012

BOCL N. 50 (LUCIO SE NE VA)

 

CIAO, LUCIO

1 aprile 2008

Lucio Angelini, il conduttore di questo blog, ci ha lasciati qualche ora fa.

(Il webmaster)

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COMMENTI

17 Risposte a “CIAO, LUCIO”

  1. kinglear Dice:
    1 aprile 2008 alle 12:15 CIAO, LUCIO

Mi sarebbe piaciuto
piantarti un paletto
nel cuore
bene a fondo,
o anche solo un bastone
su per il culo,
non con malizia però
Avrei voluto indicarti
il tramonto sulle Alpi
e portarti a conoscere
la vecchia capra
che mi ha iniziato al sesso
ormai tanti e tanti anni fa
Mi sarebbe poi piaciuto un sacco
tagliarmi i polsi davanti a te
per dimostrarti una volta
per tutte che anch’io ho sangue
e lagrime nelle vene
come tutti i tuoi personaggi
finiti male in un “c’era una volta…”
Ora tutto questo
non è più possibile
Hai dato le spalle
a nemici amici e committenti
allo stesso modo:
tutti ti hanno visto sculettare via
al pari d’una Marilyn,
e a me non resta
che il ricordo di te,
di com’era bello litigare
e poi ancora litigare
per far infine la pace
senza più scoregge in bocca

Vorrei potessi sentire
la rabbia che ho in corpo,
vorrei che la sentissi sul serio:
non hai idea – no che non ce l’hai –
di che meteorismo sono capace
quando m’incazzo e resto solo
con la testa fra le mani a pensare
per ben oltre dieci piani di morbidezza
fino a toccare delle nuvole l’altezza

Sei andato via
Ma nell’aria c’è, nell’aria c’è
resistente ancora forte l’odor di te

Ciao Lucio, ciao, ciao Lucio ciao

:-D

  1. giacomob Dice:
    1 aprile 2008 alle 14:13  Sono letteralmente senza parole. Ho conosciuto poco Lucio e solo ieri ci siamo sentiti via mail per parlare di lavoro… non so proprio che dire ma, del resto, cosa si può dire in casi del genere? Niente, assolutamente niente. Buon viaggio Lucio, ciao.
  2. kinglear Dice:
    1 aprile 2008 alle 16:11  Mi hanno riferito, con le lacrime agli occhi, che ha trovato la fine in fondo a un burrone. E’ inciampato a quanto se ne sa… la dinamica non è chiara… forse ci sarà un’inchiesta. 😥
  3. utente anonimo Dice:
    1 aprile 2008 alle 16:21 Vi prego ditemi che non è vero!
    Marzia
  4. GajaC Dice:
    1 aprile 2008 alle 16:40  io dico solo che oggi è il primo aprile, e che se proprio lucio vuole morire – dopo questo post – lo uccido IO con le mie sante manine innocenti!!LUCIOOOOOOOOOOOOO!!!
  5. giacomob Dice:
    1 aprile 2008 alle 16:49  mi sono accorto del primo aprile subito dopo aver lasciato il commento… spero che sia uno scherzo anch’io…
  6. kinglear Dice:
    1 aprile 2008 alle 19:28  Gajetta, sinceramente, non riesco a vederti uccidere qualcuno con le tue manine. Sei troppo dolce, non uccideresti nemmeno quel trollaccio di Iannozzi. Be’, forse lui sì, forse lo faresti fuori proprio, sotto i tuoi piedini. :-DCalzi il 49, vero? O____oIn ogni caso, la mia poesia per Lucio è bellissima. Così bella che a rileggerla mi vengono le lacrime. ^____*
  7. kinglear Dice:
    1 aprile 2008 alle 19:34  Mozzi non si dà pace, dopo aver saputo della dipartita di Lucio. :-D
  8. utente anonimo Dice:
    1 aprile 2008 alle 22:29 IMPRESA POMPE FUNEBRI FRANCIS STONE [Vestizione e preparazione salma.
    Addobbi floreali in camera ardente e durante il funerale, corone e copribara di fiori freschi.
    Disbrigo pratiche su tutto il territorio nazionale.
    Stampa immediata e affissione epigrafi personalizzate, con o senza foto, con mezzi professionali propri.
    Stampa ricordini lutto.
    Organizzazione del funerale con o senza messa al cimitero e con o senza messa in suffragio nella Parrocchia di appartenenza.
    Auto proprie per trasporto salma dal luogo del decesso alla camera ardente.
    Trasporti nazionali ed esteri con mezzi propri. Disbrigo pratiche presso comuni, consolati e ambasciate, passaporti mortuari, assistenza per qualsiasi tipo di sepoltura.
    Cremazioni.
    Ditelo con i fiori, ma ci sono altri modi…
    – ricerca cancro.
    – …………..
    Forniture complete.
    Cofani mortuari semplici, medi, di lusso.
    Lapidi provvisorie.
    Lapidi e monumenti, cripte, bronzi.]
  9. (COFANI: Un vasto assortimento di cofani funebri, da quelli realizzati con i legni più pregiati ai più sobri.
    Mogano, rovere, noce, radica, larice, faggio, abete, ofram, fraké e pressato sono i tipi di legno che i noi utilizziamo per i cofani della nostra collezione, completi naturalmente di imbottiture, accessori e veli coprisalma.)MESSAGGI E CORONE DI FIORI VIRTUALI DAL WEB PER LUCIO ANGELINILa tragedia che ha colpito la vostra famiglia è per noi motivo di dolore. Vogliate gradire le nostre più sentite condoglianze.La perdita subita è per noi motivo di dolore e di sincera commozione.La perdita di una tanto stimata persona ci ha molto colpiti.In una simile circostanza le parole sono inutili. Ci uniamo al vostro dolore.Ci uniamo al vostro dolore per la prematura perdita del caro LucioLe persone come Lui non muoiono per sempre, solo si allontanano. Lo sentiremo sempre nel nostro cuore. Condoglianze.Ricordiamo con affetto il caro Lucio e vi siamo vicini nel vostro dolore.Vi siamo vicini con tutto il nostro affetto.Il caro Lucio vivrà sempre nelle nostre preghiere.

    La triste notizia ci ha veramente colpiti. Condoglianze.

    Vi siamo sinceramente vicini in questa dolorosa circostanza.

    Il grave lutto ci trova sensibilmente vicini alla vostra famiglia.

    E’ con animo mesto che vi siamo vicini in questo terribile giorno.

    Questi fiori siano l’espressione più sentita del nostro sincero cordoglio.

    Sentite e sincere condoglianze.

    La perdita di una tanto stimata persona ci ha molto colpiti. Partecipiamo al vostro dolore.

    Nella terribile solitudine del dolore vi esprimiamo i sensi del nostro più accorato cordoglio.

    Porgiamo alla sua famiglia, nel tragico momento che ci trova uniti le nostre condoglianze.

    L’espressione del nostro cordoglio vi giunga in una così triste circostanza.

    Comprendiamo il vostro dolore e vi siamo vicini.

    In una simile circostanza le parole sono inutili Ci uniamo al vostro dolore.

    Coraggio. Ti siamo vicini

    Vi sono vicino in questa triste situazione e prendo parte al vostro dolore.

    Esprimiamo con grande dolore il nostro cordoglio.

    Il saperci vicini a voi nel dolore, possa portarvi almeno un po’ di coraggio nell’affrontare questo momento.

    In questi momenti le parole non servono ad alleviare il dolore. Vogliate accettare le nostre più sentite condoglianze per la vostra grande perdita.

    Vicini nel dolore porgiamo sentite condoglianze.

    Veramente dispiaciuti per l’improvvisa scomparsa del vostro caro, Vi siamo sinceramente vicini

    Il saperci vicini possa alleviare il vostro dolore.

    In un evento così doloroso non possiamo che dirvi la nostra amicizia.

    La morte non ci porta via completamente la persona amata, rimane sempre il suo ricordo che ci incita a continuare. Coraggio.

    Non possiamo esprimere il dolore avuto nell’apprendere la triste notizia. Sentite condoglianze.

    Comprendiamo e ci uniamo al vostro dolore per la precoce perdita del caro Lucio

    Dolenti per la grave perdita porgiamo le nostre condoglianze

    Dispiaciuti per la disgrazia che vi ha colpiti partecipiamo al Vostro pianto.

    In questo momento il Vostro dolore è il nostro.

    Non Potendo essere vicino a voi in questa triste circostanze sappiate che il mio affetto è con voi.

    Sapendo quanto fosse grande l’affetto che vi univa, Prego che Dio vi dia la forza per superare questo triste Momento.

    So che le parole sono poca cosa in momenti come questi, ma il mio cuore è con voi.

    Vorrei esserti vicino in questo triste momento, lascia che almeno le mie parole ti possano essere di conforto.

    Anch’io ho affrontato un distacco come questo. Ti sia di conforto che il dolore, con il tempo, viene sostituito da un dolcissimo ricordo.

    Il tuo dolore è immenso, affidati a Dio. Solo Lui ti Può aiutare

    (fonte degli annunci: http://www.publiweb.com/service/condoglianze_frasi.html)

    kinglear Dice:
    2 aprile 2008 alle 06:40  LUCIOOO… LUCIOOO… LUCIOOO…
    LUCIOOO… LUCIOOO… LUCIOOO…
    LUCIOOO… LUCIOOO… LUCIOOO…
    LUCIOOO… LUCIOOO… LUCIOOO…
    LUCIOOO… LUCIOOO… LUCIOOO…
    LUCIOOO… LUCIOOO… LUCIOOO…
    LUCIOOO… LUCIOOO… LUCIOOO…
    LUCIOOO… LUCIOOO… LUCIOOO…
    LUCIOOO… LUCIOOO… LUCIOOO…
    LUCIOOO… LUCIOOO… LUCIOOO…
    LUCIOOO… LUCIOOO… LUCIOOO…

  10. Te ne sei andato nel fior degl’anni, per le patrie lettere. Ti ricorderemo sempre per quel che sei stato. Un tenerissimo asinello.

 

 

 

 

 

 

 

 

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DI RITORNO DALL’ADE…

2 aprile 2008

LUCritaglio..

(Lucio Angelini di ritorno dal mondo delle ombre)

Che sciocco, ieri, il mio webmaster. Si è dimenticato di precisare che vi lasciavo, sì, ma solo per qualche ora: il tempo di una capatina in montagna. Eccomi di ritorno fra voi, infatti, immarcescibile come sempre. Spero non abbiate versato troppe lacrime. So che Iannozzi, lì per lì, aveva deciso di farsi bruciare vivo dall’orrendo foco della mia pira come un tempo solevano fare le vedove indiane, ma poi deve aver pensato che sarebbe bastata la dolcezza del suo canto, al pari di quella di Orfeo, a indurre i signori dell’Ade a restituirgli il suo Eurilucio

Ancora più grossa del mio webmaster, a dire il vero, l’hanno combinata quelli di

www.venessia.com

che in occasione del 1° aprile hanno messo all’asta su Ebay il non ancora completato ponte di Calatrava:

http://www.venessia.com/Immagini/ebay.jpg

Su eBay puoi acquistare e vendere di tutto, dagli oggetti di antiquariato alle apparecchiature elettroniche

VENDESI PONTE ORIGINALE DI ARCHITETTO FAMOSO

SUL CANAL GRANDE A VENEZIA CAUSA INUTILIZZO

IL PONTE È NUOVO MA NON ANCORA COLLAUDATO

Prezzo di partenza Euro 99,99

[Immagine da http://www.ansa.it/webimages/large/1636/re211ybfX_20070811.jpg ]

COMMENTI

kinglear Dice:
2 aprile 2008 alle 08:17 modifica

LUCIOOO…
SEI TORNATO DALL’ADE…
DIO NON ESISTE ALLORA!

PENSARE
CHE AVEVO GIA’ PENSATO
DI VENDERE
LE TUE FAVOLE AUTOGRAFATE
AL PEGGIORE OFFERENTE
– DEFICIENTE

LA BUONA NOVELLA
E’ CHE C’HAI IL CERVELLO
PIU’ IN PAPPA DEL MIO

MA QUANTO
TI VOGLIAMO BENE
NON LO SAPRAI MAI!
:-D

  • utente anonimo Dice:
    2 aprile 2008 alle 08:18  “Eccomi di ritorno fra voi,[…]”Peccato!
  • Colpa dei comunisti. Insieme ai cinesi, ci tocca subire anche la concorrenza sleale del Risorto. Dove andremo a finire… avanti il prossimo.IMPRESA POMPE FUNEBRI FRANCIS STONE (f.s.)
  • GajaC Dice:
    2 aprile 2008 alle 08:18  Goditi questi ultimi sprazzi di vita!
    IO – TI – AMMAZZO! e pure un sms ti ho mandato! (con mani tremanti).
    grrrrrrrrrrr
  • utente anonimo Dice:
    2 aprile 2008 alle 08:18  “Eccomi di ritorno fra voi,[…]”Peccato!
  • Lioa Dice:
    2 aprile 2008 alle 08:44  Ripeto, tutta colpa di quello svampito del mio webmaster. Invece di scrivere “ci ha lasciati per qualche ora” ha scritto “ci ha lasciati qualche ora fa”. Grazie a tutti per il cordoglio, comunque. Tenetelo buono per quando schiatto davvero:- )
  • utente anonimo Dice:
    2 aprile 2008 alle 12:01  proprio ieri leggevo la dichiarazione di un cantante inglese – non ricordo piu’ il suo nome -, dopo che un giornale aveva riportato la notizia della sua morte durante una visita a Coventry: “non e’ la prima volta che mi capita di morire a Coventry”.
  • kinglear Dice:
    2 aprile 2008 alle 13:38  Hai fatto piangere anche Gaja. Cattivo.
    Lo sai che m’è toccato consolarla?
    Piangeva come una fontanella, la povera Gaja. E io a darle bacetti, a rassicurarla che tutto si sarebbe risolto. Ma lei niente, piangeva e piangeva, si disperava, poverella. Mi ha fatto fuori tutti i fazzolettini, non so se mi spiego. Poi stanca morta s’è addormentata sulla mia spalla: pareva un angioletto con le gote infiammate dalla disperazione. Al mattino appena sveglia le ho dato un bacetto sull’immacolata fronte. Pareva dimentica di tutto, come se fosse stata vittima d’un incubo. E così capi che aveva perso la verginità una seconda volta. :-DAdesso verrà a uccidere me e non più te, Lucio. ;-)
  • utente anonimo Dice:
    2 aprile 2008 alle 13:57 Dunque: ora vi racconto una storia, perché quello faccio, di mestiere; bene o male, non so. Il 31 marzo viene inviato al blog della mia amica Barbara Garlaschelli un post/lettera d’amore che riguarda Fatucci – un personaggio con il quale sia io che Barbara abbiamo avuto a che fare – e che contiene posizioni ampiamente condivisibili, peraltro molto ben articolate e poste con piglio ironico e diretto che io personalmente condivido. Il mattino del primo aprile, Barbara mi telefona, mi legge il post, e dato che siamo tutte e due davanti a un computer, cerchiamo il blog di Lucio Angelini. E vi troviamo una commemorazione (o quella che pare tale). Ora, poche settimane fa il figlio ventenne e unico di un mio collega è morto per un incidente in montagna, e la vicenda è stata l’inizio di un’impressionante serie di tragedie familiari, a mio parere non ancora conclusa. Chi ha figli può intuire (spero, non comprendere mai e mai toccare con mano) cosa possa significare una morte del genere: è una ferita che non guarisce, e non può in alcun modo essere rievocata da uno scherzo. In più qualche anno fa un mio amico è morto in montagna, in modo analogo. Accade, perché la montagna non è luogo facile, e Lucio Angelini di certo lo sa. Dunque di fronte alla commemorazione presunta – peraltro posta nel modo tipico delle commemorazioni di chi muore in montagna – potete immaginare lo sgomento, sebbene riferito a persona che né io né Barbara conosciamo. E potete anche immaginare che ora a me non scappi per nulla da ridere. Per carità, nessuna predica e nessuna tragedia (per fortuna). Non c’entra neanche il fatto che, pur essendo persona che adora giocare e rovesciare tutto quel che si può in anarchica risata, io non ami le goliardie collettive, del genere, appunto del 1° aprile, carnevale, festa delle matricole, primini e via dicendo. Tuttavia, se posso permettermi, questo particolare scherzo non mi pare riveli una sfolgorante intelligenza, né della mente né del cuore. Si può scherzare quasi su tutto, ma quel “quasi”, a mioparere, è molto importante :-) nicoletta vallorani
  • Lioa Dice:
    2 aprile 2008 alle 20:16  @Nicoletta. Vuoi dire che solo Iannozzi è stato così intuitivo da immaginare che si trattasse di uno scherzo? Eppure c’erano vari indizi: la data, innanzitutto. Il fatto che il comunicato fosse firmato “Il webmaster” (ti risulta che la piattaforma Splinder fornisca anche il servizio necrologi? per giunta alle 7 del mattino?). E chi ha detto, poi, che non si possa scherzare anche sulla MORTE? Conosci la canzone “Marameo perché sei morto?”. Inoltre si trattava della MIA morte, di cui gli amici di rete possono dolersi SOLO fino a un certo punto (i parenti stretti erano avvertiti). Vabbè, pensala come vuoi. Prendo atto della tua opinione, come anche dell’accusa di non possedere una mente SFOLGORANTE. Mi auguro sfolgori di più la tua:- ) Ciao. Un bacio.P.S. Tutto ciò che ho scritto sulla Fatucci è vero al 100%.P.P.S. Grazie per la prefazione a “Tutto il nero delle Marche”.
  • utente anonimo Dice:
    3 aprile 2008 alle 08:09  dai, nessuno deve prendersela per quel che scrivo: è solo che, appunto, con questo genere di scherzo si rischia di toccare tasti dolenti, e non va bene, a mio parere. tutto qui. abbraccio :-)

—————-

27 MAGGIO 2010

I MIEI ILLUSTRATORI: GABRIELA SANNA

lucin1web da te. 
.
Ciao, bambini. Sapete chi sono?
Un vecchio qualsiasi. Mi chiamo Lucio. Ma potete aprirmi e trovare dentro di me gli altri Lucio che sono stato: il Lucio quarantenne, il Lucio giovane sposo,
. 
img066 da te.  

il Lucio adolescente, fino al Lucio più piccino, il più interno di tutti. Alcuni credono che vivere sia come percorrere una lunga strada o attraversare una successione di stanze, lasciandosi alle spalle ogni volta la stanza precedente. Invece, se proprio volete che ve lo dica, noi siamo un po’ come quelle bambole russe di legno, le Matrioske, contenute una nell’altra. Nessuna viene abbandonata. L’ultima bambola, la più grande ed esterna, continua a portarsi dentro tutte le precedenti, fino alla più minuscola. 

Anch’io, quindi, bambini, ho dentro di me il Lucio che andava alle elementari, il Lucio della scuola materna, fino al più piccino di tutti, Lucino… sì, mi chiamavano così, da piccolo: anzi, in dialetto fanese, Lucìn! E se voglio, posso anche salutarlo, il Lucio piccolo nascosto nella parte più interna di me: 

“Ciao Lucìn, sono qua fuori, nel bambolotto esterno. Stai bene lì dentro, al calduccio? Mi raccomando, fai il bravo!”

lucin2web da te. .

Insomma, non dobbiamo dimenticarci degli altri noi stessi che siamo stati e che ci portiamo dentro, altrimenti sono guai. Quando un grande tratta male un piccino, per esempio, è perché non ricorda che dentro di lui si nasconde il bambino che era stato un tempo. 
 
Certo, un giorno moriremo (un giorno lontano, molto lontano!), ma quando l’ultimo bambolo metterà le ali e salirà in cielo, porterà con sé, nel volo, anche tutti gli altri bamboli che ha dentro. Non vi pare bello? Ciao.
.
Lucin3 da te. 
 
.
(Le tre bozze di illustrazioni riportate nel post sono di Gabriela Sanna) 
(Sì, Gabriela con una sola elle)
 
—————— 
 

28 MARZO 2009

SPEGNITI, SPEGNITI, BREVE CANDELA

A chi non è capitato di borbottare, in qualche momento di disappunto:

«Spegniti, spegniti breve candela.
La vita non è che un’ombra che cammina,
un povero attore che si agita e pavoneggia per un’ora sulla scena
e poi nessuno più l’ascolta.
È un racconto narrato da un idiota,
pieno di strepito e di furore, che non significa nulla

o, nella forma inglese (i più colti di voi):

«Out, out brief candle, life’s but a walking shadow, a poor player, that struts and frets his hour upon the stage, and then is heard no more. It is a tale told by and idiot, full of sound and fury, signifying nothing.»

Vabbè, l’avrete già capito: sono reduce dal teatro Goldoni di Venezia, dove è andata in scena l’edizione del MACBETH diretta e interpretata da Gabriele Lavia. Non mi è dispiaciuta, devo dire, malgrado l’ambientazione del dramma ai tempi del nazismo…

Per prigrizia, visto che è sabato, vi rimando alla scheda (con recensioni):

http://www.teatro.org/spettacoli/massimo_vincenzo_bellini/macbeth_1020_2321

e all’audio:

http://it.encarta.msn.com/media_461535509_761562101_-1_1/Shakespeare_Macbeth.html

http://www.youtube.com/watch?v=kuUgUx2p99E

Al momento, tuttavia, più che a spegnere brevi candele, mi predispongo soprattutto a escursionare sui monti Lattari (sopra Amalfi) con ascensione finale alla cima del Vesuvio domenica 5 aprile. Se vi va, potremmo tutti incontrarci sull’orlo del cratere o, come avrebbe senz’altro preferito Malcolm Lowry, Sotto il Vulcano… Un abbraccio a tutti.

(Un tratto del Sentiero degli Dei sui Monti Lattari)

(Immagine di Lavia da http://www.klpteatro.it/images/eventlist/events/macbeth290_1222613905.jpg )

BOCL N. 49 (PUPÙ RI DI RANDOM POST 2.)

MICHELE MARI SULLE SCUOLE DI SCRITTURA CREATIVA

4 febbraio 2011

https://i0.wp.com/www.ilrestodelcarlino.it/modena/cultura/2010/08/05/366438/images/474962-mari.jpg

D. Cosa pensa delle scuole di scrittura creativa, attualmente molto di moda?

R. Sono piuttosto scettico; ho una visione romantica e decisamente solipsistica della letteratura, per la quale credo ci voglia una fortissima vocazione e anche molto autodidattismo: è innanzitutto fondamentale leggere, leggere, leggere. Il fatto che queste scuole abbiano sempre più successo mi stupisce un po’, perché mi sembrano una scorciatoia. Mi verrebbe da dire, a tutti quelli che pagano fior di milioni per frequentare queste scuole: “Prima passate tutta l’infanzia e tutta l’adolescenza a leggere la letteratura di mezzo mondo e poi vedete se vi viene voglia di entrare nello stesso arengo e cimentarvi con gli autori che avete amato”. Secondo me, poi, lo scrittore non deve avere troppe consapevolezze: se ancor prima di scrivere un raccontino o una favoletta già conosce le teorie narratologiche c’è qualcosa che non va, mi sembra.

Da http://francotirature.blogspot.com/2007/01/intervista-michele-mari.html

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11 aprile 2012

VIVERE DI SCRITTURA O DI INSEGNAMENTO DELLA SCRITTURA?

Scrive Chiara Pavan sul Gazzettino del 31 marzo 2012:

“Di sola scrittura, a Nordest, è difficile sopravvivere, «non arriverei al 3 del mese, altro che al 27 – sospira il poeta e scrittore Gian Mario Villalta, direttore artistico di Pordenone Legge, da 30 anni insegnante di materie letterarie in un liceo della sua città… »… «vivere di libri al di sotto delle 10-15 mila copie a titolo è quasi impossibile – osserva lo scrittore triestino Pietro Spirito, giornalista al Piccolo – a meno che non si ricorra ad altre forme di guadagno»… ma alla fine, non è mica obligatorio vivere di libri «io non ci penso nemmeno – il talent scout padovano Giulio Mozzi è diretto – So che i miei libri hanno un piccolo pubblico, ma non ho voglia di costringermi a scrivere un libro l’anno». E lui, che non ama neppure le collaborazioni coi giornali, preferisce dedicarsi all’insegnamento («le mie ore migliori»), di una «cosa chiamata orrendamente scrittura creativa, io preferirei retorica della narrazione», cui poi affianca le importanti esperienze, dapprima per Sironi ed ora per Einaudi Stile Libero, di talent scout. «La mia specialità è scovare autori nuovi dal nulla. La cosa tremenda è che su mille testi che leggo e ricevo all’anno, in media due o tre sono belli. E talvolta, pur essendo belli, sono difficili da far accettare all’editore. Penso che tra un po’ non ne potrò più.”

In un riquadro a parte, titolato “Quando vincere un premio ti risolve la vita“, si segnalano i casi di Tiziano Scarpa e Andrea Molesini. “I premi aiutano perché certificano, ma devono essere importanti per cambiare davvero la vita. Indi Strega o Campiello. E i due veneziani che li hanno vinti confermano… ma ciò che conta è venir tradotti in molte lingue, essere presenti in vari mercati… A Tiziano Scarpa lo Strega ha garantito autonomia finanziaria, «La quota d’autore è cominciata a diventare significativa». Prima, soprattutto negli ultimi 10 anni, lo scrittore e drammaturgo veneziano si manteneva anche con «le letture sceniche, che mi hanno aiutato a vivere».

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MICHELE MARI E LA DIVERSITÀ

2 marzo 2011

“Ci sono persone per le quali il passato è la sola dimensione reale. Per queste persone vivere significa essenzialmente aggiornare il proprio passato; di tale aggiornamento esse hanno coscienza discontinua, apparendo loro talvolta come conservazione, talvolta invece come perdita. È in simili momenti di lutto che queste persone, inorridite dal dilapidante cangiare della vita, chiedono soccorso alla letteratura. Ma la letteratura è dea intollerante, e gelosa della vita esige da loro il sacrificio di ciò che più le ricorda la rivale: va così che quelle persone debbano rinunciare a ciò che più premeva loro, riprodurre la continuità della vita fra il suo accendersi nella nascita e il suo spegnersi nella morte. Può allora capitare che, sconsolate dall’indicibilità di questa pienezza, e angustiate dall’impegno di dover sezionare la vita come macellai, si aggrappino come a una zattera a quei lembi di passato che la vita abbia generosamente già delimitato per loro.” (p. 3)

“Ogni camerata è sede a una Squadra e capisce venticinque brande a castello per un totale di cinquanta posti… [cut]… Ed oh vertigine orrenda, al pensiero (continuamente nutrito dalla crassa evidenza dell’aere) del numero di soldati che respiravano (soprattutto espiravano) nel medesimo ambiente! E all’idea che ogni corridoio collegasse fra loro due macroambienti siffatti! E che grazie alle trombe delle scale, che si aprivano al mezzo del corridoio, ognuno di questi gremiti universi fosse collegato ai superiori (e i superni agli inferni), in un cosmorama ch’io componevo e ricomponevo nella mente sgomenta così: 3 piani, 6 glòmeri di camerate, 30 camerate, 750 brande binate, 1500 giacigli, 3000 polmoni, 1500 bocche e 1500 sfinteri… (cosmorama che si ripeteva identico al lato opposto della caserma, l’occiduo, dove aveva stanza un’altra Compagnia, la I, sulla quale veggansi i capitoli XV e XXXII).” (pp. 16-17)

“Quanto ai cessi ci sono cose… ci sono cose che il tacere è bello, e che nessuna sapienza letteraria varrebbe a riscattare: sappia solo il lettore che le porte (dirute) eran conformi a quelle dei rissosi saloons, e che nonostante tutti gli equilibrismi per non contaminarsi al tatto del cubicolo orrendo, il fruitore rischiava di essere scaraventato in quel botro dal tentativo d’ingresso d’altrui: regolarmente effettuato con un secco e non preavvisato calcione.” (p. 23)

“Per la stessa ragione che mi aveva sconsigliato di portare con me oggetti troppo vistosi, già prima di partire avevo sacrificato la mia amata barba sull’altare dell’anonimato: temevo infatti mi potesse didascalicamente distinguere rendendomi facile meta di lazzi o comunque di non gradita attenzione. Ora, non è che io cercassi di conformarmi in parte all’altrui sembiante per disdegno della diversità in sé stessa o della solitudine, perché come la lunga e macerante pratica degli studi mi aveva isolato dal mondo conculcandomele giorno dopo giorno nella pelle e nella carne, quella diversità e quella solitudine, così di esse avevo preso l’abitudine di compiacermi come di una gran qualità, con la conseguenza di giudicare una debolezza il desiderio, sporadicamente riaffiorante, di una maggiore confidenza o communio con gli altri: altri che vivono, concedevo, vivono la vita vera e non questa cartacea, però nel mio viver riflesso io sòmmi ben più in profondo di quanto sappiansi quelli, però la mia vita si risolve per dialettico incanto in forma superiore di vita, però… però… Però come disse Saba in diversi luoghi del suo librone, è pur bello sentirsi uomo fra gli uomini, e in che modo avrei potuto non desiderarlo mai? Ma appunto io potevo desiderarlo allora, appunto potevo concedermi quel lusso perché conoscevo la mia diversità come un dato a priori e immutabile, una formidabile garanzia che mi avrebbe infallibilmente ricondotto a me stesso al termine di quella vacanza: o meglio, che mi avrebbe segretamente lasciato solo con me pur nel folto dell’esperienza mondana. Sempre sapeva, il sublime Pier Paolo, il momento del ritorno alle ascetiche carte e alla virtù letteraria…” (pp. 43-44)

“Insomma a non farla troppo lunga quand’io pensavo all’anno che mi attendeva lo prefiguravo in questi termini, come un inferno ricco e sapido, a suo modo gustoso, persin divertente, e ruvido e concreto: ma di sopportabile attraversamento solo perché tenevo ben stretta la garanzia del ritorno, come i viandanti che passeranno indenni in una certa foresta a patto di non abbandonare mai il virgulto a forma di ipsilon ricevuto da rugosa vecchina. Solo così potevo accettare la sentenza volgare per cui il servizio militare va fatto perché è comunque ‘ esperienza’: ma anche il taglio della testa è una bella esperienza, anche Empedocle fece una singolare esperienza cadendo nel vulcane: baie: ‘bella’ è solo l’esperienza che consente il ritorno, che dunque ti aggiunge qualcosa attorno, o sopra, ma che non ti riforma le entragne, non ti tocca l’entelechia.” (p. 45)

“Insomma se cercavo la mescolanza non era per viltà, ma per il lusso squisito di sapermi ineguale in quella provvisoria eguaglianza, tanto più eguale a me solo quanto più sembrassi eguale a quegli altri: con il sovrappiù, dunque, di un impagabile gusto dell’inganno: mi aggirerò un anno fra di voi, e non conoscerete mai la mia vera identità…” (p. 46)

(Da Michele Mari, Filologia dell’anfibio – Diario militare-, Editori Laterza 2009 [precedente edizione: Bompiani, 1995])

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18 SETTEMBRE 2011

TORNA IL DEMENZIALE RITO DELL’ AMPOLLA A VENEZIA…



Torna il demenziale RITO DELL’AMPOLLA a Venezia in Riva dei Sette Martiri. Nell’occasione, ripropongo anch’io il mio vecchio racconto:


IL SOGNO DI PATATANIA

I had a dream… ho fatto un sogno”, farfugliò un mattino il signor Bozzi, svegliandosi tutto eccitato.
“Che sogno?”, gli domandò sua moglie, tutt’altro che incuriosita.
“Il sogno di Patatania.”
Patatania? E che roba è?”
“Hai presente il fiume Patato?”
“Ho presente.”
“Be’, ho sognato che i popoli oppressi delle sue sponde facevano la rivoluzione e si staccavano dall’odiato Resto del Paese. Avevano ben diritto ad arrangiarsi per conto loro!”
“Popoli oppressi? E da chi, scusa? Non parliamo tutti la stessa lingua? Non viviamo tutti dentro gli stessi confini? Non siamo cresciuti guardando tutti gli stessi programmi televisivi… be’, si fa per dire. E poi… “
“E poi?”
“E poi è un pezzo che nessuno rispetta più il proverbio ‘Moglie e buoi dei paesi tuoi’. Ci siamo rimescolati in tutti i modi possibili.”
“Paese grande, problemi grandi”, bofonchiò il signor Bozzi. “Paese piccolo, problemi piccoli.”
“Cervello piccolo, pensieri piccoli!”, sospirò sua moglie.
Il signor Bozzi le torse un braccio:
“Devi fidarti di me, hai capito? E batterti per la rivoluzione con me: i Patatani coi Patatani, gli Altri con gli Altri.” 
 
* * *
 
Il mattino dopo fu sua moglie a svegliarsi tutta eccitata.
I had a dream… ebbene sì, ho fatto anch’io il mio bravo sogno.”
“Che sogno?”, la interrogò il signor Bozzi, sospettoso.
“Il sogno di Patatania.”
“Davvero? E com’era?”
“Ah, era bella… e verde… e vivibile, la mia Patatania.”
“Fantastico! Sono riuscito a persuaderti, dunque. Eh sì, con le buone maniere si ottiene sempre tutto. Sei dei nostri, adesso… voglio dire, dei miei!”
“L’avessi vista, Patatania.”
“L’ho vista, l’ho vista. Non dimenticare che l’ho sognata prima di te. Era bella, eh? E verde, e vivibile.”
“Infatti… ma il sogno, un po’ alla volta, si è ingarbugliato.”
“Come sarebbe a dire?”
“Troppa gente, troppe diversità. C’erano tutte quelle famigliacce della Patatania meridionale, per esempio. E allora, sul sogno precedente, si è innestato un nuovo sogno.”
“Che sogno?”
“Il sogno della Patatania del Nord, completamente staccata dal Resto del Paese.”
“Continua.”
“Com’era bella, adesso, la nuova Patatania, la mia Patatania del Nord! Tanto più bella e verde e vivibile della precedente, solo che… “
“Solo che?”
“Solo che il sogno, all’improvviso, si è ingarbugliato di nuovo. Troppa gente. Troppe diversità. C’erano tutti quegli zoticoni del meridione della Patatania del Nord, per esempio. E allora un nuovo sogno si è innestato sul precedente.”
“Che sogno?”
“Il sogno della Patatania del Nord-Nord. Sì, il sogno di staccare la parte superiore della Patatania del Nord dal nuovo Sud. Quanto più bella e verde e vivibile della precedente appariva adesso la mia Patatania del Nord-Nord!”
Il signor Bozzi la squadrò minaccioso. Stava per torcerle di nuovo un braccio, quando sua moglie riprese:
“Ma non era finita, sai?”
“Ah no? E perché?”
“Perché ogni volta, sull’ultimo sogno, si innestava un nuovo sogno. Da un lato, è vero, la mia Patatania del Nord-Nord-Nord-Nord-Nord continuava a rimpicciolire, perdendo sempre nuovi MERIDIONI, dall’altro diventava sempre più bella e verde e vivibile, finché… “
“Finché?”
“Finché, verso il mattino, l’ultimo sogno, il più puro di tutti, non mi ha dischiuso
 
PIANEROTTOLANIA.
 
“Ah, com’era bello e verde il mio pianerottolo! Solo che… “
“Solo che?”, gridò il signor Bozzi, paonazzo in volto, e piegandole definitivamente il braccio.
“Solo che… ahi, mi fai male!”
“Solo che?”, incalzò il signor Bozzi in tono di sfida, con la faccia stravolta.
“Solo che, poi, sono entrata in casa e c’eri… tu”, aveva appena iniziato a dire sua moglie. Ma non ebbe modo di concludere.
 
(Lucio Angelini)

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(Immagini dalla rete)
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MICHELE MARI COSMICAMENTE SOLO

23 marzo 2011

https://i0.wp.com/media-cdn.tripadvisor.com/media/photo-s/01/43/3a/fc/la-torre-che-troneggia.jpg

“Chi è stato a Como avrà sicuramente notato, ritto sulla cima di un colle alle spalle della città (quindi a Sud, e a 432 metri sul livello del mare), una torre quadrangolare, grigia, tozzotta. Quella torre è il Baradello, o vernacolarmente ‘Baradèl’. Costruita fra l’XI e il XII secolo, fu ampliata e fortificata nel 1158 dal Barbarossa nel corso della sua seconda discesa in Italia; nel 1277 Napo Torriani vi fu rinchiuso dal suo mortale nemico l’arcivescovo Ottone Visconti, che l’aveva battuto nella giornata di Desio: vi morì dopo venti mesi di furibonda e impotente solitudine, esattamente dieci anni prima che un altro arcivescovo facesse morire in un’altra torre il più famoso Ugolino della Gherardesca… [cut]… Se la torre si vede da molti punti della città, dalla caserma era impossibile non vederla: soprattutto marciando, quando le nostre evoluzioni ce la proponevano agli occhi un istante sì e un istante no: sfumato pinnacolo grigio schiarito dalla foschia, come un grande menhir che sovrastasse ai nostri destini. Io non ero a Como che da pochi giorni, e già avevo deciso che sarei andato a visitare quel torrione dal nome così triste e musicale: e tutte le volte che lo rivedevo, sentivo in questo proposito come una garanzia (Sì sì, lo so che vigili su di noi, tanto alla fine verrò io da te), come se quella visita avesse dovuto pareggiare i conti, compensando in un punto le centinaia di visite che il Baradello mi aveva e mi avrebbe fatto in quei due mesi… [cut]… me ne partii dunque solo soletto, in fondo non del tutto scontento di affrontare da solo il sornione nemico di pietra… [cut]… Di balza in balza mi facevo sempre più sotto alla torre, che di conseguenza mi appariva sempre più erta e incombente, quasi sul punto di rovinarmi addosso. Nondimeno, man mano che mi avvicinavo sentivo decrescere in me l’originaria ostilità che mi aveva mosso fin lì, e subentrare in sua vece un antagonismo più cordiale, come fra due rivali che cercano di ottenere reciprocamente, insieme alla vittoria sull’altro, la sua stima e la sua amicizia.
La montagna inganna, dicono i saggi, e anche un colle può decipere a lungo un ignaro pellegrino quale io ero. Almeno dieci volte mi credetti arrivato, quasi in grado di toccare le prime pietre del basamento, ed altrettante volte il colle mi deluse costringendomi a nuove svolte e nuove salite: ma alla fine arrivai, com’è naturale, e mi sedetti sui gradoni di uno degli edifici diruti che facevan corona, come famiglia di funghi, alla torre maggiore. Forse per la prima volta dall’inizio del mio servizio militare ero completamente, cosmicamente solo: questo pensiero mi spinse proprio a fare ciò che non avrei dovuto fare per godermi meglio quella solitudine, cioè alzarmi e curiosare tutt’intorno… [cut]… Poi mi ricordai di essere lì per lui, per il Baradello: lo contemplai tutto dal basso in alto, intenzionalmente (Ti contemplo, ti sto contemplando), gli andai vicino, compitai la targa gialla che rievocava il Barbarossa, gli diedi due colpetti con il palmo della mano e capii che la mia ulissica tensione ascensionale si era spenta. Così presto? mi dissi, e presi desolatamente la via della china.”

(Michele Mari, Filologia dell’anfibio – Diario militare, Editori Laterza 2009, pgg. 231-33)


(Immagine da http://media-cdn.tripadvisor.com/media/photo-s/01/43/3a/fc/la-torre-che-troneggia.jpg )

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NUOVI FLAGELLI DELL’EDITORIA: L’EDITOR IPER-INVASIVO

14 marzo 2011

Scriveva nel lontano 2007 Flavio Santi in Nazione Indiana, precisamente nel post

DIAMO TUTTO IL POTERE AGLI EDITOR”:

http://www.nazioneindiana.com/2007/04/14/diamo-tutto-il-potere-agli-editor/

«Si può partire da un’impressione molto prossima alla certezza (già sottolineata da Moresco in un suo intervento in rete): oggi gran parte della letteratura dei secoli passati verrebbe rifiutata dai comitati editoriali delle case editrici. Si pensi soprattutto al secolo per eccellenza del romanzo, l’Ottocento, a capolavori inarrivabili. I romanzi di Balzac sarebbero giudicati troppo lenti e involuti da qualsiasi direttore di collana, così Anna Karenina (“plot troppo lento, manca di dinamismo, sviluppa in ottocento pagine ciò che potrebbe economizzare in cento”) o i Fratelli Karamazov (“troppi fili lasciati sospesi, trama eccessivamente divagante”). Per non parlare di gente come Proust. Ci si trova in una situazione strana e ipocrita (aveva ragione Gramsci a dire che è il vizio italiano per eccellenza): si continua a legittimare – giustamente – la grandezza di questa letteratura, ancora in questi anni si è sentito parlare di nuovo Proust per Alessandro Piperno (!), senza però svelare l’ipocrisia che oggi un’opera come La recherche (che già all’epoca faticò non poco a trovare un editore) verrebbe rifiutata da chiunque. Eppure la collana della “Repubblica” dei classici dell’Ottocento ha funzionato bene. Quindi? Quindi forse il problema è nelle case editrici, ormai troppo atrofizzate in certi parametri, e non nei lettori che sono molto più svegli e intelligenti di come vogliono farceli passare. Tutto questo per ribadire che il lettore vuole libri necessari, e non preconfezionati da furbi (ma fino a che punto poi?) broker editoriali… [cut]… Quindi, per semplificare le cose, ed evitare atroci dubbi futuri, ecco una soluzione: basta con gli autori! che siano gli editor d’ora in poi a firmare i libri! O che comunque si riconosca all’editor non più uno statuto secondario e all’ombra, ma di primaria rilevanza. Tanto per essere chiari: che risulti in copertina con l’autore e non negli stitici ringraziamenti finali. »

Ebbene, si parva licet componere magnis, ecco una mia recente esperienza come scrittore non già inedito, ma con alle spalle otto titoli pubblicati, di cui due tradotti in francese per Flammarion.

“Invio una scelta di miei materiali a un editore per il quale in passato ho eseguito delle traduzioni letterarie. Mi risponde una tizia di cui non so nulla, ma che – come non tarderò ad apprendere – nel giro di pochi mesi riuscirà a farsi sposare dall’editore stesso. Queste le quattro fasi del nostro primo scambio:

1) “Gentile signor Angelini, ho letti i racconti che ci ha mandato: belli! Originali, ben scritti, interessanti. Un romanzo l’ha scritto? Intendo per adulti, come i racconti.”

Mando vari testi. Questa la risposta:

2) “Caro Angelini, sono riuscita a leggere altre sue cose ma – lo ammetto – ancora non tutte! Mi ha fatto molto ridere (perché io amo molto le visioni comico-grottesche del mondo) il racconto sui Pink Floyd anche perché non solo sono mezza veneziana ma c’ero anch’io ai tempi del fantascientifico concerto e conosco a memoria la canzone dei Pitura Freska. Il pezzo (surreale) sulla NIE, sempre dal mio punto di vista, è esilarante. A presto.”

3) “Lo ammetto: mi sto affezionando a lei. Intanto, buon anno! Poi, per quel che riguarda le novità, non saprei da che parte cominciare. Ho fatto fatica a districarmi tra tutti i testi che mi ha mandato. Comunque, in parte li ho letti, in parte li ho fatti leggere e il giudizio è unanime (sempre lo stesso): lei scrive benissimo e la sua scrittura è molto affascinante e originale.”

Aggiungo altre proposte. Questa la risposta:

4) “Non ce l’ha un progetto più semplice con una trama che si possa seguire un po’ meglio?”

Chiedo alla mia interlocutrice se intenda dirmi: “O perde complessità, o si attacca al tram”.

La tipa me lo conferma senza inutili giri di parole.

Scelgo di attaccarmi al tram e mi faccio da parte. Passano alcuni mesi, poi la tipa si rifà viva e mi propone di confezionarle un romanzo di argomento veneziano. Invio una cosa forte, in linea con il tipo di scrittura che mi pare di saper padroneggiare meglio. La tipa, sicuramente più giovane e meno preparata di me, mi fa sapere che sì, continua a pensare che io scriva benissimo, ma che il mio novel non ha soddisfatto i suoi gusti: va RISCRITTO da cima a fondo.
Reagisco dicendo che da un editor non mi aspetto un intervento così INVASIVO da riguardare il 100% dell’opera. Ben vengano suggerimenti e ritocchi, certo, ma a tutto c’è un limite. La invito a dimostrare davvero la fiducia palesata nei confronti del mio tipo di scrittura.

La tipa risponde così: o riscrivo il libro come piace a lei, o non si procede. Per la seconda volta mi faccio da parte, con il sospetto che la mia interlocutrice si diverta un sacco a illudere le persone sbilanciandosi in complimenti esagerati per poi prendersi il sadico piacere di sottoporle a una doccia gelata, dall’alto dell’ormai raggiunto scranno padronale.
Naturalmente, poco diplomatico come sono, glielo faccio sapere e adesso ho la certezza che la tipa non si rifarà viva una terza volta per ripetere lo scherzetto.
In compenso ho capito che mi resta una sola via aperta: tentare di sposare a mia volta un’editrice:-)

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SAN LUCIO MARTIRE

13 marzo 2011

Ieri, girovagando per le colline dell’entroterra fanese, sono arrivato a Mondavio, celebre per la sua rocca. Entrando nella chiesa di San Francesco, quale non è stata la mia sorpresa nello scoprire, subito a destra, l’urna con le ceneri di SAN LUCIO, martire e soldato del II secolo?

P.S. Si noti la postura mollemente adagiata del santo e la preziosa eleganza dei panneggi. Guai a lui se non mi protegge:-)

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10 ottobre 2011

SAN LUCIO, PATRONO DEI CASARI… E DEI CAZZARI?



Mi scrive uno stimatissimo amico dei tempi di it.cultura.libri (periodo aureo), inviandomi le foto riportate sopra:

«Ugutio (*), o come dicevan tutti: Lucio, è il patrono dei casari. Pare che, essendo addetto alla produzione di formaggi nell’alpe di Piazza Vachera, mettesse da parte le tome migliori per dividerle fra i poveri e gli affamati della valle. I poveri ringraziavano, ma – dato che le forme che regalava non erano sue, ma appartenevano pro quota alle famiglie proprietarie delle vacche al pascolo – un bel giorno il responsabile dell’alpe si accorse dell’ammanco e gli diede una lavata di capo così convincente ed efficace che il santo ne morì. Oggi il nome di San Lucio rifulge sugli altari, mentre del gretto alpigiano si è persa ogni memoria. Un rustico santuario a cavallo fra Italia e Svizzera, recentemente visitato anche dal caro Cardinal Tettamanzi, ricorda ancora oggi il luogo del martirio; mentre una casermetta della Finanza, recentemente dismessa e riconvertita in rifugio, fa da contrappunto laico alle buone ragioni della comunità montana. Ciao!»


(*) in lingua: Uguzo o Uguzzone.

Gli ho risposto ricordandogli che anch’io, nel mio piccolo, avevo scoperto un San Lucio soldato e martire a Mondavio (Pu). Si veda:

http://lucioangelini.splinder.com/post/24288728/san-lucio-martire

Allora lui, finto-omofobicamente nei commenti al post da me citato:

«Fake! Questo santo non è il vero san Lucio martire, e a dirla tutta, non sembra essere molto credibile neanche come militare, stante la postura effeminata. Sarà il patrono dei damerini. “Guai a lui se NON mi aiuta”? Se fossi in te, io mi preoccuperei se il santo volgesse verso di te le sue torbide attenzioni! Ciao :-) »

Insomma, malgrado il proverbio, ha voluto scherzare sia col santo, sia col fante, ihihihihihih…

(Le tre foto in alto sono di pp.bianchi)

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MA SE IO…

10 marzo 2011

Ma se io diventassi il più grande scrittore fanese dopo Fabio Tombari, l’autore di “Tutta Frusaglia“, alla mia morte il Comune di Fano dedicherebbe anche a me un monumentino come questo??? :-)

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MARIO BRUNELLO AL CONSERVATORIO “BENEDETTO MARCELLO” DI VENEZIA

12 aprile 2011

Ieri, per il mio complemese, mi sono fatto un regalo straordinario: il concerto di Mario Brunello al Conservatorio di VENEZIA, di cui è stato allievo e in cui ha generosamente accettato di esibirsi per contribuire alla raccolta fondi organizzata dall’associazione “Amici del Conservatorio”. Anche il Benedetto Marcello, infatti, “vive con dolore la stretta finanziaria che ha colpito tutte le istituzioni culturali italiane“, come spiegava il pieghevole del programma.

Ancora una volta Mario Brunello si è rivelato un fuoriclasse assoluto, incantando il pubblico che l’ha applaudito lungamente. Ha iniziato con la Suite in re minore BWV 1008 di J.S. Bach per poi spaziare nella tradizione afro-americana di “Unlocked” di Judith Weir e di swing applicato alla musica del contemporaneo George Crumb. Sono seguiti i ritmi balcanici della musica della giovane compositrice serba Ana Sokolovic e l’ancestrale melodia dei canti tradizionali armeni, nella trascrizione dello stesso Brunello.

Nel ringraziarlo, il direttore del conservatorio Massimo Contiero l’ha definito uno dei grandi ambasciatori del nostro paese, che porta l’immagine dell’Italia migliore nel mondo:

http://www.youtube.com/watch?v=wxqD7Vju8NU

Come è noto, Mario Brunello si è esibito più volte anche “in quota” in vari scenari delle Dolomiti. Ho trovato in rete, per il prossimo luglio, la seguente fascinosa proposta di trekking con lui e Nives Meroi:

“Da giovedì 7 a sabato 9 luglio. Val di Fassa, Rifugi del Catinaccio e del Sassolungo

Un musicista che ama la montagna al pari della musica; un’alpinista che da oltre vent’anni scala le cime più alte del mondo. Insieme a Mario Brunello, al suo violoncello e a Nives Meroi i partecipanti al trekking condivideranno un’esperienza unica, vivendo così in prima persona lo spirito più avventuroso de “I Suoni delle Dolomiti”. La simbiosi tra musica e montagna si realizzerà sullo sfondo di note provenienti da vari angoli del mondo, dall’Armenia ai Balcani, all’America della tradizione del blues.”

TREKKING CON MARIO BRUNELLO, NIVES MEROI

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SILVIO BERLUSCONI SCOREZÒN E PORSÈO

12 maggio 2011


Visto che Silvio Berlusconi, durante un comizio a Crotone, si è permesso di dichiarare che gli uomini di sinistra non si lavano ed emanano cattivo odore, mi sento autorizzato a imitarne l’infantilismo politico indirizzandogli gli epiteti contenuti nel titolo del post.

(Immagine da http://oputaing.free.fr/indy/cochon-bureaucrate.jpg )

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LUCIO ANGELINI NELL’INDIFFERENZIATO

19 giugno 2011

Tiziano Scarpa ad Artnightvenezia http://virgo.unive.it/artnightvenezia/ sabato scorso alle 18.30 nel cortile di Ca’ Foscari

Lucio

Lucio Angelini – sempre ad Artnightvenezia – accetta di scoprire una carta tra i tarocchi creati per la manifestazione dall’artista Anita Sieff. Esce la carta “Death” (Morte), ma la cartomante gli assicura che non si tratta di una carta tragica. Questo il suo significato:

Saprà egli morire (= falciare le illusioni del passato) e rinascere con dignità?
:-)

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RAUL MONTANARI RISCRIVE “WILLIAM WILSON”

3 luglio 2011

(Raul Montanari in una foto tratta dal suo sito)

Raul Montanari è uno scrittore cinquantenne che insegna scrittura creativa a Milano, detesta essere etichettato come giallista o noirista e viene invitato spesso ai dibattiti televisivi. Il suo personaggio Livio Aragona, protagonista di L’esordiente, – invece – è uno scrittore cinquantenne che insegna scrittura creativa a Milano, non sopporta di essere etichettato come giallista o noirista e viene invitato spesso ai dibattiti televisivi:-)

In compenso a pagina 173 ammette:

“Ogni scrittura diventa autobiografica; è sempre della tua vita che parli, anche quando cerchi onestamente di nasconderti dietro le storie e i personaggi”.

Fra le cose che Livio Aragona insegna ai suoi allievi c’è la tecnica della suspense. Di tale tecnica si appropria velocemente la corsista Veronica Markus per costruire il proprio secondo romanzo, quello con cui rischierà di superare il Maestro. (Nel cognome della fanciulla – per inciso – non ho potuto non cogliere un vago rimando alla Dora montaliana, quella le cui “parole iridavano come le scaglie della triglia moribonda”). Quando Livio, che ha disprezzato l’opera prima della fanciulla, legge tale seconda prova, deve ammettere che “Veronica l’ha costruita usando tutti i trucchi che ho insegnato a lezione e soprattutto la suspense, il magico ingrediente con cui un autore potrebbe tenere il lettore incollato alla pagina perfino elencando la lista del supermercato.” (p. 224).

(Ah che gran cosa queste scuole di scrittura! E pensare che ne ho sempre diffidato*-°)
.

Accanto agli insegnamenti letterari, ovviamente, Livio riesce a impartire a Veronica anche dell’altro, travalicando l’ambito più strettamente deontologico. A pag. 76, per esempio, non si perita di legarle le mani dietro la schiena per averla come piace a lui [“Adesso lo facciamo a modo mio”, le dice dopo due ore di amplessi effettuati – si evince – come piaceva a lei.]

Anche il romanzo L’esordiente, naturalmente, utilizza il magico ingrediente della suspense, benché “per raccontare storie lontanissime dai luoghi comuni del poliziesco”, come recita la terza di copertina. E in effetti ieri pomeriggio la parte finale dell’opera mi ha tenuto incollato alla pagina e fatto volare il tempo per tutto il tratto ferroviario Padova-Rimini, – in genere il più noioso per chi viaggia da Venezia a Fano, ove “scendo” periodicamente per far visita alla mia mamma. A dire il vero l’agnizione della vicenda non mi ha convinto fino in fondo (troppo arzigogolata), in compenso ho apprezzato l’auto-ironia del personaggio Livio Aragona (e di conseguenza anche del suo ideatore), che da un lato gigioneggia inseguendo un Premio che, come tutti i Premi letterari importanti, verrà assegnato più per maneggi editoriali che per meriti letterari, dall’altro riflette:

“Dicono che la letteratura non serve a niente, invece queste pagine che strappo dal libro… ecco!… ancora un paio… le metto sul sedile, me le infilo sotto il sedere…” (p. 316).

Meno coinvolgente mi è sembrata la storia d’amore fra Maestro e Allieva, malgrado la dichiarazione che le storie d’amore vadano usate quasi cinicamente, “sapendo che quello è un argomento che attira sempre” (p. 224).

Il personaggio più interessante, in ogni caso, per me che ho amato e tradotto William Wilson di Edgar Allan Poe, è quello di Emiliano, una sorta di doppio malvagio che perseguita il “quasi buono” Livio Aragona:

“Emiliano non è pazzo, è qualcosa di peggio. L’avevo sottovalutato! È consapevole di tutto quello che fa; parte dalla sua logica e dà un significato a ogni gesto. Lui è la mia metà oscura. Il mio giustiziere, il mister Hyde delle mie notti. Sono spaventato e sento crescermi dentro la voglia disperata di cancellare quest’uomo dal mio mondo. Dal mondo…”(p. 241)

“Ti sei attaccato alla mia vita e ai miei affetti perché nella tua, di vita, hai fallito in tutto… Tu sei un miserabile, Emiliano, uno che vive di riflesso e riempie il suo secchio con l’acqua degli altri. Un povero stronzo.” (p. 242)

In William Wilson, al contrario, un giovane malvagio è perseguitato da un doppio buono, sempre pronto a sventarne le scelleratezze. Si veda:

http://lucioangelini.splinder.com/post/5149914/edgar-allan-poe-figlio-di-volonta

Ecco uno scampolo di conversazione fra Livio Aragona e il suo editore:

“Gli assassini ci sono, in giro. Camminano fra noi. Non è per niente strano che lui [il protagonista del nuovo romanzo, N.d.r.], quando lancia la sua rete nel mondo dei senzalavoro, ci trovi dentro un pescecane insieme ai tonni e ai cefali.”
“Però così diventa noir.”
“Ma cosa dici? Questo libro non ha niente di giallo o di noir!” (p.173)

A questo punto non mi resta che rimandarvi a una vecchia distinzione tra giallo e noir operata dallo stesso Raul Montanari:

http://lucioangelini.splinder.com/post/8808405/giallo-e-noir-in-cronaca

A differenza del personaggio del critico Ambrosio, per concludere, non sono in grado di dire se “L’esordiente” sia il migliore dei libri finora pubblicati dallo scrittore bergamasco, avendo letto solo questo. Però, riprendendo la contrapposizione evidenziata nel post del 30 giugno sul “cinico Lorenzo”, devo dire che ho trovato L’esordiente un’opera decisamente interessante, con “il sapore, gli spazi, il giusto passo del romanzo”.

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MASSIMO RAFFAELI SU ROMANZO E ANTIROMANZO

9 luglio 2011

(Massimo Raffaeli al Bastione Sangallo di Fano con l’assessore alla cultura Franco Mancinelli)

La seconda giornata fanese dedicata alla “Lunga estate degli anni ’60/la musica beat e la letteratura del decennio che ha cambiato il mondo” ha avuto come lit-star il critico e filologo MASSIMO RAFFAELI, fascinoso intrattenitore… nulla a che vedere con lo stonatissimo cantante dei 60′ Experience del più tardo concerto svoltosi al Lido di Fano:-).

Raffaeli scrive su ‘Il Manifesto’ e ‘La Stampa’ e relativi supplementi letterari (‘Alias’ e ‘Tuttolibri’), collabora con numerose riviste culturali e con Radio 3 Rai, traduce dal francese e ha pubblicato una decina di volumi, tra cui il recente Bande à part. Scritti per Alias, Gaffi editore 2011.

Nato nel 1957, Raffaeli ha premesso che per lui i primi anni Sessanta furono soprattutto quelli in cui imparò a leggere (nel senso letterale che iniziò a riconoscere le lettere dell’alfabeto) sulle figurine Panini, assistette a uno storico goal di Sivori nello stadio di Bologna e conobbe Roma, “ormai diventata un immenso parcheggio a cielo aperto”. Più avanti lesse Robinson Crusoe in un’edizione per ragazzi…

La sua conoscenza della letteratura degli anni Sessanta, insomma, e in particolare dell’ annus horribilis 1963, fu necessariamente successiva. Il suo discorso si è incentrato soprattutto su Romanzo e Antiromanzo, artatamente contrapposti dal Gruppo 63 con l’annuncio ufficiale della morte del primo e della parallela nascita del secondo. Bisognava uscire – a detta del Gruppo – dagli stantii schemi tradizionali e sperimentare nuove formule linguistiche e contenutistiche. Cassola, Bassani vennero ironicamente definiti “Liale”… Ma tutto ciò, paradossalmente, proprio nel periodo in cui il Romanzo iniziava a riguadagnare clamorosamente salute e a buttar fuori opere di strabiliante vitalità… a riprova del fatto che “il lavoro degli intellettuali e dei critici letterari non ha nulla di scientifico”:-).

Quando uscì “Il Gattopardo” fu addirittura scambiato per un’opera epigonica (Capuana, De Roberto…) , anziché per il capolavoro seminale che avrebbe informato di sé tanta produzione successiva (fino a La Capria e oltre). Vitttorini aveva scartato il manoscritto, che fu pubblicato solo grazie alla “Liala” Bassani, poi estromesso per punizione dalla Feltrinelli. “Credo di averlo letto almeno quattro o cinque volte senza essere ancora riuscito a metterne a fuoco tutta la luciferina complessità”, ha dichiarato Raffaeli. “È un’opera che ha tagliato in due il Novecento letterario.”

Certo, la forma romanzo, ha aggiunto poi, era il punto debole della nostra tradizione letteraria, con un mandante sociale, la borghesia italiana, di livello scadente. Le era stato a lungo precluso, oltretutto, il contatto con la grande letteratura moderna di lingua inglese e francese. Quella che a noi era mancata, in particolare, era stata una produzione standard in presa diretta con la realtà. Avevamo avuto capolavori isolati, ma non una continuità di produzione di “romanzi medi”. Ma fu proprio negli anni ’60 che iniziarono ad arrivare le prime traduzioni dei grandi esempi di modernismo radicale straniero, compreso il Tristram Shandy di Laurence Sterne. Ebbene, proprio mentre da più parti si decretava la morte del romanzo, con la conseguente consegna di dedicarsi alla sovversione della sua struttura, popolandolo di antieroi e assumendo punti di vista antinaturalistici, il romanzo si risvegliò dall’inesistente coma e produsse opere fondamentali quali “La noia” di Moravia, “La giornata di uno scrutatore” di Calvino, “Le Furie” di Guido Piovene, “La tregua”, di Primo Levi, “Una questione privata”, di Fenoglio, “La macchina mondiale” di Volponi e via discorrendo.

La forma romanzo non può morire, ha concluso Raffaeli, perché costituisce una sorta di “democrazia magica” (secondo la definizione di Jonathan Franzen), in cui possono coesistere e contaminarsi i generi e i modi di rappresentazione più disparati. E la lettura di romanzi ci fa sentire sicuramente meno soli e più consapevoli di noi e del mondo in cui ci troviamo a vivere.

P.S. Mi scuso per aver sintetizzato un po’ alla cazzo, ma devo portare mia madre al mare*-°

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EDIFICANTE STORIELLA ZEN

31 ottobre 2011

Mi è arrivata in mail-box questa edificante storiella zen. Probabilmente gira in rete da anni, ma io non la conoscevo ancora e l’ho trovata fantastica. Ve la copio-incollo:

«Il discepolo Wu Liao entrò nel “Monastero Zen del Silenzio” ed il Maestro gli disse:
 
– “Fratello, questo è un monastero silenzioso. Tu qui sei il benvenuto. Puoi rimanere finché vuoi, ma non devi parlare se non te ne do io il permesso”.
 
Wu Liao visse nel monastero un anno intero prima che il suo Maestro gli dicesse:
 
– “Fratello Wu Liao, tu sei qui da un anno ormai. Ora puoi dire due parole”
 
Wu Liao rispose:
 
– “Letto duro”
 
– “Mi dispiace sentirti dire ciò” – disse il Maestro – “Ti daremo subito un letto migliore”
 
L’anno seguente Wu Liao fu chiamato nuovamente dal Maestro.
 
– “Oggi puoi dire altre due parole Wu Liao”
 
– “Cibo freddo” – disse Wu Liao e il Maestro gli assicurò che in futuro il cibo sarebbe stato migliore.
 
Al suo terzo anniversario al monastero il Maestro chiamò nuovamente Wu Liao nel suo ufficio:
 
– “Puoi dire due parole oggi”
 
– “Vado via” – disse Wu Liao
 
– “È meglio” – commentò il Maestro – “Da quando sei qui non hai fatto altro che rompere i coglioni!” »
 
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PAOLO LANAPOPPI SUL PRIMATO PER VIVIBILITÀ ASSEGNATO DA LEGAMBIENTE A VENEZIA

25 ottobre 2011

Il 17 ottobre scorso è stata diffusa la seguente notizia:

“L’edizione 2011 – la diciottesima – di ‘Ecosistema urbano – La qualità ambientale nei 104 capoluoghi di provincia italiani‘, l’annuale ricerca sulla vivibilità delle città italiane realizzata da Legambiente con l’Istituto di Ricerche Ambientali e la collaborazione di Il Sole 24 Ore, ha assegnato a Venezia il primo posto tra le grandi città [quelle con oltre 200 mila abitanti, che sono 15, N.d.r.]. L’assessore comunale all’Ambiente Gianfranco Bettin non ha esitato ad attribuire le ragioni del primato a verde urbano, contrasto allo smog, rifiuti, piste ciclabili e trasporto pubblico.

Nel gruppo facebook FUORI LE MAXINAVI DAL BACINO DI SAN MARCO” sono emerse varie perplessità:

1) Doretta Davanzo Poli: “avevano ponti da fare dall’albergo alla stazione? han provato a fingere un malessere? sono andati a fare la spesa col carrello su e zo per i ponti? han provato a comperare un litro di latte e un pane tra la salute e l’accademia? e le loro spazzature dove le hanno lasciate?”

2) Walter Fano: “il risultato è completamente falsato dal fatto che hanno considerato Venezia e Mestre come unico Comune, infatti “Venezia” [la cui popolazione è ormai scesa sotto i 60.000 abitanti. N.d.r.] appare come vincitrice tra le città con più di 200.000 abitanti, e tra i fattori che l’hanno maggiormente premiata si legge che ha pesato molto la sua pista ciclabile… Dico: la famosa pista ciclabile di Venezia!”

3) Lorena Culloca: “esatto, Walter… ma quali 200.000 abitanti? E vogliamo parlare dell’impatto ambientale che la massa di turisti, che si riversa ogni giorno su Venezia, provoca? A cominciare dalle ‘scoasse’.”

4) Paolo Lanapoppi, vicepresidente di Italia Nostra-Venezia: “C’è un equivoco, che ho spiegato qui:

http://www.italianostra-venezia.org/

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Proprio dall’articolo di Paolo Lanapoppi estraggo il passo:

«Venendo a Venezia, secondo le parole dell’assessore il primo posto le è andato per “verde urbano, contrasto allo smog, rifiuti, piste ciclabili e trasporto pubblico“. La cosa sembrava strana, e in più avevamo un piccolo sospetto. Perciò abbiamo fatto una ricerca sui documenti originali. Guardando in dettaglio i criteri e le classifiche, risulta subito che il primato è dovuto a tre altri fattori: il basso numero di automobili per abitante, il grande uso dei mezzi pubblici di trasporto e l’enorme abbondanza di isole pedonali. Avete capito: è proprio e solo perché ci mancano le automobili. Il “tasso di motorizzazione” è di 41 auto per abitante (se non ci fosse Mestre sarebbe ancora più basso) contro i 63,7 di media: è questo che ci porta in cima alla classifica (tra l’altro, Parigi e Berlino ne hanno solo 32). E poi battiamo tutti di gran lunga per le isole pedonali: media per città, 0,34 m2 per abitante, ma a Venezia un meraviglioso 4,87! E senza Mestre saremmo tutta un’isola pedonale! Infine, i trasporti pubblici: siamo primi con ben 558 viaggi per anno per abitante (contro i 150 di Padova, per esempio). Non ci vuol molto a capire che si tratta delle folle di turisti che riempiono i vaporetti

(Foto tratta dal sito di Italia Nostra)

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PROCESSIONI…

21 ottobre 2011

(Lucio Angelini, con giglio in mano dietro la bambina più alta, in una processione fanese della sua infanzia; la signora in nero è sua nonna Celerina, una mistica minore del Novecento)

(Lucio Angelini regge un cartello di protesta in una recente manifestazione contro il PAT, Piano di Assetto Territoriale del Comune di Venezia)

P.S. Quando si dice la matrice cattolica… *-°

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UNA DOLENTE CONVERSAZIONE NELLA PAGINA FB DI ELISABETTA SGARBI

Elisabetta Sgarbi Director Elisabetta Sgarbi attends the "Se Hai Una Montagna Di Neve, Tienila All'Ombra" photocall during the 67th Venice Film Festival at the Palazzo del Casino on September 2, 2010 in Venice, Italy.

(Elisabetta Sgarbi alla Mostra del Cinema di Venezia 2011)

Tempo fa postai nella pagina facebook di Elisabetta Sgarbi il link alla mia recensione del suo film “Quiproquo”, presentato alla Mostra:

http://lucioangelini.splinder.com/post/25513427/le-eleganti-ma-inutili-inchieste-di-elisabetta-sgarbi

Tale Anna Maria commentò:

Se fosse firmato “Roland Barthes” questo articolo avrebbe un senso. Ma è firmato “Lucio Angelini”.

Lucio Angelini

Che gran cazzata. Chi non è Roland Barthes non ha diritto ad avere una propria opinione?

Anna Maria

Esatto.

Terry May

Essere Roland Barthes.

Lucio Angelini

Sì, sarebbe interessante sapere che cosa penserebbe Roland Barthes dei docufilm di Elisabetta Sgarbi. Peccato sia morto. Morto pure Deleuze. E Theodor Adorno, Max Horkheimer, Herbert Marcuse, Alfred Sohn-Rethel, Leo Löwenthal , Franz Neumann, Franz Oppenheimer, Friedrich Pollock, Erich Fromm, Alfred Schmidt, Jürgen Habermas, Oskar Negt, Karl A. Wittfogel , Susan Buck-Morss, Axel Honneth, Franz Borkenau, Walter Benjamin… Ma non tutto è perduto: ci resta pur sempre l’Anna Maria, la più semiologica che ci sia, e che ogni paura si porta via. Siamo salvi.

Terry May

I morti che nomina, già per il fatto di esser stati nominati, non sono morti. C’è uno stato delle cose che trattiene di qua chi va di là. Eccoli, infatti, sopra citati e sovreccitati. La montagna di neve, loro, hanno saputo tenerla all’ombr…a e hanno pure fatto l’avanguardia. Se Barthes, e tutti i suoi, avesse cazzeggiato non avrebbe fatto letteratura ma dei blog, delle contrazioni tra il diario e la rete nei casi migliori (o dolorose e muscolari, nervose o uterine) e di due suoni vocalici in un solo suono. Web-log. Diario in rete. Rete. Impigliarsi è un attimo. Mannaia!

Lucio Angelini

Be’, a vent’anni avevo già scritto “Dora Squarcialenzuola”. Negli anni 90 pubblicai i rivoluzionari “Quella bruttacattiva della mamma!” (Emme Edizioni) e “Grande, Grosso e Giuggiolone” (El). Capirà che a me Roland Barthes mi fa un baffo:-).

P.S.
Proprio ieri sera ho visto alla Mostra del Cinema il docufilm su Fernanda Pivano, che ebbe il merito di contribuire ad “abbattere le barriere tra poesia ‘alta’ e ‘bassa’, e di militare contro le ghettizzazioni delle accademie”, a lei così care, o Terry May.

Terry May

M’ innamoro forte e strana io. Adoro Roland Barthes. Dell’Accademia di Belle Arti ho conosciuto e amato Enzo Brunori e Rosella Gallo, e caro mi fu quell’ermo colle. Fernanda Pivano si rammaricava di essere ricordata sempre e solo per questioni beat. Credo che la poesia, proprio in quanto tale, non abbia barriere di alcun tipo. Non so cosa abbia picconato Fernanda Pivano, ignoro le milizie, ho notato il suo rammarico, l’insoddisfazione per quel tanto che ha fatto e che lei vedeva come una cosa da niente. E’ stata come Caronte e ha spostato i poeti, li ha traghettati da una sponda all’altra del mondo. Nessuno le ha detto mai, forse, che Caronte (ferocia illuminata) è un mito e non c’è da averne pena. Si può scrivere anche sull’acqua quando l’inchiostro è di qualità.

Lucio Angelini

Quindi lei non ha nulla contro i lit-blog (literary blog), se l’inchiostro è di qualità… Mi pareva avesse affermato il contrario.

Terry May

Nulla in contrario, ma c’è la pericolosità propria di una rete, di un solo canale, la facilità del mezzo e facilità con la quale si è intrappolati. Fuori dalla rete rimane (fino a che dura) il timore e tremore della scrittura, il rispetto per le parola, la difficoltà (apparente) di farsi leggere. La rete pur collegando con il mondo con lo stesso scollega. Si perde qualcosa. Fuori dalla rete c’è ancora la pagina bianca. Nella rete ci possono stare tutti. E’ uno spazio teoricamente infinito. Eppure spazio ristretto, claustrofobico, rimpicciolito, fatto schermo. La scrittura è senza inchiostro, o di un inchiostro che non macchia e non fa paura. E’ un fenomeno di massa e di costume, di modernità. Non è scrittura. E’ comunicazione ma non scrittura. Comunica come si è messi. Messi appunto, e non liberi di posizionarsi in altro modo e stare o non stare. Nella rete dicono ci sia libertà. Quasi un ossimoro vedo io in rete-libertà. A me sembra che nell’età della pietra fossero in grado di sorridere di più, malgrado l’ignoranza o forse grazie ad essa. Le parole qui non hanno peso tra le mani, non hanno odore, non hanno mai visto un foglio di carta. La scrittura del web è facile perché senza timore e tremore e può esser scritta da chiunque disponga di una tastiera con un alfabeto. E’ una scrittura veloce, veloce e facile. E’ la voglia di essere nella rete, intrappolati ma facente parte di un mondo virtuale veloce e scorrevole, facilmente accessibile ad ogni forma di scrittura, da ogni parte del mondo, dove, facilmente s’hanno i quindici minuti detti da Andy Warhol. Si è tutti scrittori e artisti. Non è fine, scritto mentre sono ospite in una pagina che rispetto molto, ma ho da dirlo: tutti stronzi! (almeno un quarto d’ora al giorno). Fuori dalla rete però c’è anche la voglia di essere grandi scrittori, perché pure lì tutti scrivono. A me, quelli che si impuntano sul che loro hanno scritto un libro e nessuno glielo pubblica perché così e colà mi disturbano l’immaginazione. Fanno parte del processo del quarto d’ora di celebrità fuori dalla rete… stessa solfa. Tutti stronzi pure lì. Nessuno vuole essere come è, ammesso che lo sia di suo, ma aspirano a passare per i canali, per i modelli imposti (il modello della persona di successo), del valore sociale. Questa, a mio avviso, è la gran stronzità, la volontà di essere parte integrante di un gioco al massacro… si massacra la parte individuale di ognuno per essere come quello o come quell’altro, per avere successo. Un successo basato sulla stronzità globale. Però non si pensa che le cose che si scrivono hanno forse il corpo del carattere di stampa ma né un proprio corpo né una propria anima. Anche per questo ho approvato il pensiero che se non si è Roland Barthes meglio far pippa. Tra un po’ magari arriva Anna Maria e me le canta secche pure a me, con due paroline e non di più. E mi sta bene. La prima io a procurarmi un quaderno con una bella copertina e macchiarmi la vita di inchiostro e le mani. …”spero che ritorni presto l’era del cinghiale bianco”, che venga un tempo dove le parole siano usate per intero, che non abbiano le kappa a sostenerle, che si torni a esclamare e interrogarsi con un solo punto di esclamazione e interrogazione per volta. La punteggiatura e le parole vorrei, come le ho conosciute, com’erano nei libri, belle e significanti, come una volta o un volto: dove ci si può stare e passare dentro, dove trovare riparo quando piove… accoglienti, che abbiano il timore e il tremore e sappiano davvero del mondo, e perché in ognuna di loro è contenuto un mondo.

Silvia Crupax

Chi nel film dice che “L’avanguardia è la classicità da piccola”? Mi piace moltissimo e condivido!!!

Lucio Angelini

‎@Silvia. Mi aspetto che te lo dica direttamente la regista, se ci legge:-)

(Foto da www.zimbio.com )

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LOREDANA LIPPERINI E IL MERDA

7 ottobre 2011

(Loredana Lipperini)

Il 5 ottobre scorso Nazione Indiana ha pubblicato il dolente «URLO» di Francesco Pecoraro:

http://www.nazioneindiana.com/2011/10/05/urlo-2/#comment-157216

Anni e anni a ragionare sul Merda & sulla Mutazione Antropologica. Anni coi nuovi barbari a Porto Cervo… Anni che all’estero col Merda ci facevamo figure appunto di merda… Anni che il Merda ha detto buzzicona alla Merkel, ha baciato la mano a Gheddafi… Anni che, mentre gli Intellettuali facevano l’analisi, tutti gli altri votavano per il Merda… Gli anni delle Prostate delle Pompette del Fondo Tinta del Trapianto Porcellanato. Anni approvati col Voto di Fiducia. Anni che nel 2013 ne saranno passati venti

.” (Testo tagliato e compattato)

Secondo quanto sostenuto da

Loredana Lipperini

in Lipperatura il 4 ottobre scorso a proposito di Nonciclopedia (sulla solita traccia teoretica predispostale dal ghost-philosopher Wu Ming1), dovrebbe trattarsi di un indifendibile uso della Rete “concepita come mezzo per poter dire tutte le porcate che saltano in mente, magari anche a scopo di vendetta personale”.

In un commento ha infatti precisato:

“Una cosa è essere ‘politicamente scorretti’. Un’altra è usare il web per dare del frocio a X, della zoccola a Y, e dello sporco ebreo a Z” [o del merda a Berlusconi, si deduce. N.d.R.].

poi anche:

“Nonciclopedia non fa satira, ma raccoglie nonsense e sciocchezze varie, che possono piacere o meno, ma su cui c’è poco da discutere se diventano aggressive e diffamanti. E se qualche volta ci scappa una bella battuta, non è certo sufficiente a farci chiamare satira quella roba lì. La diffamazione è un reato, punto. Il che è vero indipendentemente dall’età di chi scrive su Nonciclopedia: che siano nativi o migranti poco importa.”

Ho commentato:

“Ricordo che alla voce ‘Capezzone’ su Nonciclopedia si leggeva ‘alias Cazzopene’. Da denuncia immediata, dunque: falso e diffamante… ma quanto vero! Ahi ahi, senza nulla togliere alla Lipperini, non ne condividerò mai lo zdanovismo.”

e più giù:

“Se io chiamo Bossi ‘leccaculo’ di Berlusconi, è ovvio che, ALLA LETTERA, non dico il vero, quindi diffamo, o quantomeno non ho modo di documentare una reale pratica di rimming da parte di Bossi nei confronti di Berlusconi… ma… ma…”

Tale UGO ha precisato:

“Inutile paludarsi dietro espressioni arzigoglate: o si prende una posizione ecumenica sulla libertà d’espressione e si tollerano anche spazi che ci offendono; o davvero si lascia a qualcuno il potere di decidere.”

e più avanti:

“Wuming 1 (con tutto il rispetto) non ha spiegato niente che non fosse ovvio a chiunque: perché ci siano i danni del maiuscolo Fascismo ci vogliono i minuscoli fascisti e perché ci siano i fascisti ci vuole una microbica mentalità tale. Il che vale per qualsiasi processo e si attaglia anche ai motivi per cui esiste e si vende la Nutella. Ci voleva la filosofia confusionaria dei continentali per comprendere queste banalità contrabbandate per intuizioni di saggezza?”

A quel punto mi sono permesso la seguente osservazione:

“Quando la Lippa cita Wu Ming1, suo notorio guru spirituale, oltre che guru di se stesso, scade un po’ nello scontatismo”.

La Lipperini, che tutto sopporta tranne che le si tocchi colui che ai suoi occhi rappresenta ciò che Ron Hubbard rappresenta agli occhi di un seguace di Scientology, mi ha CENSURATOlì per lì, rimuovendo il commento.

P.S. Inutile dire che Wu Ming 1, nel blog della Lippa, ha campo libero e può offendere impunemente chi vuole (ultimo esempio, il commentatore Ienax).

Per approfondire:

http://loredanalipperini.blog.kataweb.it/lipperatura/2011/10/04/i-conformisti/

http://loredanalipperini.blog.kataweb.it/lipperatura/2011/10/06/deleuze-era-un-passerotto/#comments

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(Foto tratta da www.librinews.com)

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UN FILM NOTEVOLISSIMO: “IO SONO LI”, DI ANDREA SEGRE.

12 ottobre 2011

 
Quando ha la luna storta, la maestra Loredana Lipperini mi mette in castigo dietro la lavagna, ovvero mi BLACKLISTA come Lucio Angelini, sostenuta da un gheddafiano corpo di amazzoni scelte (per esempio la piagnucolosa prefica Girolamo De Michele). In quei periodi mi diverto a metterla davanti alle proprie contraddizioni infilandomi nel commentarium con l’aiuto di amici non bannati. Naturalmente sono costretto – e sottolineo etto – a trincerarmi dietro nick di comodo, ma quello che esprimo è comunque il MIO PENSIERO, per il quale esigo lo stesso rispetto che la Lipperini assicura ai suoi favoriti o lisciatori di professione. Ebbene, sentite questa:in coda al post “Identità” (Lipperatura del 10 ottobre scorso) è apparso il contributo – peraltro riportato nel mio post di ieri – di un certoVINCENZO OSTUNI.Volete sapere come era venuto fuori questo nick di comodo? Scartabellando in rete alla ricerca di un nomignolo in qualche modo attinente ai Wu Ming ero capitato nel loro vecchio sito satiricohttp://vmo.splinder.com/dove si legge:
Nome:Vincenzo Maria OstuniFiglio di Giuannico Ostuni e Marilena Moreggia (ma quello nella foto è Anton Caracci). ATTENZIONE Niente nicknames, qui. Nomina nuda tenemus. “Che ragione c’è di filtrare la nostra identità? Non sarà questa una procedura imposta dai nuovi poteri? Sì, quelli che producono questa bella orizzontalità in cui il mondo sta sguazzando prima dell’apocalisse assicurata. Il nome è uno dei vincoli col mondo e con la collettività. Perché la maggiranza dei bloggers è così contenta di disfarsene?” (la ragazza Carla Benedetti, come la chiama BRULLO) per contatti: vincenzomoreggia@libero.it [“Moreggia” è il cognome di mia madre Marilena, un omaggio a una donna che tanto ha dovuto sopportare dopo l’outing,ATTENZIONE!!! Nel nome sull’acconto splinder c’è un refuso, MANCA LA M IN MEZZO, c’è scritto “vincenzooreggia” MA E’ UN REFUSO E ORMAI NON SI PUO’ CAMBIARE!!!! NON LEGGETE!!!!] VINCENZO MARIA OSTUNI e BASILE PESARO BORGNA, da tempi non sospetti.”Giuro che non ero al corrente dell’esistenza di un altro Vincenzo Ostuni, editor della casa editrice Ponte Alle Grazie, e cmq nel messaggio non c’era ombra di riferimento a tale personaggio, fra centinaia di altri possibili omonimi a livello nazionale [Faccio presente che solo a Venezia ci sono altri quattro Lucio Angelini, N.d.R].

La Lipperini, incazzatissima per il contenuto del messaggio, si mette in contatto con l’editor e poi minaccia:

“Il vero Vincenzo Ostuni mi ha appena telefonato da Francoforte, naturalmente smentendo di essere mai intervenuto in questa discussione.Ricordo che il furto di identità è un reato, e che alcuni troll dovrebbero piantarla di pensare che ogni cosa sia loro possibile. E concordo con ogni parola detta da Girolamo sul livello fin qui tenuto nel dibattito.”

Postato martedì, 11 ottobre 2011 alle 11:22 am da lalipperini

PER CHIARIRE, INVIO IL MESSAGGIO:

“Da ricerche fatte in rete, desumo che l’Ostuni in questione sia quello del sito: vmo.splinder.com (ideato dai mattacchioni wuming). Cito dal sito:

“Vincenzo Maria Ostuni. Figlio di Giuannico Ostuni e Marilena Moreggia (ma quello nella foto è Anton Caracci). ATTENZIONE Niente nicknames, qui. Nomina nuda tenemus.”

Postato martedì, 11 ottobre 2011 alle 11:49 am da Un lettore non distratto

Ebbene, che fa la Lipperini? Contrariata dall’essere stata presa in castagna (non si era ricordata dell’esistenza del personaggio diVincenzo Maria Ostuni ideato dagli adorati Wu Ming al tempo in cui erano un po’ meno barbogi di oggi, e di cui aveva pur parlato su La Repubblica)

CENSURA E CANCELLA IL CHIARIMENTO.

Proprio in questo gesto censorio, secondo me, sta tutta la sua MALAFEDE: pur di far vedere che ha sempre ragione, lascia in rete solo quello che le fa comodo e cassa le repliche.

Poi ha aggiunto, come se non le fosse stata segnalata la verità:

***Ps. Chiarito il mistero sull’identità del falso Ostuni, chiederò all’interessato “vero” se vuole procedere nei suoi confronti. Chiudo l’OT.***

Postato martedì, 11 ottobre 2011 alle 12:16 pm da lalipperini

A quel punto si materializza il VINCENZO OSTUNI editor, cui era stato IMPEDITO di leggere il chiarimento:

“Confermo dalla plumbea Francoforte: non si tratta di me. Grazie a Loredana di non aver creduto al fake.Vincenzo”

Postato martedì, 11 ottobre 2011 alle 12:21 pm da Vincenzo Ostuni

Subito dopo un cretino nickato GULP si permette lo svolazzo:

“bisogna essere proprio scemi per firmarsi vincenzo ostuni e scrivere così male!”
Postato martedì, 11 ottobre 2011 alle 12:30 pm da punk

Ribatto ironico:

Protesto. Mi è stata rubata l’identità. Il vero Punk sono io, non quello che ha firmato il messaggio qui sopra. Escludo possibili omonimie, del tutto improbabili in Italia.”

Postato martedì, 11 ottobre 2011 alle 1:43 pm da Punk (quello vero)

OVVIAMENTE LA LIPPERINI MANTIENE VISIBILE il commento del primo PUNK (che le fa comodo) e cancella il secondo, perché lo ridicolizza.

OK. Basta così. Resta il mistero di che cosa induca una donna per altri versi illuminata a squalificarsi fino a questo punto praticando la CENSURA più stolida e reazionaria.

Per rasserenarmi vado al cinema e… fortuna vuole che incappi in un film BELLISSIMO E DELICATO, a cui auguro la massima circolazione:

“IO SONO LI”, di Andrea Segre

presentato alla recente Mostra del Cinema di Venezia. Così aveva sintetizzato il Mereghetti sul Corriere della Sera:

Questo il sito del film:

www.iosonoli.com

Lo consiglio caldamente. Lasciate perdere le baggianate dei Wu Ming e concentratevi sulle cose belle.

(Andrea Segre. Lui è lì:

 
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SERGIO GARUFI ALLA LIBRERIA “MARCO POLO” DI VENEZIA

15 ottobre 2011

(Da sx a destra: il libraio Claudio Moretti e lo scrittore Sergio Garufi)

(Sergio Garufi triste)

(Sergio Garufi felice)

Sulla libreria “Marco Polo” di Venezia c’è un interessante racconto qui:

http://www.minimumfax.com/libri/magazine/328

Sulle presentazioni dei libri in generale un divertente psicodramma, firmato dallo stesso libraio Claudio Moretti, qui:

http://www.libreriamarcopolo.com/2011/10/psicodramma-in-libreria-presentare-un.html

Lo copio-incollo:

Psicodramma in libreria: presentare un libro – parte prima

«Etichette:
Con l’EDITORE
– Buongiorno, parlo con l’ufficio stampa della casa editrice XYZ?
– Si, mi dica.
– Ho una libreria e vorrei invitare il vostro autore Mxx Cxx a presentare il suo ultimo libro qui a Venezia
– Ma lei sa che l’autore è di Roma?
– E’ ancora in Italia, no?
– Sì ma lei deve farsi carico delle spese di trasferta e di ospitalità.
– Di solito ci facciamo carico dell’ospitalità, per le spese di trasferta possiamo ragionarci soprattutto se la casa editrice ci viene incontro con le condizioni commerciali per i libri
– Guardi, questo è il numero dell’autore così lo contatta lei. Per le condizioni commerciali si rivolga al nostro ufficio commerciale. Con l’AUTORE
– Buongiorno, la chiamo per sapere se voleva presentare il suo ultimo libro qui a Venezia
– Guardi, sono allergico alle presentazioni.Con il LETTORE
– Vieni alla presentazione del libro?
– No, sono impegnato, fate sempre le presentazioni quando sono impegnato.
– Ma per questo scrittore non riesci a liberarti?
– No, io gli scrittori preferisco leggerli che vederli.Ricapitolo: l’editore è disinteressato, l’autore è allergico, il lettore è scazzato. Mi viene spontanea la domanda: ma perchè lo faccio?»—

Sul libro presentato ieri pomeriggio – Il nome giusto di Sergio Garufi -, mi sono già diffuso ampiamente qui:

http://www.nazioneindiana.com/2011/08/22/jorge-luis-borges-racconta-il-libro-il-nome-giusto-di-sergio-garufi/ Aggiungo solo che per me è stato un vero piacere conoscere di persona Sergio, dopo quasi due decenni di scambi elettronici (a volte anche acidi*-°), prima nel newsgroup it.cultura.libri, poi in vari blog, compreso il suo:http://lavienbeige.wordpress.com/Naturalmente, visto che nella copertina del libro appare l’editor VINCENZO OSTUNI, ho raccontato a Garufi la mia recente disavventura con Loredana Lipperini, la quale, non contenta di censurarmi i commenti (da quell’antipatica “Minzolini della blogosfera” che sta diventando), mi ha addirittura accusato di furto d’identità (si veda il mio post del 12 ottobre scorso).Quando il libraio Moretti ha chiesto a Garufi di raccontare la genesi del libro, l’autore ne ha indicato l’idea fondativa nell’esperienza contingente di diversi traslochi (l’ultimo da Milano a Roma), cui è dovuto sottostare nel corso degli anni, con lo spinoso problema dell’imballaggio e del trasporto degli amatissimi libri. Poi in una serie di ossessioni e repertori tematici personali, tra cui l’idea fantastica di uno “sguardo postumo sulla vita” (elemento importantissimo nel libro), il sospetto che la vita da morti non debba essere troppo diversa da quella da vivi, gli strascichi lasciati da eventi tragici quali il suicidio paterno, la fissazione numerologica e vari altri nuclei narrativi da me segnalati nella rece apparsa su Nazione Indiana. La rivelazione più divertente ha riguardato una frase che appare nel risvolto di copertina del libro:”NON SIAMO NOI A LEGGERE I LIBRI, MA I LIBRI A LEGGERE NOI“ripresa pari pari in moltissime recensioni e universalmente accolta come riflessione abissale, anziché per l’autentica cacchiata senza senso che, a pensarci bene, è:-) [Secondo me un calco sul chiasmo pattypraviano: “la cambio io la vita che/non ce la fa a cambiare me”]. L’incontro, svoltosi nello spazio davanti alla libreria, si è concluso cordialmente con un venezianissimo spritz.—(Foto di Lucio Angelini)COMMENTIutente anonimo Dice:
15 ottobre 2011 alle 20:24
NON SIAMO NOI A LEGGERE I LIBRI, MA I LIBRI A LEGGERE NOI“esemplare esempio di inversione rossa:
http://nonciclopedia.wikia.com/wiki/Inversione_Russa

  • Lioa Dice:
    15 ottobre 2011 alle 20:36  ah, sì, l’autorevole Nonciclopedia:-)
  • utente anonimo Dice:
    16 ottobre 2011 alle 09:35  Meglio questa:http://en.wikipedia.org/wiki/In_Soviet_Russia#Russian_reversal
  • Lioa Dice:
    17 ottobre 2011 alle 06:29  Insomma il bistrattatissimo Vincenzo Ostuni (ammesso che sia lui l’estensore della quarta di copertina) si sarebbe burlato dei lettori propinando loro un’inversione russa?
  • utente anonimo Dice:
    17 ottobre 2011 alle 19:08 No il redattore non sfotteva il lettore, ci ha provato da dire la frase d’effetto, solo che essendo un funzionario e non un artista, ha sbagliato i tempi comici.L’inversione russa si propone come esempio di verita’ profonda, mascherata da paradosso satirico.Dovendo recensire un libro che parla di libri, in cui i libri sono un segnaposto per ripercorrere l’autobiografia dell’autore, al redattore sara’ piaciuto concludere con un brillante calembour, la cui verita’ profonda mi pare condivisibile (sono i libri a plasmare la sensibilita’ del letterato), mentre la meccanica dell’inversione risulta pedestre.Nella inversione russa infatti soggetto e oggetto si scambiano di posto mantenendo la plausibilita’ sintattica: “in america tu ammazzi presidente; in russa presidente uccide te”, le due situazioni sono compossibili ed e’ solo il contesto (libertario vs tirannico) a decidere in quale senso procedera’ effettivamente la reazione, e quale giudizio di valore trarne. Analogamente “in america tecnica elettronica serve per diffondere conoscenze, in russa tecnica elettronica serve per spiare cittadini” ecc.Qui il chiasmo c’e’ (mentre tu leggi il libro, il libro produce modificazioni su di te), purtroppo il verbo “leggere” non regge l’inversione (“il libro che legge noi” sembra una barzelletta riferita senza averla capita) e suona male.Al funzionario editoriale comunque gli perdoniamo lo stesso, perche’ si capisce cosa voleva dire, anche se poteva sforzarsi di dirlo meglio.Ciao!
  • Lioa Dice:
    17 ottobre 2011 alle 19:32  Be’, a sto punto dicci chi sei:-)

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LA PUBBLICITÀ IKEA INFLUENZA IL QUESTIONARIO DEL CENSIMENTO 2011

14 ottobre 2011

https://i0.wp.com/static.jugo.it/wp-content/uploads/2011/09/censimento-generale-istat.jpg

“Cosa si intende per famiglia?”
 
“Un insieme di persone legate da vincoli di matrimonio, parentela, affinità, adozione, tutela o da vincoli affettivi, coabitanti e aventi dimora abituale nello stesso comune (anche se non sono ancora iscritte all’Anagrafe della popolazione del comune medesimo). Una famiglia può essere costituita anche da una sola persona.”
 
Pensare che il sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega alla Famiglia, Carlo Giovanardi, aveva così commentato la pubblicità Ikea ritraente una coppia maschile accompagnata dal claim “siamo aperti a tutte le famiglie”:
 
“Contrasta a gamba tesa contro la Costituzione, offensivo, di cattivo gusto”.
 
https://i0.wp.com/www.rainews24.it/ran24/immagini/2011/04/ikea_gay_280xFree.jpg
 
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LOREDANA LIPPERINI E LA SALSICCIA

23 novembre 2011

Quando si lascia un commento nel blog della Lipperini (“Lipperatura”), non si è mai certi della sua sopravvivenza. Ogni qualche minuto, infatti, la sussiegosa titolare scorre il commentarium e fa piazza pulita di tutto ciò che non è in linea con i suoi umori del momento (o con le direttive ideologiche che riceve da Bologna).

Ieri, per esempio, nel pezzo “Trappole e codici”, asseriva:

“per rimarcare la trappola in cui i media stessi stanno cadendo negli ultimi giorni, riposto qui la fotografia che circola

donne.berlusconi.jpg

A un certo punto, nel commentarium, è apparso l’intervento di ”A dire il vero”, quello riportato nella foto in alto:

“Per consolarvi vi racconto una barzelletta femminista:

CHIEDONO A UNA DONNA NUBILE PERCHÉ NON SI SIA MAI SPOSATA. RISPOSTA: “PERCHÉ, PER QUINDICI CENTIMETRI DI SALSICCIA, NON ME LA SONO MAI SENTITA DI COMPRARE L’INTERO MAIALE.“ (Ih ih ih)

Qualche minuto dopo lo sdrammatizzante commento era sparito. Allora il tipo, cambiando nick, ha aggiunto:

“Lipperini, se hai cancellato la mia innocua barzelletta, hai davvero il sense of humour di un ornitorinco”.

Inutile aggiungere che anche il nuovo commento ha fatto velocemente la stessa fine del primo. Ahinoi, che personaggio tristanzuolo, ‘sta Lipperini*-°

(Foto tratta da

http://iannozzigiuseppe.files.wordpress.com/2011/10/lipperini.jpg?w=300&h=246 )

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VENEZIA COME CANDIA?

21 novembre 2011

Copertina di Venezia sull'orizzonte degli eventi

Ho finalmente letto il bel libro “Venezia sull’orizzonte degli eventi”, a cui avevo accennato nel post del 29 ottobre scorso: http://lucioangelini.splinder.com/post/25707037/lucio-angelini-sullorizzonte-degli-eventi

Nel frattempo, ho anche conosciuto di persona l’autore Renato Pestriniero in occasione di una recente presentazione libraria alla Scoleta dei Calegheri (“VENEZIA IN GUERRA”, Quattordici secoli di storia, politica e battaglie”, dello storico veneziano Federico Moro).

Nella mia copia del libro di Pestriniero figura la dedica autografa “A Lucio Angelini, con il quale mi trovo sulla stessa lunghezza d’onda”. La lunghezza d’onda a cui l’autore si riferisce, ovviamente, è quella della mia sconsolata lettera al Gazzettino del 25 giugno scorso, riportata pagina 142 del libro, con la SUPPLICA AGLI AMMINISTRATORI VENEZIANI (vedi il post del 29 ottobre 2011). Pestriniero, infatti, mi annovera tra i “veneziani che questa città la amano ancora, veneziani stanchi, delusi, che si sentono impotenti di fronte a una politica estranea alle loro necessità, alla razionalità, al buon senso”. Chissà se Pestriniero apprezzerebe quest’altra mia lettera, ancora più drammatica:

http://salviamovenezia.wordpress.com/2011/10/21/venice-ou-les-malheurs-de-la-vertu/

In “Venezia sull’orizzonte degli eventi” Pestriniero si interroga sui destini della città nel marasma degli sconvolgimenti economici, tecnologici e socio-politici attualmente in corso. “Gli astrofisici – ci ricorda la quarta di copertina – chiamano così [orizzonte degli eventi] la barriera immateriale che circonda il mistero dei Buchi Neri al di là della quale gli elementi sui quali abbiamo fondato la nostra identità non hanno più valore né significato. Oltre quel limite c’è l’ignoto, nulla è comprensibile, nemmeno lo spazio e il tempo sono gli stessi. Venezia, città dell’Uomo minuscola ma internazionale, unica utopia realizzata, non appartiene solo a interessi particolari ma all’umanità intera. In realtà, all’inizio del terzo millennio essa si trova dinanzi a un orizzonte di imprevedibilità, stritolata tra realtà opposte alla sua natura e filosofie socio-politiche che invocano rivitalizzazione ma provocano sradicamento e degrado.” Il libro si avvale di due prefazioni, la prima a firma di Ivo Prandin (“L’Utopia che vive”), la seconda del docente universitario Alessandro Scarsella (“Venezia Anno Domini”), da cui riporto quanto segue:

“… Venezia permane sotto assedio come lo fu senza speranza Creta, la veneziana Candia, dall’avanzata turca. Resistette dal 1647 AL 1669. Ma l’azione a tenaglia del nemico appare ora irrefrenabile: con il Mose e la subway metropolitana in agguato, stritolando il territorio lagunare sulla diagonale nord-est sud-ovest Alberoni-Lido e Tessera-Fondamente Nove, lascia temere che non saranno concessi ventidue anni di attesa. Del resto l’accerchiamento e la distruzione delle catene di difesa esterne è un principio elementare della strategia noto a qualsiasi adolescente esperto di risiko, con la piccola differenza che qui si gioca “a soldi” e la posta finale è la resa senza condizioni di Venezia”.

Naturalmente i mali che Pestriniero passa in rassegna sono ben noti: il degrado urbano (“è come se un diamante fosse tenuto in un sacco per le immondizie”), le porte della città spalancate al mondo senza alcuna regolamentazione (“venghino venghino! più gente entra più soldi arrivano!”); i 21 milioni di turisti annuali “che producono ciascuno in media un chilo di immondizia al giorno” a fronte di uno spopolamento residenziale sempre meno contrastato (= assoluta mancanza di una seria politica della casa), il mancato rispetto dell’ambiente lagunare, gli inauditi sperperi di danaro pubblico per opere di pura speculazione (molte perplessità anche sul progetto di dighe mobili alle bocche di porto conosciuto come “Mose”), le maxinavi da crociera fatte passare a pochi metri da San Marco e via discorrendo.

Pestr

(Renato Pestriniero)

Devo dire, a consolazione mia e, spero, anche dello stesso Pestriniero, che in città qualcosa si sta muovendo. Stiamo assistendo, negli ultimi tempi, a un proliferare di movimenti e associazioni di cittadini tutt’altro che rassegnati a subire passivamente l’arroganza e la malafede di certi politici e amministratori, più sensibili al fascino dei profitti immediati che a quello di una duratura tutela della città e dello specialissimo ambiente in cui è inserita. Long live Venice, dunque, e la più breve vita possibile alle mafie che la stanno accerchiando per affrettarne la RESA ai propri interessi privatistici:

http://salviamovenezia.wordpress.com/2011/11/16/una-voce-per-il-lido/

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LE SEI VOCAZIONI DI LOREDANA LIPPERINI

27 dicembre 2011

Ho trovato ***irresistibile*** l’incipit dell’articolo “Loredana Lipperini e quei piccoli fastidiosissimi pesci” di Giuliano Compagno sulle liste degli EAP (editori a pagamento) divulgate dalla tenutaria di Lipperatura.

http://rassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/getPDFarticolo.asp?currentArticle=18M0QW

“Godendo di almeno quattro vocazioni (per Wikipedia sarebbe giornalista, scrittrice, autrice e conduttrice radiotelevisiva), per semplicità mi rivolgo alla quinta, quella blogger…”

Non ho resistito alla tentazione di inviare e, naturalmente, farmi censurare il commento: “Io, come è noto, tendo a privilegiare la sesta: la censuratrice medievale):-)”

Quanto agli editori a pagamento, ho le stesse idee che sui corsi di scrittura creativa o sulla cartomanzia a pagamento: utilità sociale o letteraria zero. Appetibili introiti, in compenso, per chi li gestisce. Dopodiché: chi è causa del suo mal, pianga se stesso…

(Immagine da http://stliq.com/c/l/6/69/17587800_parola-ordine-editoria-pagamento-0.jpg )

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WU MING ZERO IN VACANZA SULLA STRISCIA DI GAZA

23 dicembre 2011

Lamentava Helena Janekzek in Facebook mercoledì scorso:

«Apro Facebook e salta fuori il primo piano di un bambino con il cervello che cola fuori dal cranio. Ma forse è meglio dire di un cervello che cola fuori dal cranio di un bambino. È l’aggiornamento di WuMingzero e dice: “Israele fa questo e ora non rompete i coglioni con gli israeliani buoni e gli israeliani cattivi”. Davanti al bambino e al suo cervello fuoriuscito non ho intenzione di rompere i coglioni a nessuno. Non ho mai visto un’immagine simile, nemmeno di un adulto. Se esiste un uso semplice, non falsamente enfatico, della parola shock, forse sarebbe il caso di usarla. Un senso di costrizione che va dall’imbuco dello stomaco sino al torace, sotto alla gola. Avrei voluto scegliere di vedere quell’immagine, non trovarmela laddove lo sguardo è abituato a scivolare su videoclip e foto di tramonti o gatti. E no, c’entra pochissimo che quel bambino sia un bambino palestinese ammazzato dagli israeliani. C’entra solo la violenza della sua morte commisurata alla massa enorme di materia che gli esce dalla fronte e c’entra la violenza di esserne diventata spettatrice senza volerlo.»

Seleziono qualche commento:

(Wu Mingzero) chiedo scusa helena ma nn mi pare, sinceramente, che la mia pagina sia “permeata” di videoclip e “tramonti” a meno che tu nn ti riferisca al tramonto dell’umanità…. un abbraccio a te

(P.Z.) Ho visto la foto, ed è durissima. Tuttavia, condivido l’opinione di WuMing: non credo che FB sia fatto solo per i tramonti… Quella foto esiste, quel bambino esiste. E qualche volta serve che qualcuno ci spiaccichi in faccia la realtà per quello che è – che ci piaccia o no – per indurci a riflettere… è una provocazione, ma nel senso alto del termine: vuole provocare qualcosa in noi

(Helena Janeczek) Neanche io penso che fb sia solo per i tramonti. E non mi sogno di denunciare nulla. Volevo solo riflettere con voi su come queste immagini riescono a agire in un mezzo dove hai un frame fatto perloppiù di immagini innocue o decisamente cazzare. Questo anche per chi tende usare il mezzo in un certo modo.

(Lucio Angelini) Sulle reali intenzioni degli shock wumingheschi nutro parecchi dubbi da diverso tempo.

(Helena Janeczek) Lucio, facciamo che stiamo parlando di una questione più generica??? Tipo “violenza delle immagini” e uso appropriato e inappropriato del medesimo.

(Lucio Angelini) Personalmente trovo più violente le parole: “Israele fa questo e ora non rompete i coglioni con gli israeliani buoni e gli israeliani cattivi”.

(Wu Mingzero) veramente lucio la frase nn contemplava l’ “ora” e io trovo molto violento il volersi tuffare a venezia a capodanno… [riferimento a una mia dichiarazione nella mia pagina ] poi, virgola, a tempo e luogo, se vorrai., e spero di no, mi racconti che ne sai tu delle intenzioni degli shock wuminghescki? ahahahahah scusa ma a volte nn ci si trattiene….. un sorriso anche a te, va….

(Lucio Angelini) ‎”se vorrai e spero di no”. vengo incontro alla tua speranza.

(Francesco Pecoraro ) L’uso dell’immagine shock al posto delle parole, delle argomentazioni, è una scorciatoia efficace. Tuttavia c’è immagine e immagine. Rispetto a questa, atroce, che mi smuove i precordi, ritengo molto più istruttive le mappe storiche della progressiva presa di possesso da parte di Israele del territorio palestinese, della sua frammentazione in sacche e strisce, più facilmente gestibili, eccetera. Le mappe parlano alla mente, il che tutto sommato è preferibile e con effetto più duraturo.

(Silvia Maiocchi ) la cosa davvero tremenda è che tutto è mescolato, shock e gattini, ragioni e torti, passato e presente. E come i colori quando si mischiano velocemente tutte queste impressioni rischiano di produrre solo un bianco abbagliante, una pagina muta da voltare. Sapere non è essere spettatori: un tempo sapere era esserci. Accarezzare il gattino, e anche il bambino morto. Cosa distingue, oramai, realtà e finzione? Propaganda e leale informazione?

(Lucio Angelini) Ma c’è pur sempre il tuttologo di turno, in grado di spiegarti – appunto – TUTTO.

(Francesco Pecoraro) Anche non spiegare mai NIENTE, anche tenersi sempre sul generico, però.

(Bottone Vladimiro) Basta postare la foto di un bambino israeliano ridotto a brandelli da un kamikaze e si potrà dire esattamente l’inverso. Peccato che internet pulluli di gente che non sa, non legge, non visita i luoghi e, per di più, porta i paraocchi ideologici, i più esiziali da sempre. Due popoli, due Stati e, soprattutto, due democrazie in Palestina. Una già esiste. Aspettiamo l’altra.

(Lucio Angelini) @Valdimiro. ” Basta postare la foto di un bambino israeliano ridotto a brandelli da un kamikaze e si potrà dire esattamente l’inverso“. Clap clap.

(Zauberei Putipù ) Questa ultima tranche di commenti devo dire mi ha molto confortata. Perchè Isreaeliani e Palestinesi hanno bisogno di un aiuto alla integrazione nella complessità – nel caso proprio non riuscissimo a esimerci dall’avere un ruolo che pare n…on ci riesca – non hanno bisogno invece di un occidente che in poltrona da casetta non trova niente di meglio che darsi calci nelle budella a suon di foto scandalose per dire daje menaje daje menaje reagisci – tanto che ci frega? alla fine si scannano loro, il nostro è un problema di partite di calcio. Helena ha ragione a dire che è un problema di uso delle immagini, perchè questo è solo un esempio del modo di fare politica oggi, o meglio: di non farla. Siamo fermi all’idea che una certa popolazione abbia bisogno di essere informata e quindi usiamo questa cosa come alibi per un uso improprio di cose che sono invece veramente mortali e agghiaccianti. Invece siamo informati anestetizzati e fingiamo di occuparci di Israele e della Palestina per alla fine fare poco e niente di tutto il resto.

(Lucio Angelini) Me lo vedo Wumingzero in vacanza sulla striscia di Gaza a catturare l’avventura:-)

(Francesco Pecoraro) A dirla tutta, trovo che l’uso dell’immagine del bimbo de-cerebrato (che siano stati gli israeliani dobbiamo crederlo sulla parola) per inferire la considerazione che non esistono israeliani buoni, sia una cosa al limite del barbarico, la cui unica scusante può essere la rabbia. Poi che non esistano israeliani buoni, vale a dire israeliani che si oppongono DAVVERO alla politica di pulizia etnica di fatto che il loro paese sta portando avanti dal ’46, non è nemmeno vero. Per esempio c’è lo storico Ilian Pappé (La pulizia etnica in Palestina, Fazi 2008), ci sono i giornalisti e gli intellettuali che lavorano per il giornale Ha’Aretz. La tesi di Pappé è che l’unica soluzione REALMENTE possibile, perché è la più giusta, vale a dire la meno ingiusta, è quella di uno stato unico israelo-palestinese, democratico e pacificato, sul modello del Sudafrica di Mandela. Credo che la visione di certe immagini non faccia che fomentare l’odio. E l’odio fa comodo solo agli Israeliani.

(Nando Vitale ) Torno alla questione generale. Il conflitto arabo israeliano palestinese è uno dei nodi della contemporaneità e segna ferite profonde, spesso irrevocabili nelle coscienze degli uni e degli altri. Io credo che per questa ragione, per la sua …crucialità, vada affrontato con conoscenza storica dei fatti e senza demonizzare nessuno. Mostrare una foto del genere con l’aggiunta di un commento del genere, non fa fare alcun passo in avanti verso la pace, anzi, come si può notare, accende ancora di più i conflitti trasformando il teatro di una tragedia in materia di tifo per ultras. La testa di un bambino ridotto in quello stato suscita orrore a prescindere dalla nazionalità così come susciterebbero orrore le foto delle centinaia o forse migliaia di studenti israeliani esplosi su un autobus mentre andavano a scuola oppure erano in discoteca. Chiedo maggiore responsabilità a tutti quando si trattano tragedie di questa portata.

(Jane Bowie) Alla fine è soltanto l’ennesimo bambino vittima della cattiveria e la stupidità degli adulti, in tutto il mondo, in tutti i tempi. Non c’è bestia più feroce che l’essere umano adulto.

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PREMIO CALVINO

4 gennaio 2012

Scriveva Antonio Prudenziano il 3 gennaio scorso su Affari Italiani:

Cool-tura

Gli scrittori di domani? Lanciati sempre più dal “Calvino”: 5 finalisti in libreria dopo neppure un anno, e…

L’INCHIESTA SUL PREMIO DEL MOMENTO/ Lo Strega? Il Campiello? Oltre ai due premi letterari che fanno vendere più copie si sta imponendo sempre più il Calvino (destinato a esordienti assoluti), che quest’anno compie 25 anni (negli anni ha già lanciato la Tamaro e la Veladiano, per fare solo due esempi): ben 5 finalisti del 2011 saranno in libreria nelle prossime settimane (per Nutrimenti, Elliot, Frassinelli e Dalai…) e sempre durante il 2012 altri ex finalisti del Calvino dovrebbero debuttare. Autori che hanno trovato un editore a pochi giorni dal verdetto della giuria di un premio considerato trasparente e sobrio, che ormai garantisce quasi la certezza di arrivare in libreria… Nel 2012, visto il crescente successo (che si misura in termini di attenzione da parte delle case editrici), il record di iscrizioni (625 i manoscritti, oltre 200 in più della media) è l’inevitabile conseguenza… Ecco come si evolve la “moda degli esordienti”… PARTICOLARI, CIFRE E NOMI…

Nel 1989 mi proposi anch’io al Premio Calvino. Come dimostra la foto di un ritaglio de “L’indice” del tempo, arrivai in finale con Alessandro Baricco (ciapa!), ma nessuno di noi due vinse. Poi lui riuscì comunque a diventare Baricco, mentre io, ahimè, rimasi solo Angelini:-)

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UN RACCONTO DI CALVINO AL PREMIO CALVINO
 
L’esperimento di scrittura medianica stava riuscendo. La mano dell’esangue scrittore inedito (anni e anni di manoscritti respinti, di pugnalate al cuore…) aveva iniziato a muoversi nel buio.
Scrisse solo: “L’ele”. E si bloccò.
“Calvino! Calvino! Italo Calvino!” urlò mentalmente Vitalino Calò, irrigidendosi tutto. “Scrivilo tu il racconto! Vincilo tu il premio Calvino dell’89! Compi questa suprema ironia!”
La penna riprese a tremolare. Tracciò sette lettere, “fangelo”, che si aggiunsero alle precedenti di “L’ele”.
Sì, certo! L’elefangelo…
Ma che strano titolo!
 
Due ore dopo il racconto era lì sul tavolo, davanti a lui, pronto da spedire alla redazione de L’Indice, Premio Italo Calvino. Autore: Italo Calvino. Esecutore medianico: Vitalino Calò.
Vitalino Calò si sentiva svuotato, trasparente. Ma guarda tu cosa gli era toccato di fare!
Il suo viso, nel buio, pareva una bacca di gelso spruzzata di farina.
Un senso di torpore, di freddo.
La sua mano era diventata una pinna.
Accese la luce.
Lo lesse cento volte, sempre più sconcertato, quel racconto per bambini:
 
L’ELEFANGELO
C’era una volta un grosso elefante grigio che tutti chiamavano, senza troppa fantasia, Grigione. Se ne stava tutto il tempo in mezzo al prato, immobile come un bel monumento, a meditare.
Un giorno gli si avvicinò un bambino con un secchio di vernice rosa:
– Ciao, Grigione, – gli disse. – Potrei… dipingerti tutto di rosa? Hai un colore troppo triste!
Grigione rifletté un istante, lo guardò come se fosse matto e tutto d’un tratto, senza dire assolutamente nulla, ghermì il secchio con la proboscide e glielo rovesciò in testa.
Il bambino si allontanò sconsolato, gocciolante di pittura rosa. Ma non si dette per vinto.
Il giorno dopo, mentre Grigione se ne stava in mezzo al prato a meditare come al solito, il bambino tornò alla carica. Questa volta aveva un secchio di vernice gialla.
– Quel rosa… beh, è vero, non era certo il colore più adatto per un elefante grande e grosso come te – borbottò – … un po’ femminile, oltretutto. Ma guarda questo giallo: non è stupendo? Un’autentica meraviglia… Dai, ti prego, lasciami provare. Lascia che ti dipinga di giallo.
Grigione lo squadrò dalla testa ai piedi, ancora più infastidito e sorpreso del giorno prima. E di nuovo, allungata la proboscide, ghermì il secchio e glielo rovesciò in testa.
Il bambino non si fece vedere per una decina di giorni.
L’elefante, immerso nelle proprie meditazioni, non si spostava dal prato nemmeno per andare a fare pipì.
Ed ecco, l’undicesimo giorno, riapparire il bambino.
Questa volta aveva un secchio di vernice rossa.
– Grigione, ti prego – esordì. – Sii buono, lasciami provare. Vedrai che non te ne pentirai. Starai benissimo, in rosso. Sembrerai un elefante dei fumetti.
Aveva gli occhi talmente luccicanti che a Grigione fece tenerezza. Ma sì, dopotutto… che gliene importava?
– E va bene, dipingimi di rosso, – sospirò. – Se ci tieni così tanto!
Il bambino si mise subito all’opera. Gli spennellò le orecchie, il dorso, la proboscide, la coda, le zampone, il sederone…
E il risultato non fu deludente.
Grigione stesso dovette ammetterlo.
Venivano a vederlo da ogni parte della città, quel bestione di un rosso smagliante, immobile nel verde del prato.
E Grigione, benché fingesse di non scomporsi, ne era segretamente lusingato.
Un giorno, un brutto giorno, scoppiò un acquazzone terribile. La pioggia si rovesciò a tinozze sul dorso del magnifico elefante. Certo, era fresca, quell’acqua, ma… quando smise di piovere, quale non fu la sua sorpresa nel constatare che il colore se ne era andato del tutto?
Grigione era di nuovo come un tempo: grigio, grigio, desolatamente grigio. Ai suoi piedi, una pozzanghera rossa.
– Ma che cos’ha di speciale, quest’elefante? – sentì brontolare una ragazzina venuta apposta a vederlo da una città vicina. – A me sembra proprio un elefante qualsiasi. Mi avevano detto che era speciale, che aveva un colore meraviglioso! Che sciocca sono stata a fare tutta questa strada per niente!
Grigione ci rimase male. “Ah, se tornasse il mio amico pittore!”, pensò. “Speriamo che venga presto a trovarmi.”
Ed ecco, fortunatamente, di lì a pochi giorni riapparire il bambino pittore.
– Accidenti, Grigione! – esclamò, sgranando gli occhi. – Non hai più nemmeno una chiazzettina di rosso. La pioggia ti ha lavato via tutto il colore!
– Accidenti! – gli fece eco Grigione, fiducioso.
Il bambino capì e gli sorrise.
– Niente paura, Grigione, lascia fare a me.
Scappò via e riapparve un’ora dopo, con un enorme secchio di pittura azzurra, il colore del cielo.
– Ti dipingerò di azzurro – gli disse – di un bell’azzurro cielo!
Grigione lo lasciò fare, docile docile.
L’elefantone era così azzurro, alla fine, da sembrare un pezzetto (nemmeno troppo piccolo) di cielo.
– Grigione, – esclamò il bambino – sei magnifico! Un vero splendore! Quasi quasi ti attacco anche delle ali.
Scappò via come un fulmine e riapparve una decina di minuti dopo con due bellissime ali di cartone.
Grigione se le lasciò attaccare sul dorso senza obiezioni.
– Ma quello non è un elefante! – esclamavano i bambini, che accorrevano a frotte a vederlo. – E’ un angelo! Anzi, un elefangelo! E’ un pezzetto di cielo a forma di elefante!
D’un tratto, con grande sorpresa di tutti, le ali sul dorso di Grigione presero a scuotersi, a vibrare, a sollevarlo, prima goffamente, poi con decisione.
Ma sì, Grigione si era staccato da terra, volava.
– Addiooooo, Grigioneeee!!! – urlavano i bambini, sempre più piccini sotto di lui, man mano che si levava in alto, in alto, sempre più in alto.
– Ciao, bambiniii!!! – barriva l’elefante color cielo, librandosi sempre più distante sopra di loro.
Si confondeva con l’azzurro del cielo, ormai.
– Addio, Grigioneeeee!
– Addio, bambiniiiii!!!
Presto, di Grigione, non restò che un puntolino indistinto. Infine, nemmeno più quello.
Se ne era andato, Grigione, era sparito lassù, nel cielo, chissà dove!
Il primo elefangelo che si fosse mai visto.
 
Vitalino Calò era perplesso.
Che avesse frainteso tutto, quel fanciullone di Calvino?
Che avesse scambiato il concorso torinese per il premio Andersen?
Mah! Bah!
Guarda tu!
Uffa!
Al diavolo!
Piegò il racconto, lo mise in una busta e appose l’indirizzo: Premio Italo Calvino 1989. Redazione de L’Indice. Via Andrea Doria, 14. 10123 TORINO.
E improvvisamente gli tornarono in mente le Lezioni americane. Quella sulla leggerezza, in particolare.
Leggerezza… leggerezza… il pachiderma azzurro che si solleva…
 
Non ebbe più dubbi.(1)
(1) Il racconto entrò effettivamente nella rosa dei finalisti, ma il premio – yawn! – fu poi assegnato a qualcun altro. In compenso “L’elefangelo” piacque alla mitica Orietta Fatucci, che, tagliati via cappello e coda, lo pubblicò nella raccolta “Quella bruttacattiva della mamma!”, per le edizioni E. Elle (oggi EL) di Trieste. Il volumetto ebbe anche un’edizione francese per l’editore Flammarion. 

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RAPA NUI

29 febbraio 2012

Ieri, bighellonando su Facebook, sono incappato nella foto riprodotta qui sopra, appena postata da Iris Claudia P.

Davanti a tanto ciuffo, non ho resistito all’idea di commentare:

“A me, invece, il barbiere fissa la macchinetta a 9 millimetri e me la passa su tutto il cranio. Entrando, pronuncio la magica formula ‘RAPA NUI’.”

Iris:

“Potresti evitare il barbiere e provare da solo. Diresti semplicemente : Rapa moi.”

Io:

“No, solo Loris, il barbiere del Lido, è in grado di capire la complessità della mia testa.”

[Rielaborazione artistica dei Moai dell’ Isola di Pasqua (in lingua nativa Rapa Nui)]

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FORME DI MISTICISMO INDOTTE CHIMICAMENTE

24 febbraio 2012

Il titolo di questo post è anche quello della mia prima tesi di laurea (2° metà del secolo scorso). Vi analizzavo, per esempio, l’uso sacramentale del peyote presso la Chiesa Nativa Americana:

http://it.wikipedia.org/wiki/Peyotismo

Citavo le esperienze con la mescalina descritte in “Le porte della percezione” di Aldous Huxley, le ricerche di Walter N. Pahnke (“Drugs and Mysticism: An Analysis of the Relationship between Psychedelic Drugs and the Mystical Consciousness“) eccetera.

Quale non è stata la mia sorpresa, ieri, nel leggere sui quotidiani la notizia:

Farina all’Lsd nelle ostie della comunione

con tanto di rimando alla fonte Abruzzo24ore.tv/news ?

Copio-incollo il pezzo:

Una normale messa domenicale in una qualsiasi parrocchia cittadina può tramutarsi all’improvviso nel caos: questo è quanto è accaduto domenica scorsa nella chiesa del Santo Spirito di Campobasso. Tutto scorreva come in mille identiche funzioni religiose fino al momento dell’eucarestia quando, dopo aver ingerito le ostie, tutti i presenti si sono letteralmente scatenati. C’era chi sosteneva di vedere il proprio santo prediletto, chi in balia di visioni infernali abbracciava il crocifisso, chi rubava il calice del vino al prete, il povero don Achille, costretto a nascondersi in confessionale inseguito da due vecchine che lo prendevano a borsettate dandogli del demonio. Padre Achille, approfittando della bolgia è riuscito poi a seminare le due donne e si è involato verso la sagrestia, dove ha chiamato le forze dell’ordine che sono riuscite a sgomberare l’edificio, nonostante le resistenze dei fedeli che hanno iniziato una guerriglia convinti fossero “cavalieri dell’apocalisse”. “Mai visto niente del genere e sono stato al G8″ ha dichiarato uno sconvolto poliziotto. Il fenomeno è stato spiegato dalla polizia scientifica con la definizione di “ergotismo”, una intossicazione cronica di origine alimentare provocata da farine di cereali contenenti gli sclerozi della segale cornuta, il principio di base dell’LSD. Pare infatti che la farina usata per le ostie fosse infetta e allucinogena; l’effetto di questa droga è quasi istantaneo e sopravviene in meno di un minuto quando è assunta sotto questa forma.

Il famoso detto “non essere farina da ostie” ha da oggi un signifcato in più.

(Da http://www.abruzzo24ore.tv/news/A-Campobasso-Ostie-allucinogene-e-caos-durante-la-funzione/72420.htm )

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PERVERTENDO PREVERT

14 febbraio 2012

(La tomba di Bertold Brecht a Berlino)

Ripropongo una dei miei  migliori post sulla neve, già uscito in Splinder (“Lucio Angelini riscrive Prévert”):

«Rappelle-toi Barbara

Il neigeait sans cesse sur Brecht

ce jour-là

Et tu marchais souriante

Épanouie ravie ruisselante

Sous la neige

Rappelle-toi Barbara

Il neigeait sans cesse sur Brecht… »

(Jacques Prévert, Barbara)

http://www.youtube.com/watch?v=ixKVMDoBqPg

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OGNI TANTO GIULIO MOZZI È SIMPATICISSIMO

29 marzo 2012

Ogni tanto Giulio Mozzi è simpaticissimo, per esempio oggi nel suo nuovo post “Le sette ragioni per le quali non si può sostenere che Giulio Mozzi sia uno scrittore“, dove ha scritto:

1. Si dice: “Chi è scrittore se lo sente dentro”. Lui, benché si sia ascoltato attentamente, non se lo sente dentro.

2. Si dice: “La scrittura è una passione divorante”. Lui, tutto sommato, non si sente molto divorato: al massimo, mordicchiato qua e là, e saltuariamente.

Le altre cinque ragioni qui:

http://vibrisse.wordpress.com/2012/03/29/le-sette-ragioni-per-le-quali-non-si-puo-sostenere-che-giulio-mozzi-sia-uno-scrittore/

P.S. Io, a differenza di Giulio, mi sono sempre sentito scrittore dentro e anche adeguatamente divorato, ma non sempre quelle brutte merde degli editori l’hanno capito:-)

(Foto da Vibrisse)

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CONFERITI DUE MERAVIGLIOSI TONDI ALLO ZABAIONE AL RACCONTO RESPINTO AL PREMIO ZUCCA

5 aprile 2012

Ieri pomeriggio, bighellonando in piazza Ferretto a Mestre, sono incappato nella vetrina di una gelateria in cui facevano bella mostra di sé dei meravigliosi tondi allo zabaione ricoperti di cioccolato e nocciole grattugiate. Ne ho subito conferiti due al racconto appena respinto dagli zucconi del premio Zucca Spirito Noir [vedi post di ieri].

Questo il racconto:

SINOSSI: Il protagonista scrive direttamente al “cestino” del direttore di una rivista di psicologia intorno a una personale esperienza di liberazione da un incubo.

AUTORE: Lucio Angelini
 
L’INCUBO
 
«Gentile cestino del dott. ***,
 
premetto che mi sono sempre interessato di psicologia e psicanalisi, e che ho meditato spesso sui meccanismi della simbolizzazione, della riconversione, dello spostamento, sulle misure fobiche e controfobiche, sui dinamismi della rimozione e compagnia bella, pur mantenendo un sano atteggiamento di distacco rispetto all’efficacia di certi lunghi e costosissimi trattamenti. Ebbene, stanotte mi è capitato di avere un incubo, nel corso del quale sognavo di stare scappando, inseguito da una figura orribilmente minacciosa. Alla fine le mie possibilità di fuga si sono ridotte a una sorta di inghiottitoio a spirale che si restringeva sempre più e in cui avrei sicuramente finito per restare intrappolato/soffocato, se solo mi ci fossi calato. Allora mi sono voltato indietro e ho dovuto fronteggiare la figura che mi inseguiva. Curiosamente, in una sorta di “sogno dentro il sogno”, ho avuto il sangue freddo di domandarle con voce artatamente tediata: “Scusa, e tu di che cosa vorresti essere il simbolo? Dai, togliti la maschera, tanto lo so che voi personaggi dei sogni non siete che mere simbolizzazioni, utili solo a trasporre in forma narrativa le nostre più recondite paure o desideri!”

Lei non ci crederà, ma alle mie parole la minacciosa figura è scoppiata letteralmente a ridere, come sentendosi scoperta. E si è presto dissolta. Ma il colmo è stato che, svegliandomi, mi sono ritrovato in uno stato di assoluta grazia.

*** Direttore di una rivista di psicologia.»

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ANCH’IO COME GIACOMO LEOPARDI

13 marzo 2012

Ieri sera, malgrado gli eterni propositi di stare un po’ a dieta, in un momento di debolezza ho tirato fuori dal freezer la scatola dei cremini (gelati ricoperti di cioccolato) e me ne sono sparati in bocca quattro di fila. Poi, tristemente, ho ripensato al volumetto di Antonio RanieriSette anni di sodalizio con Giacomo Leopardi” e in particolare al passo:

“… aveva un furore indomabile per i gelati e nonostante la proibizione dei medici si dava ai più incredibili eccessi, a costo di veder ricominciare gli sputi di sangue, le bronchiti, le vomiche… “

Oimè, Giacomino Giacomino, quanto somiglia al tuo costume il mio :-(

ma il naufragar mi era dolce in quel mare…

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19 aprile 2012

UN CONTRIBUTO DI CESARE PASTORINO ALLA CINEMATICA DEAMBULATORIA DI FABIO PAINNET BLADE

Rileggiamo il commento di FABIO PAINNET BLADE del 17 aprile scorso in coda al post:

http://lucioangelini.wordpress.com/2012/04/11/vivere-di-scrittura-o-di-insegnamento-della-scrittura/

« “Valutazione” non è associazione a un valore numerico. Questa è
standardizzazione, cioè applicazione della cultura standardizzante cartesiana, di cui Werner Heisenberg è stato uno dei principali critici fra gli scienziati moderni, come ho accennato nello stralcio. Heisenberg sarebbe stato uno dei maggiori sostenitori di Keating a voler sviluppare il tema nei suoi risvolti tecnici (due culture significa proprio questo). Scrissi un articolo per la edi ermes (e diversi altri simili per varie riviste specializzate) in cui sostenevo esattamente l’inutilità delle procedure standardizzanti, non nella valutazione di opere d’arte ma nei confronti di una materia che si chiama cinematica deambulatoria, quindi nel cuore stesso del contesto scientifico propriamente detto. Il Sapere quindi non ha seguito un indirizzo monolitico ma si è evoluto secondo due approcci differenti e contrapposti, uno dei quali è appunto quello standardizzante che – s’è visto – non funziona nemmeno in determinati campi (scientifici) d’indagine . Prima di WH , N. Bhor, (scuola di Copenhagen) et al. , si era indotti a credere non esistessero altri metodi applicativi, ma la rivoluzione quantistica è stata proprio l’affermazione di una metodologia supportata da criteri nuovi, non causali e non-standardizzanti… »

Ebbene, tale commento mi ha fatto tornare in mente l’ analisi di una mia poesia giovanile (“Scherzi di natura”) operata da una prestigiosa firma del newsgroup it.cultura.libri nella sua fase aurea: Cesare Pastorino.

Questa era la poesia:

SCHERZI DI NATURA

C’era una volta

un brutto cigno.

Poveretto,

aveva il collo

taurino.

Un giorno

incontrò un toro

assai ridicolo:

poveretto,

aveva un collo

da cigno.

Il cigno

lo guardò

con aria arcigna,

poi prese il toro

per le corna

e disse:

“Madre Natura

si è divertita

alle nostre spalle… “

“Mi pare evidente”,

convenne il toro

con aria scornata.

“Be’,”

disse il cigno.

“Non prendiamocela.

Non ne vale la pena.

In fondo

siamo solo

degli innocenti

scherzi di natura!”

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E questa è l’analisi del professor Pastorino:

«Carissimo Lucio, io credo veramente che le vette dell’arte poetica stiano in un punto della retta f=f ‘ dello spazio delle frequenze in cui sono in equilibrio il massimo di contenuto della lingua, X(t), e il minimo del ‘segnale’, Y(t). Come è stato ampiamente dimostrato dagli studi di Landau negli anni ’30 e più recentemente confermato dal gruppo di Rouelle e Beneforti a Ginevra, la debolezza del ‘segnale’ è ciò che permette di cogliere i contenuti che il poeta, usando consapevolemente questa ricchezza di possibilità espressive e comunicative della lingua, cerca di mettere nel suo lavoro. In questo senso, la Fast Fourier Transform della tua poesia mi conferma l’esistenza di picchi nell’ultravioletto, ed un massimo del contenuto linguistico per f=fH= frequenza di Heaney, con un minimo del segnale Y per lo stesso valore di frequenza. In generale, poi, il rapporto segnale/rumore della tua poesia è molto basso, cosa che è ovviamente assai positiva. Ci sarebbe in effetti una risonanza per f = 10fH, ma io credo si possa eliminare, semplicemente inserendo un opportuno filtro lock-in in uno stadio iniziale del componimento – suggerirei dopo il secondo verso. Tutto questo per dirti che la tua poesia è un capolavoro e l’analisi spettrale lo dimostra senza ombra di dubbio. I miei più sinceri complimenti. Cesare »

[RISULTATI DELL’ANALISI SPETTRALE TRAMITE FFT della poesia di Lucio Angelini “Scherzi di natura”. Cesare Pastorino. 26 marzo 2001 23:58]

COMMENTI

  • Lucio Angelini Dice:
    19 aprile 2012 alle 07:52  Leggo in rete:“Salve,sono una ragazza di 19 anni. Premetto che non faccio alcun tipo di attività fisica e non faccio lunghe camminate, causa un neuroma di morton al piede sinistro che mi provoca molto dolore se cammino a lungo. Da 3 giorni avverto un forte dolore nella zona posteriore del ginocchio destro…”Risposta del Dottor L. Grosso:“La presenza di un Neurinoma di Morton non è solo un problema del piede (in termini di sintomatologia algica) ma è anche una stimolazione propriocettiva che si riflette su tutta la CINEMATICA DEAMBULATORIA (con ripercussioni sulla caviglia, sul ginocchio e sull’anca). E’ difficle stablire cosa sia successo al suo ginocchio senza un controllo clinico, pertanto le consiglio vivamente di effettuare una visita dallo specialista ortopedico.
    Auguri.Dr. Luigi Grosso
    Ortopedico-Chirurgia Articolare Artroscopica Spalla” 

Il punto di partenza di Fabio è: “la rivoluzione quantistica è stata proprio l’affermazione di una metodologia supportata da criteri nuovi, non causali e non-standardizzanti”. A parte che non capisco se “causali” sia un refuso (= da intendere come “casuali”), Fabio non ci ha ancora spiegato come possa valutare un’opera d’arte se non in riferimento a relativissimi canoni estetici (propri di singole ed effimere correnti o fasi storiche) e al senso critico sviluppato da alcune persone particolarmente sensibili e colte, ma pur sempre suscettibili di essere contraddette da altre non meno sensibili e colte, a parità di opera esaminata.

P.S. Si pensi allo Zdanovismo: “Ždanov fu inflessibile nell’imporre il cosiddetto realismo socialista e nel liquidare ogni fermento di libertà essendo promotore di una serie di azioni atte a censurare la produzione artistica e letteraria in Unione Sovietica. Le opere NON CONFORMI AGLI IDEALI DEL PARTITO venivano accusate di “formalismo” e censurate; gli autori di queste “deviazioni” venivano ammoniti pubblicamente; l’opera Lady Macbeth del distretto di Mzensk, del celebre compositore Dmitrij Šostakovič venne pesantemente accusata nel gennaio del 1936 tramite un articolo apparso sulla Pravda, intitolato Caos anziché musica. Il triennio detto Ždanovščina (“Era di Ždanov”, 1946-48) segna il culmine di questa situazione di controllo e repressione…” (Wikipedia).

Certo, lì il bello dell’arte coincideva con l’aderenza agli ideali del partito. Scientificissimo. Epperò…

fabio painnet blade Dice:
24 aprile 2012 alle 07:54   Ci tengo sia chiaro però che la cinematica deambulatoria, cioè il cammino umano, non è una rappresentazione scelta a casaccio. Perchè dunque credete sia possibile (e coerente) misurare il modo di camminare di un essere vivente mentre ritenete inadatto applicare un criterio ‘relazionante’ a un prodotto artistico?
.Qualsiasi valutazione non può essere generalizzata: migliore o peggiore, ma richiede un orientamento di indagine che, come avviene (dovrebbe avvenire ) nelll’arte consentta di esaltare la possibilità di afferrare relazioni (similitudini, differenze etc.) con la realtà.
Qusta è una premessa di cui nessuno tiene conto.

  • Lucio Angelini Dice:
    24 aprile 2012 alle 08:07  Insomma siamo di nuovo al punto di partenza. In attesa che la scienza arrivi a misurare l’arte e il grado di “piacere estetico” che è in grado di fornire a fruitori fra loro diversissimi, non ci resta che continuare a goderne secondo la nostra individuale preparazione, sensibilità e cultura.
  • fabio painnet blade Dice:
    24 aprile 2012 alle 08:11 L’esempio dello zdanovismo è attinente. in quel caso, siccome gli intellettuali (secie quelli in siberia) non erano certo nelle condizioni di fornire un loro criterio di orientamento qualitativo, l’autorità ha introdotto il proprio. Le differenze fra quei tempi e i nostri,sono minime, racchiuse perolopiù nell’atteggiamento degli intellettuali, non in quello dell’accademia che è invece il medesimo. I nostri letterati un criterio, di loro spontanea volontà, l’hanno scelto. Peccato che sia lo stesso dell’autorità dominante, peccato che non corrisponda ad un principio di orientamento comune definito a prescindere dai parametri economici.
    il criterio che va per la maggiore è quello della somma di opinioni di un gruppo di addetit ai lavori. Più son famosi costoro più il loro giudizio viene popolarmente ritenuto indicativo e attendibile. Ecco dunque che classe intellettuale e autorità dominante si ritrovano perfettamentesulla stessa linea d’intesa. Chi non è con loro sta ai margini. Grosse differenze dalla russia stalinista non ce n’è a parte l’assoluta mancanza di denuncia da parte di una vile classe intellettuale. ma credo sia il momento di fare qualche esempio su questo benedetto criterio di orientamento della ricerca tanto caro agli illuministi, peraltro.
  • Lucio Angelini Dice:
    24 aprile 2012 alle 08:36  @fabio. ok per la parte destruens. ora passa alla construens. grazie. se no discutiamo del sesso degli angeli.
  • fabio painnet blade Dice:
    25 aprile 2012 alle 09:09 non se ne esce certo con una battuta!Una cosa però – prima di cominciare – mi preme specificarla.
    Le riflessioni che propongo alla tua/vostra attenzione, non riguardano me, non fanno parte di impellenti bisogni interiori da esternare ai quattro venti per il fatt che non trovino interlocutori, ma esattamente il contrario: sono spesso stralci di lavori lunghi e complessi formulati in gruppi di soggetti estremamente eterogenei . In questo lavoro annale, dove ogni elaborazione è frutto di un impegno comune, non vi sono quindi paternità
    nè individualismi illuminanti, nè io ho la pretesa di attribuirmene. Se trovate sensati alcune costruzioni lo dovete dunque al pensiero di tante persone che lo hanno messo a disposizione di altre. Posso dire che è la prima volta, questo sì, che introduco certi argomenti in rete, nonostante il premuroso suggerimento di non farlo. Più che altro sono incentivato dalla possibilità di individuare nuove prospettive o validi spunti a completamento di architetture teoriche spurie, attraverso le idee di una comunità virtuale che mi sembra affine all’area intellettuale umanista. Cerco cioè di mescolare culture e modi di intender attraverso l’acquisizione di figure e rappresentazioni diverse da quelle che conosco . Però non so ancora se ho fatto la cosa giusta.Questo metodo del ‘lavoro collettivo’, lo imparai da gruppi di giovani universitari dell’area marxista ortodossa, ma solo in seguito mi avvicinai all’opera e al contributo di alcuni teologi (curioso eh?). Mi sono accorto che il confronto potrebbe arricchirsi enormemente con l’apporto
    di prospettive e punti di vista per me sconosciuti o con cui ho sempre faticato ad intendermi, ma chissà che proprio da questo contrasto non prendano spunto relazioni teoriche inattese.

    • Lucio Angelini Dice:
      25 aprile 2012 alle 09:22 @fabio. da amico ad amico: su arte, Dio, religione, bellezza, esperienze mistiche… non c’è scientificità possibile. non fare come il lupo pignolo, che perde il pelo ma non il vizio di cercarlo nell’uovo.
    • Lucio Angelini Dice:
      25 aprile 2012 alle 09:30  P.S. E’ comunque possibile che a certe esperienze estetiche, mistiche eccetera corrispondano precisi biochimismi del cervello, sulla verifica dei quali non ho alcuna possibilità di indagine. letterato fui!!!:-(
    • fabio painnet blade Dice:
      25 aprile 2012 alle 09:31  Quello che scriverò forse ci farà capire meglio i punti che condividiamo di questo discorso che per il vero tu riconduci sempre a una retorica spicciola, da filmino hollywoodiano, per l’appunto.
    • Lucio Angelini Dice:
      25 aprile 2012 alle 09:44 Perfetto. Attendo fiducioso “quello che scriverai”. Sperando che sia meno fumoso di quanto hai già scritto.

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NEL NOME DI CHARLOTTE

28 aprile 2012

Scomposta corsa per le calli di Venezia, nel tardo pomeriggio di ieri, fino alla Casa del Cinema di San Stae, nel sestiere di Santa Croce, dopo aver scoperto all’improvviso che alle 20.30 vi sarebbe stata proiettata la versione in lingua inglese di “Jane Eyre” di Fukunaga, ovviamente tratto dal capolavoro di Charlotte Brontë.

Sono arrivato a Palazzo Mocenigo con la lingua penzoloni ma in tempo per il film, di cui devo dire che valeva proprio l’affanno patito. Leggo su Mymovies:

“Non è facile ridurre il lungo e complesso romanzo di Charlotte Brontë senza il rischio di snaturarne o peggio epurarne pagine e anima. Ciò nondimeno riescono nell’impresa Moira Buffini, sceneggiatrice inglese, e Cary Joji Fukunaga, regista californiano, sceneggiando una versione struggente e ‘integrale’ di “Jane Eyre…”.

Concordo pienamente.

Della mia passione per le sorelle Brontë non ho mai fatto mistero con nessuno. Il primo vero post di questo blog era dedicato loro. Lo copio-incollo:

«5 giugno 2005. Eccomi di ritorno dallo Yorkshire, dove ho coronato l’antico sogno di visitare il Brontë Parsonage Museum (la canonica in cui vissero le sorelle Brontë, fiancheggiata da un plumbeo cimitero) ad Haworth, sotto la brughiera omonima. Ho osservato il divano su cui, appena trentenne, tirò gli ultimi Emily Brontë (“Cime Tempestose“), cui erano già morte la madre (di cancro), le sorelline Maria ed Elisabeth (11 e 10 anni) e il fratello oppiomane Branwell (31 anni). Emily aveva preso freddo, appunto, al funerale di Branwell. Ho visto la stanza riservata alle amatissime oche Adelaide e Victoria e quella in cui dormiva Charlotte, la più longeva (morì a ben 39 anni). La terza sorella scrittrice, Anne Brontë, malata anch’essa, era stata invano, nel frattempo, portata al mare a Scarborough (ricordate la canzone di Simon & Garfunkel “Scarborough Fair“?) dove era morta a 29 anni. La sua tomba è fuori la chiesa di St. Mary, sotto il castello di Scarborough. Ho visitato anche quella… »

Potrei aggiungere che una mia vecchia traduzione (“Villette“), sempre di Charlotte Brontë, mi valse l’apprezzamento di Aldo Busi:

http://lucioangelini.wordpress.com/2011/05/15/aldo-busi-su-lucio-angelini/

«Nel 1997, all’interno della collana da me diretta “I Classici classici” per la Frassinelli, pubblicai L’angelo della tempesta – Villette (1853) di Charlotte Brontë, nella stupefacentemente bella, rigorosa e musicale traduzione di Lucio Angelini, un capolavoro in sé che dovrebbe essere adottato da ogni corso di traduzione in Italiano; tengo subito a precisare che è più probabile che troviate un Codice originale di Leonardo da Vinci presso un rigattiere che non questo titolo in una libreria italiana (potreste leggerlo in Inglese, ma sarebbe un peccato, per una volta, non approfittare di mettere gli occhi su una delle ultime testimonianze di quanto ricco e invidiabile sia stato il nostro dialetto quando ancora lo si poteva considerare una lingua a tutti gli effetti), quindi, chi lo vuole, si deve armare di testardaggine e tampinare un libraio o una biblioteca fino a che non gliel’avrà procurato o non gli avrà detto dove può trovarlo in giacenza.»

(Charlotte Brontë)

Ecco, stavo pensando che… magari… con questo post dedicato a un film brontianodopo sette anni di dolenti aggiornamenti quasi quotidiani… ow… ouch… merda!… potrei anche chiudere definitivamente “Cazzeggi Letterari” … e dedicarmi – chessò io? – al restauro di “Lucio in the sky with diamonds“, per esempio. Che ne dite?

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BOCL N. 48 (PUPÙ RI DI RANDOM POST 1.)

 (Ada Tondolo nel 1946, tra i seracchi della Marmolada)
 
 
 
(Ada oggi)
 
 
13 MARZO 2006 

UNA VERA FIABA PER ADULTI:- )

Tra i personaggi di maggior spicco della sezione veneziana di Trekking Italia e anche della Giovane Montagna c’è la signora Ada Tondolo, 83 anni, un passato di medaglie d’oro nell’atletica leggera, rarissima rocciatrice ai tempi in cui solo poche elette potevano vantare la pratica della specialità e ancora oggi instancabile e stupefacente escursionista. Ieri, per esempio, è salita con noi a Forcella Lerosa, oltre Cortina (700 m. di dislivello senza batter ciglio) nella neve con le ciaspe. Durante il viaggio in macchina da Venezia ci ha raccontato questa delicata fiaba:

“Una vecchia stava tornando alla sua misera casupola con una fascina sulle spalle. A un certo punto le apparve una fata che le disse: ‘Tu sei sempre stata buona e onesta, hai lavorato tutta la vita e ancora lo fai. Meriti di essere premiata. Esprimi tre desideri e sarai esaudita.’ La vecchia ci pensò sopra qualche istante e rispose: ‘Vorrei passare gli ultimi anni della mia vita in una casa decente.’
‘Sarai accontentata’, le assicurò la fata. ‘E il secondo desiderio?’.                           ‘A che mi servirebbe una bella casa’, sospirò la vecchia, ‘se comunque restassi vecchia e malandata come sono? Vorrei tornare giovane.’
‘Bene’, le assicurò di nuovo la fata. ‘Sarai accontentata anche in questo. E il terzo desiderio?’.                                                                                                                         La vecchia rifletté e aggiunse: ‘Attualmente vivo da sola con un gatto. Be’, se davvero dovessi ringiovanire e abitare in una bella casa… mi piacerebbe che il mio gatto diventasse un bel giovanotto.’                                                                       ‘Sarai accontentata’, le assicurò la fata per la terza volta. E scomparve. La vecchia riprese il cammino e, quando arrivò nel luogo della sua ex-casupola, vide che al posto di quella sorgeva adesso un magnifico palazzo. Entrò e subito il grande specchio dell’atrio le rimandò l’immagine di una bellissima giovane. Mentre si rallegrava incredula dei due doni ricevuti, vide avanzare verso di sé un aitante giovanotto che l’abbracciò, la baciò, si sedette e la prese sulle ginocchia. La fanciulla già fremeva estasiata alle sue carezze, quando, inaspettatamente, il giovane le confessò: ‘Adesso, purtroppo, dovrai pentirti di avermi fatto castrare quando ero un gatto.’:- )

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14 MARZO 2006

Ho definito il racconto orale di Ada Tondolo, da me posto in forma scritta ieri, “una vera fiaba per ADULTI“. Aggiungo, oggi, la spiegazione delineata con esattezza da Bianca Pitzorno nel delizioso “Storia delle mie storie“, Nuova Pratiche Editrice, Parma, 1995. Eccola:

“Inseguendo l’obiettivo di definire oggettivamente la letteratura giovanile, mi sono accorta che in definitiva, per quanto strano possa sembrare, c’è un unico elemento che, per negazione, la distingue in modo assoluto e inequivocabile da quella destinata ai grandi. L’unica vera differenza SEMPRE riscontrabile nei libri di narrativa come nelle storie offerte ai più giovani dal cinema, dai fumetti, dal teatro, dalla televisione e da tutti gli altri media, è l’assenza di erotismo descritto o riferito in modo esplicito. Quando ci si rivolge ai bambini e ai ragazzi l’amore viene descritto sempre con toni romantici, o comunque platonici. Se anche la storia prevede un accoppiamento umano o animale, questo viene suggerito in modo allusivo, o si deduce dalle conseguenze (un fglio già nato; più raramente una gravidanza). Mai viene descritto un amplesso, o il desiderio consapevole di un amplesso. Mai vengono descritti e neppure nominati organi sessuali umani o animali (a meno che non servano unicamente per fare pipì). Non sono l’unica ad essersene accorta. Nel saggio ‘Il linguaggio della notte’, pubblicato in Italia dagli Editori Riuniti nel 1986, Ursula K. Le Guin scrive con amara ironia: ‘Sicuro che è semplice scrivere per ragazzi. Semplice proprio come allevarli. Tutto quello che c’è da fare è eliminare tutto il sesso, utlizzare paroline brevi e ideuzze stupide, ed evitare di spaventare troppo, ed essere sicuri che vada a finire bene’. Fatta questa constatazione, mi è venuto spontaneo pensare a un intervento di censura. Censura da parte dei genitori, degli insegnanti, degli adulti che stanno attorno al bambino lettore. Autocensura da parte dell’editore che teme di non vendere e dello scrittore che teme di non venire pubblicato. Ma parlando con i miei giovani lettori pian piano ho cominciato a pormi altri interrogativi e questa convinzione si è fatta meno assoluta. Forse il vero motivo di questa ‘assenza‘ dalle storie, perlomeno in quelle destinate ai minori di undici anni, nasce non tanto dalla paura dell’adulto, quando dall’ indifferenza del bambino per l’argomento specifico. Forse ai lettori che hanno meno di undici anni il sesso raccontato a quel modo davvero non interessa. Forse ha ragione Freud quando parla di un ‘periodo di latenza’.” (pgg. 14-15)

………………..

LA RIVOLUZIONE A-SESSUALE

31 agosto 2006

Se i bambini si trovassero sotto i cavoli o li portasse davvero la cicogna e non ci fosse la sessualità (= l’impulso – spesso disordinato e ossessivo – a ficcare un pezzetto del nostro corpo in qualche cavità del corpo di un altro, o a farci ficcare da un altro un pezzetto del suo corpo in qualche cavità del nostro corpo, o, per inglobare anche la masturbazione, a soffregarci autonomamente certe parti del corpo a scopo di ozioso diporto) la vita sarebbe perfettamente vivibile lo stesso. Anzi, forse sarebbe molto meno complicata (si pensi solo all’ampiezza dell’ indotto criminale della faccenda: aggressioni e delitti a sfondo sessuale, racket della prostituzione, tratta delle bianche e delle nere eccetera).

E’ quello che sostengono i seguaci della rivoluzione a-sessuale, di cui riproduco la lettera apparsa nella rubrica di Augias su Repubblica il 5 agosto scorso:
 
LA SCELTA DI VIVERE SENZA SESSO
 
“Sono l’amministratrice di Aven Italia, il forum degli Asessuali italiani [cfr. http://www.asexuality.org/it/, n.d.r.]; sono io stessa asessuale. Vorrei attirare l’attenzione sulla condizione dell’asessualità, la condizione vissuta da chi non prova attrazione per il sesso e non sente esigenza di avere rapporti sessuali di alcun tipo. Non è una scelta personale dovuta a motivi ideologici o religiosi (come può essere la castità, la scelta di astenersi); non è un disturbo sessuale, paura o difficoltà di avere rapporti. E’ invece libera espressione della personalità dell’individuo, di cui costituisce l’identità sessuale. Nella stragrande maggioranza dei casi, infatti, la mancanza di attrazione per il sesso non viene vista dagli asessuali come un problema da risolvere. Non esiste una vera definizione di asessualità. Si parte, anzi, da una non definizione. Gli asessuali non vedono nel sesso qualcosa di brutto o negativo; semplicemente, sentono che il sesso non è la loro strada, e rivendicano il dritto di non essere giudicati o ridicolizzati per questo, come invece troppo spesso accade in Italia. L’asessualità dovrebbe essere vista come un vero e proprio altro orientamento sessuale, alla stregua dell’omosessualità e della bisessualità. Invece è difficile, in questa società, accettare il fatto che esistano persone completamente disinteressate al sesso, sia dal punto di vista fisico che come mezzo per relazionarsi all’altro. Nella vita di tutti i giorni noi asessuali veniamo scherniti e derisi, tanto che nessuno in Italia si è dichiarato pubblicamente, “mettendoci la faccia”. E dai medici e dagli psicologi – spesso troppo sicuri di quale sia “il giusto punto d’arrivo” e la “normalità” – siamo troppo frequentemente, e a torto, considerati “disturbati”.
 
Il 24 agosto, sempre su Repubblica, è seguito l’articolo: “E la Francia libertina scopre il piacere dell’astinenza“, di Anais Ginori. Eccolo.
 
“Parigi. L’astinenza sessuale è diventata un segno distintivo. Ma questa volta morale e religione non c’entrano. I nuovi integralisti del non-sesso sono giovani, belli, colti, figli della generazione che aveva liberato il sesso. Non fanno l’amore per mesi, anche per anni. Si scagliano proprio contro il modello dei padri e capovolgono gli slogan del ’68. ‘E’ una reazione difensiva alla dittatura del piacere e al terrorismo dell’orgasmo’, spiega Jean-Philippe de Tonnac, autore de ‘La rivoluzione asessuale’, appena uscito per Albin Michel.
Gli ‘asexual’ nascono negli Usa all’inizio degli anni Duemila, ma a sorpresa sono sbarcati anche nella culla del libertinaggio e della cultura erotica. Secondo una ricerca dell’istituto Ipsos il 25% delle donne e il 15% degli uomini francesi sono ‘sessualmente soli’ e per un quarto di loro ‘è indifferente non fare l’amore anche per diversi mesi’. La novità è che l’astinenza è voluta e non subita’ sostiene il giornalista David Fontaine. Nel suo ‘No sex last year’ (Arte Editions) racconta la vita di quindici trentenni ‘asexual’: donne e uomini che confessano di avere il famoso ‘mal di testa’ al momento di mettersi a letto, e ne sono felici. ‘Un terzo degli adolescenti ha già visto siti o immagini pornografiche. Questa sovrabbondanza di sesso provoca rigetto’ argomenta de Tonnac. Lo psicanalista Juan David Nasio sostiene di avere per la prima volta preso in cura pazienti ancora vergini a 33 anni. ‘Sono uomini sani ma la sola idea di fare l’amore con una donna provoca in loro il panico’. Nella donna, ma ancor più nell’uomo, l’ansia di prestazione e la paura di sfigurare possono bloccare la libido. ‘Le relazioni oggi sono così effimere che il primo rapporto sessuale è diventato una prova del fuoco’, osserva de Tonnac. Per la psicanalista Hélène Vecchiali, autrice di un saggio sulle nuove paure degli uomini ‘Ainsi soient-ils’ (“Così siano”) (Calmann-Levy), anche l’aggressività delle donne è una causa: ‘Basta andare su alcuni siti per vedere che oggi sono loro le vere predatrici’, dice Vecchiali.
Il voto di castità dei laici, l’orgoglio ‘asexual’ è rivendicato, ostentato, e questa è la grande novità. Amore senza sesso, il contrario di quello che si professava negli anni Settanta. ‘Il desiderio si spegne da solo. Meno fai l’amore, meno hai voglia di farlo’ racconta una donna che si definisce ‘orgogliosa anoressica del sesso’.”
 
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“WORLD TRADE CENTER” A VENEZIA

5 ettembre 2006

Straccamente sono andato a vederlo, straccamente l’ho retto fino alla fine, ma solo tra smascellanti sbadigli. Per carità, la tragedia fu enorme e quando le Twin Towers si afflosciarono su se stesse l’11 settembre 2001 il mondo intero “attonito al nunzio (e alle immagini teletrasmesse) stette”. Per carità, solo 20 persone furono tirate fuori vive da sotto le macerie, e fra queste il sergente di polizia della Port Authority John McLoughlin e l’ufficiale Will Jimeno, poi etichettati coi numeri 18 e 19. Per carità, “World Trade Center” è la loro storia, raccontata attraverso gli occhi di Jimeno, McLoughlin e delle loro famiglie, ma più il claustrofobico film di Oliver Stone si sforza di farci esclamare ad ogni sequenza “Accidenti, quanto si soffre a stare là sotto!”, con i protagonisti che continuano a gridarsi l’un l’altro “It’s OK, it’s OK. It’s gonna be all right!”, meno ci si immedesima nella loro vicenda. E sì che lo scopo del regista è nobile e condivisbile: spingere a confidare in quella bontà che a sua volta spinge alcuni uomini ad occuparsi in positivo di altri uomini, mentre – parallelamente – alcuni altri uomini ce la mettono proprio tutta a peggiorare la permanenza di altri esseri umani su questa terra…

Che volete, quando un film non acchiappa, non acchiappa, anche se il regista l’ha girato con le migliori intenzioni e si chiama Oliver Stone. Questo, almeno, è il mio modestissimo parere.

A proposito di uomini che ce la mettono proprio tutta a peggiorare la permanenza di altri uomini su questa terra, sentite questa notizia che, da appassionato della montagna, mi ha fatto ardentemente desiderare di peggiorare la permanenza su questa terra degli irresponsabili idioti che ne sono al centro: 

LANCIO DI SASSI DAI LASTONI DI FORMIN 

“San Vito di Cadore (BL), 02-09-06
Un gruppo di escursionisti, 4 papà con i loro 7 figli, ha assistito ad un lancio di sassi dall’alto del Lastoni di Formin. La comitiva, che si trovava in prossimità di forcella Ambrizzola verso le 11.30, diretta a forcella Giau, ha sentito cadere delle pietre dalla parete. Alzando lo sguardo ha visto 6-7 alpinisti che stavano arrampicando in diverse cordate e dalla cima due persone che lanciavano sassi, si ritraevano e continuavano a far cadere le pietre, mentre gli alpinisti impegnati nella salita gridavano di smettere. Uno degli escursionisti ha subito chiamato il 118, che ha allertato i carabinieri e una squadra del Soccorso alpino della Stazione di Cortina. La parete ha vie di quarto, quinto grado, ma la cima del Lastoni si raggiunge facilmente lungo il sentiero. La sassaiola è proseguita per oltre 10 minuti, ma i responsabili, che hanno avuto tutto il tempo di allontanarsi, non sono stati individuati.” (Servizio di Michela Canova). 

Certo, un episodietto minimo rispetto all’immane tragedia di September Eleven, ma il succo è lo stesso: c’è chi usa le proprie energie per contribuire al miglioramento del mondo e c’è chi le usa per peggiorarlo…

Speriamo solo che, alla lunga, prevalgano le forze del bene:-)

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11 dicembre 2007

UMBERTO ECO NON CREDE AI COMPLOTTI

Recupero una bustina di Minerva di UMBERTO ECO da L’espresso del 1° novembre scorso:

«Com’è noto sull’ 11 SETTEMBRE circolano molte teorie del complotto. Ci sono quelle estreme (che si trovano in siti fondamentalisti arabi o neonazisti), per cui il complotto sarebbe stato organizzato dagli ebrei, e tutti gli ebrei che lavoravano alle due torri sarebbero stati avvisati il giorno prima di non presentarsi al lavoro – mentre è noto che circa 400 cittadini israeliani o ebrei americani erano tra le vittime; ci sono le teorie anti-Bush, per cui l’attentato sarebbe stato organizzato per potere poi invadere Afghanistan e Iraq; ci sono quelle che attribuiscono il fatto a diversi servizi segreti americani più o meno deviati; c’è la teoria che il complotto era arabo fondamentalista, ma il governo americano ne conosceva in anticipo i particolari, salvo che ha lasciato che le cose andassero per il loro verso per avere poi il pretesto per attaccare Aghanistan e Iraq (un poco come è stato detto di Roosvelt, che fosse a conoscenza dell’attacco imminente a Pearl Harbour ma non avesse fatto nulla per mettere in salvo la sua flotta perché aveva bisogno di un pretesto per iniziare la guerra contro il Giappone); e c’è infine la teoria per cui l’attacco è stato dovuto certo ai fondamentalisti di Bin Laden, ma le varie autorità preposte alla difesa del territorio statunitense hanno reagito male e in ritardo dando prova di spaventosa incompetenza. In tutti questi casi i sostenitori di almeno uno tra questi complotti ritengono che la ricostruzione ufficiale dei fatti sia falsa, truffaldina e puerile. Chi voglia avvere una idea circa queste varie teorie del complotto può leggere il libro a cura di Giulietto Chiesa e Roberto Vignoli, “Zero. Perché la versione ufficiale sull’11/9 è un falso“, edizioni Piemme, dove appaiono alcuni nomi di collaboratori di tutto rispetto come Franco Cardini, Gianni Vattimo, Gore Vidal, Lidia Ravera, più numerosi stranieri. Ma chi volesse ascoltare la campana contraria ringrazi le edizioni Piemme perché, con mirabile equanimità (e dando prova di saper conquistare due settori opposti di mercato) hanno pubblicato un libro contro le teorie del complotto, “11/9. La cospirazione impossibile“, a cura di Massimo Polidoro, con collaboratori di altrettanto rispetto come Piergiorgio Odifreddi o James Randi. Il fatto che ci appaia anch’io non va né a mia infamia né a mia lode perché il curatore mi ha semplicemente chiesto di ripubblicare in quella sede una mia Bustina che non era tanto sull’11 settembre quanto sull’eterna sindrome del complotto. Tuttavia, siccome ritengo che il nostro mondo sia nato per caso, non ho difficoltà a ritenere che per caso o per concorso di varie stupidità vi avvenga la maggior parte degli avvenimenti che l’hanno tormentato nel corso dei millenni, dalla guerra di Troia ai giorni nostri, e quindi sono per natura, per scetticismo, per prudenza, sempre incline a dubitare di qualsiasi complotto, perché ritengo che i miei simili siano troppo stupidi per concepirne uno alla perfezione. Questo anche se – per ragioni certamente umorali, ma per impulso incoercibile – sarei propenso a ritenere Bush e la sua amministrazione capaci di tutto. Non entro (anche per ragioni di spazio) nei particolari degli argomenti usati dai sostenitori di entrambe le tesi, che possono parere tutti persuasivi, ma mi appello soltanto a quello che io definirei la “prova del silenzio“. Un esempio di prova del silenzio contro quelli che insinuano che lo sbarco americano sulla Luna sia stato un falso televisivo. Se la navicella americana non fosse arrivata sulla Luna c’era qualcuno che era in grado di controllarlo e aveva interesse a dirlo, ed erano i sovietici; se pertanto i sovietici sono rimasti zitti, ecco la prova che sulla Luna gli americani ci sono andati davvero. Punto e basta. Per quanto riguarda complotti e segreti l’esperienza (anche storica) ci dice che: 1. Se c’è un segreto, anche se fosse noto a una sola persona, questa persona, magari a letto con l’amante, prima o poi lo rivelerà (solo i massoni ingenui e gli adepti di qualche rito templare fasullo credono che ci sia un segreto che rimane inviolato); 2. Se c’è un segreto ci sarà sempre una somma adeguata ricevendo la quale qualcuno sarà pronto a svelarlo (sono bastati qualche centinaio di migliaia di sterline in diritti d’autore per convincere un ufficiale dell’esercito inglese a raccontare tutto quello che aveva fatto a letto con la principessa Diana, e se lo avesse fatto con sua suocera [la regina Elisabetta, n.d.r.] sarebbe bastato raddoppiare la somma e un gentiluomo del genere l’avrebbe ugualmente raccontato). Ora per organizzare un falso attentato alle due torri (per minarle, per avvisare forze aeree di non intervenire, per nascondere prove imbarazzanti, e così via) sarebbe occorsa la collaborazione se non di migliaia almeno di centinaia di persone. Le persone utilizzate per queste imprese non sono mai di solito dei gentiluomini, ed è impossibile che almeno uno di questi non abbia parlato per una somma adeguata. Insomma, in questa storia manca la Gola Profonda(Umberto Eco, da L’Espresso del 1° nov. 2007)

 

(Lucio Angelini a New York prima dell’11 Settembre: le torri gemelle sullo sfondo)

 .

(Lucio Angelini, di colpo invecchiatissimo, dopo l’ 11 settembre 2001)

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12 settembre 2006   

Ciao Lucio,
è stato bello seguire la Mostra del cinema leggendoti.
 
Riguardando la tua pagina sulla rivoluzione a.sessuale mi sono ricordat* di un articolo di Sofri letto quest’estate: “L’energia dell’odio”. Citava un saggio di Guenther Anders e faceva notare che in una nota l’autore paragona il “killing without hate“, l’uccidere senza odio, al contemporaneo “fucking without love“.
 
Ho ripensato a lungo al tema e credo che allontanarsi dal turbinio degli incontri vuoti e senza prospettiva sia l’unico modo per non farsi travolgere da tanta superficialità. Ogni singolo individuo da solo ha pochissima forza per cambiare il mondo, o comunque per modificare certi stupidi comportamenti, però può almeno provare a mettere una distanza tra lui e le cose che lo fanno soffrire.
 
(Lettera firmata)
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IL CAZZO MECCANICO E I VIP IN TIVÙ

6 novembre 2006


 

“Un polline di felicità mi avvolge alla presenza ubiqua dei vip; i nostri semidei, figli di una mortale e del tubo catodico, o di un uomo e della Fortuna (‘amo svortato’, come dice Costanzo alla sua compagnia di giro nei momenti di euforia). Chiamasi ‘vip’ non chi ha realizzato qualcosa di importante ma chi viene regolarmente invitato in televisione; i vip vivono tra loro, anche nella vita normale si conoscono quasi tutti, vanno alle stesse feste e si danno del tu; il gossip ci garantisce che, pur stando incommensurabilmente più in alto di noi, sono pieni di difetti e non sarebbe difficile essere al loro posto. Anzi, li potremmo perfino superare ed essere noi a ricoprire il ruolo prestigioso, un giorno, degli ‘ospiti d’onore’. Cazzeggiano e sono sempre contenti, perché l’essere invitati regolarmente in televisione è per se stesso motivo di contentezza; la situazione è il messaggio, l’evidenza è lo spettacolo; non devono esibirsi in ciò che li ha resi noti, che so, cantare recitare o guidare la moto, devono solo divertirsi tra loro, testimoniare la piacevolezza del vivere. Parlano del loro matrimonio, del loro piatto preferito, del loro cane, e ascoltandoli siamo sicuri che la quotidianità più semplice può risplendere della luce delle stelle. Ogni tanto c’è qualche new entry e di qualcuno, decotto, non si sente più parlare: normale ricambio nel fiume della divinità, che assicura quaggiù l’alternarsi delle stagioni… [cut] la televisione procede per salti, ogni immagine si accumula alle altre ma si sottrae un attimo prima di diventare dolorosa; più che la singola trasmissione conta l’effetto di moltiplica, l’enorme ipnotico programma di cui si può godere con l’uso accorto (o anche distratto) del telecomando. Come un cazzo meccanico che entri in un numero X di buchi, compiacendosi dell’operazione più che del rapporto.
 
Ho notato che il fascino della televisione viene esaltato dalla solitudine; come per i film pornografici, basta essere in due (non amanti) e l’emozione si trasforma in imbarazzo o in riso. Scatta l’ironia, la battuta dissacrante. Ci si vergogna di proiettare impulsi libidici su ‘Casa Vianello’ o su ‘Alle falde del Kilimangiaro’. Quando si è soli, invece, la masturbazione televisiva consiste proprio nel miracolo di provare, liofilizzati, tutti i sentimenti – e come per la masturbazione sessuale, non funziona se non ammettendo un proprio stato di bisogno, di miseria e di profonda umiltà. Quanto più i programmi sono spazzatura, quindi, tanto meglio scatta il meccanismo. Si prova gratitudine per quella folla di amici che ti portano il mondo in casa, e come i preti ti coccolano di più se sei stupido, o malato. Solo le trasmissioni coi comici si possono vedere in compagnia; e i film buoni, se è per questo. Ma appunto siamo al cinema e al cabaret, non più alla televisione; la forza della tivù sta nella sua debolezza, nell’essere informe e nell’avere quindi relazioni più ingenue con l’inconscio.”
(da Walter Siti, “Troppi paradisi“, Einaudi 2006, pp.11-12)
 
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LA FASCIA ALTA DEI MORTI DI FAME

2 novembre 2006

“Come dipendente statale a stipendio fisso (fisso, ma abbastanza solido da consentirmi il superfluo), non sono mai stato obbligato a scelte energiche, o a stress emotivi legati al denaro; a ogni fine del mese, circa sette milioni si accumulano sul mio conto corrente – questo basta a garantirmi una base di sicurezza per ipotetiche emergenze, protesi dentarie o malattie dei genitori. Mi faccio ospitare dagli amici nelle loro ville in Sardegna o a Pugnochiuso, e siccome mi concedo qualche avventura stravagante mi illudo di godere una qualità della vita anche migliore della loro, senza riflettere che apparteniamo in realtà a due classi nettamente distinte: loro hanno i soldi veri mentre io mi accontento del luccichio limitato del lusso. (Appartengo, come dice un mio amico editor, alla ‘fascia alta dei morti di fame’).”

(Walter Siti, “Troppi paradisi“, Einaudi, 2006, pp. 5-6).

Diciamo che l’espressione “fascia alta dei morti di fame” potrà anche risultare simpatica (nella sua scoperta iperbolicità), ma che la condizione economica di un docente universitario oggi in Italia (considerando, oltretutto, anche l’indotto: consulenze, pubblicazioni eccetera) davvero non ha NULLA A CHE VEDERE con la vera fascia dei morti di fame, alta, media o bassa che sia:

RAPPORTO DELLA FAO: «Troppa fame nel mondo»

(30 ottobre 2006)

Sono 854 milioni gli affamati. Presentati oggi i dati sullo Stato di Insicurezza Alimentare. Lontano l’obiettivo di dimezzarli per il 2015. I vertici dell’Agenzia: «È una triste verità» / PDF: rapporto (in inglese) / LEGAMBIENTE: «Clima non aiuta»

Al mondo ci sono 854 milioni di persone che soffrono la fame. E questo numero non è mai calato dal 1990-1992. È la Fao a lanciare l’allarme con il Rapporto annuale sullo Stato di Insicurezza Alimentare nel mondo (Sofi), presentato oggi nella sede romana dell’agenzia delle Nazioni Unite. Le ultime rilevazioni della Fao si riferiscono al periodo 2001-2003 e tracciano un quadro a tinte fosche: sono ancora 854 i milioni di persone sottoalimentate nel mondo, di cui 820 milioni vivono nei Paesi in via di sviluppo, 25 milioni nei Paesi in transizione e 9 milioni nei Paesi industrializzati. Nel 1996, oltre 180 capi di Stato e di Governo avevano firmato la Dichiarazione di Roma in cui era contenuto l’ambizioso obiettivo di riuscire a dimezzare il numero degli affamati entro il 2015 e portarlo a 412 milioni.

«A dieci anni di distanza, ci confrontiamo con una triste verità, non c’é nessun progresso verso quell’obiettivo», ha ammesso Jaques Diouf, direttore generale della Fao. Il calo da 823 a 820 milioni di persone localizzati nei Paesi in via di sviluppo «é da attribuire ad un errore statistico», ha aggiunto Diouf. Nessun progresso, dunque, anzi, se possibile, un peggioramento della situazione rispetto a dieci anni fa e le tendenze più recenti non lasciano spazio all’ottimismo, sottolinea la Fao che ha registrato un aumento di 26 milioni di persone sottoalimentate nel periodo 1995-1997 e 2001-2003, a seguito, invece di un netto calo di 80 milioni durante gli anni ’80. Timido ottimismo quello di Diouf, secondo il quale «il mondo di oggi è più ricco di quello di 10 anni fa e le risorse alimentari sono più abbondanti – ha detto Diouf – manca la volontà politica di mobilitare queste risorse in favore degli affamati». A quattordici anni dal fatidico 2015, la Fao riconsidera le stime sul numero degli affamati, prevedendo che l’obiettivo del millennio potrebbe essere mancato, perché per quella data saranno ancora 582 i milioni di persone sottoalimentate, contro i 412 previsti.

«Questa pubblicazione – ha sottolineato Diouf – ha evidenziato la discrepanza fra che cosa potrebbe e dovrebbe essere fatto e che cosa realmente si sta facendo per milioni di gente che soffre dalla fame». A preoccupare di più è la situazione dell’Africa, «la sfida più grande da affrontare», in particolare quella sub-Sahariana, dove il numero di persone sottoalimentate è passato da 169 milioni nel 1990-92 a 206.2 milioni nel 2001-03. Nell’Africa sub-Sahariana, l’Aids, le guerre e le catastrofi naturali sono stati ostacoli alla lotta contro il fame, in particolare nel Burundi, in Eritrea, in Liberia, in Sierra Leone e nella Repubblica democratica del Congo, Paese per cui si registrano le maggiori preoccupazioni dell’agenzia poiché dall’1998 al 2002 c’é stata una guerra e il numero di affamati é triplicato passando da 12 a 37 milioni di persone, cioé il 72% della popolazione.

Per cambiare la situazione, la Fao insiste sull’esigenza di aumentare gli investimenti in agricoltura e nelle zone rurali, dove la fame si concentra. L’Africa centrale, poi, registra una punta di 46.8 milioni di persone sottoalimentate nel 2001-03, cioé il 56% della popolazione (la percentuale era del 36% nel 1990-92). L’Asia ed il Pacifico, così come l’America latina ed i Caraibi sono le uniche zone, secondo il rapporto Sofi, che hanno registrato una riduzione del numero e della percentuale assoluti di persone sottoalimentate.

Se c’é una via d’uscita per questa situazione, secondo la Fao, è da ricercare nello sviluppo dell’agricoltura delle zone rurali, «il settore agricolo è spesso il motore dello sviluppo per le economie rurali – si legge nel rapporto – e l’aumento del rendimento agricolo può aumentare le derrate alimentari, ridurre il loro prezzo ma anche il mobilitare l’economia locale generando la richiesta di beni e servizi». Il rapporto, infine, pone l’accento sul “circolo vizioso della fame e della povertà», affermando che la fame non è solo una conseguenza
della povertà ma è anche una delle cause, perché «nuoce gravemente alla salute ed al produttività delle persone».

 
[Da www.lanuovaecologia.it ] 

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IL MELODRAMMA PIU’ FIAMMEGGIANTE

18 settembre 2006

 
 
 
Avete presente la proustiana “madeleine” che, riassaporata molti anni dopo l’infanzia, provoca nella mente del protagonista della Recherche la resurrezione di tutto un mondo dimenticato?
Ebbene, l’altro ieri ho inzuppato anch’io, nel mio piccolo, la mia madeleine nel tè. Avevo ripreso in mano “Caos Calmo“, di Veronesi, abbandonato a pag. 90. Scorro la pag. 91 ed ecco che, a un certo punto, leggo:
 
 “Marta, in primo piano, sulla destra, identica a Natalie Wood in Splendore nell’erba…”
 
Folgorazione. Corto circuito. Stordimento. Dissolvenza. Flashback. Ritorno al lontano 1961(ok, lo ammetto, esistevo già!), a Elia Kazan, a uno dei film cult della mia adolescenza, visto almeno una mezza dozzina di volte: sììììì,
 
SPLENDORE NELL’ERBA“!

Natalie Wood, a differenza di me, nel frattempo è morta (in modo tragico, purtroppo: morte per acqua, direbbe T.S. Eliot), e io mi sono lambiccato il cervello a lungo per recuperare i versi cui il titolo del film si ispira.
 
 
“Though nothing can bring back the hour/
Of splendor in the grass, of glory in the flower:/
We will grieve not,/
But rather find strength in what remains behind”.
 
[“Se niente può far sì che si rinnovi
all’erba il suo splendore e che riviva il fiore,
della sorte funesta non ci dorrem,
ma ancor più saldi in petto godrem di quel che resta”]
 
I versi, tratti dall’ “Ode on Intimations of Immortality from Recollections of Early Childhood “, dello scrittore inglese William Wordsworth(1770-1850), vengono letti nella classe di Deanie all’inizio del film e ricordati nelle sequenze finali, quando il senso profondo della poesia le sarà diventato chiaro alla luce della sua esperienza. Ovviamente, a quel punto, metà del pubblico in sala, e io per primo, si asciugava i lucciconi…Ma vediamo un po’ di approfondimenti. Prima di tutto la scheda di Morandini:
 
“Nel 1928 in una cittadina del Kansas nasce l’amore tra due liceali,
contrastato dai rispettivi genitori e dalla loro repressione sessuale. In
preda a una forte depressione, lei entra in una casa di cura. Quando esce,
in piena crisi economica, tutto è diverso. Forse il melodramma più
fiammeggiante sul primo amore che mai sia stato fatto al cinema. E i suoi ultimi 5 strazianti minuti sono uno dei culmini creativi del cinema di E.
Kazan. Esordio del ventiquattrenne W. Beatty e 1 film made in USA che pose
esplicitamente l’accento sulla sessualità adolescenziale, Superlativa
direzione d’attori: N. Wood fu candidata all’Oscar, ma le fu preferita la
Sophia Loren di La ciociara. Fu premiata, comunque, la sceneggiatura di
William Inge. Il titolo è preso da un verso di Ode on Intimation of
Immortality di William Wordsworth (1770-1850).
 
Poi il mitico Mereghetti:
 
“Nel Kansas del 1928 l’amore tra Deanie (Wood) e Bud (Beatty) viene rovinato dalle intrusioni dei genitori: la mamma di lei è ossessionata che la figlia resti vergine, il padre di lui consiglia il figlio a non fare le cose sul serio e a frequentare ragazze facili. Lei finirà in clinica, lui vedrà la rovina della sua famiglia. Dietro l’atto di accusa contro la morale sessuale conformista, uno degli studi psicologici più riusciti di Kazan: un’elegia della giovinezza perduta, piena di una malinconia che resta dentro.”
 
Infine Pierre Brunel, che a pag. 239 del secondo volume della sua “Storia della letteratura francese“, Editrice Il Delfino, nel capitolo dedicato a Proust puntualizza:
 
“… Ma il narratore supera presto la malinconia destata dalla fugacità degli esseri e delle cose. E’ inutile, infatti, cercare nella realtà i quadri della memoria, cui mancherebbe sempre il fascino che proviene dalla memoria stessa e dal non essere percepiti dai sensi’. Perciò la ‘ricerca del tempo perduto’ non è l’evocazione nostalgica di un passato “inaccessibile, ma la progressiva scoperta della sola realtà, quella che si forma nella memoria perché ‘iveri paradisi sono i paradisi che abbiamo perduto’. Ciao, Natalie Wood, riposa in pace nel cimitero di Westwood, Los Angeles.
 

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18 giugno 2005

POOR COLOMBATI! 

 
Non dev’essere stato piacevole, per l’autore di PERCEBER, leggere sul Corriere
di ieri l’opinione di Giorgio De Rienzo: “Uno scrittore può abolire ogni regola,
accumulare – come accade con Colombati – spezzoni di storie e anche magari abbandonarle al loro destino, mescolare stravaganze e variazioni di linguaggio, sovrapporre moduli espressivi, creare una struttura in cui la direttiva principale diventi quella di una continua divagazione. Ma allora perché Colombati sente il bisogno di sorreggere la sua anarchia espressiva da una «mappa» precostituita di orientamento per il lettore e da una serie di note che giustificano il caos a posteriori? La realtà è che l’autore, creato un
vuoto, si sente autorizzato a vomitarvi dentro liberi pensieri sparsi, a
esibire la sua cultura (cioè mettere insieme brani di canzonette e pillole
di cosmologia, fatti di cronaca e scampoli del Talmud, svelte diagnosi
psichiatriche e coriandoli di filosofia), con una scrittura torrenziale
generalmente sciatta che finge di accettare tutti gli stili, per non saperne
creare uno originale. Potrei sbagliare, ma credo onesto avvertire il lettore
che questo non è un romanzo: è soltanto un contenitore zeppo di velleità e
vanità pseudo culturali”. E povero anche Giulio Mozzi, suo talent-scout, che proprio ieri compiva 45 anni
(vedi www.vibrissebollettino.net).
Speriamo che l’abbia presa a sua volta con svelte diagnosi psichiatriche e qualche coriandolo di filosofia:-)P.S. Una cosa che mi sono sempre chiesto è perché Giulio Mozzi, che si è sempre definito scrittore di ***racconti*** (il racconto, come è noto, è una forma bonsai di romanzo, ovvero un romanzo di poche pagine), come editor si lasci impressionare soprattutto dagli scrittori-fiume, rutilanti e roboanti, dalle cinquecento pagine in su a opera, per intenderci (Avoledo, Colombati ecc.). Insomma lui ce l’ha piccolo (il fiato narrativo),  ma dagli altri lo vuole grosso:-/
 
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14 giugno 2005

LELLO VOCE SI LAMENTA 

… non dello scarso, anche se ***scelto pubblico*** (per esempio c’ero io) accorso ad ascoltarlo al Telecom Italia Future Centre qui a Venezia stasera alle 21.00, ma perché “lai” (lamentazioni) si chiamano, appunto, i testi da lui presentati.
“Il ‘lai’ “, ha spiegato Lello Voce (tutto vestito di nero, con foularino e scarpette neri e bianchi) dopo il primo pezzo, “è una forma di poesia molto antica, significa lamento, e io mi sono appena lamentato del presente”. Al “Lai del ragionare lento” è seguito il “Lai del ragionare intenso”, poi il “Lai del ragionare caotico” e infine il “Lai del ragionare esperto”. L’esecuzione era accompagnata da sofisticate partiture di tecno-jazz, con tappeto sonoro creato da uno STRAORDINARIO Michael Gross, ex tromba di Frank Zappa. Lello Voce ce l’ha messa tutta (aveva la crapa pelà imperlata di sudore) e si è anche dondolato tutto il tempo, mentre diceva cose come “linkati alla finestra del dolore” o “leccàvo l’ìncavo del gomito” o spiegava che ogni violenza è diversa dalla precedente, ma comunque perdente. Di Giacomo Verde le immagini proiettate nei vari schermi e monitor. Insomma uno spettacolo multimediale, come si dice qui a Cannaregio.
 
Titolo dell’evento: “FAST BLOOD” (ovvero la poesia che si fa canto e performance, collocandosi in quella nicchia di mezzo tra il mondo musicale e quello poetico chiamata “spoken word”). ‘Sciapó!”, avrebbero detto in Francia.
 
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9 giugno 2005

THE VERONA AND TRIESTE WITCHES PROJECT

Un promettente scrittore per ragazzi, da poco entrato nel bosco della letteratura giovanile, scompare misteriosamente. L’unica traccia da lui lasciata è il manoscritto “The Verona and Trieste witches project”, contenente inquietanti allusioni a due leggendarie abitatrici del bosco: Margherita Forestan, direttrice editoriale di Mondadori Ragazzi, VERONA, e Orietta Fatucci, direttrice editoriale di Einaudi Ragazzi, TRIESTE. Le ricerche dello scrittore scomparso proseguono serrate, mentre una serie di inspiegabili incidenti ritarda la pubblicazione del manoscritto presso le edizioni LIBRI MOLTO SPECIALI

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2 luglio 2005

GIANNI CELATI VINCE IL SUPERCAMPIELLO

Shakespeare, nel IV atto de “La Tempesta”, fa dire a Prospero: “Noi siamo fatti della stessa sostanza dei sogni e la nostra breve vita è circondata dal sonno”. Pedro Calderon de la Barca, in “La vita è sogno” fa trasportare il principe Sigismondo (addormentato) dalla torre in cui è prigioniero alla corte di re Basilio, suo padre, che vuole metterlo alla prova. Sempre nel sonno lo fa poi ricondurre al luogo da cui era stato prelevato, dove Sigismondo crederà di aver sognato tutto. Poiché, tuttavia, il sogno gli apparirà verosimile quanto la realtà a cui è tornato, ne dedurrà che anche questa sia mera illusione: “La vita non è che un sogno dal quale ci si risveglia con la morte.”

Il tema di ‘Fata morgana’ di Gianni Celati, vincitore del prossimo Supercampiello (così leggo nella mia sfera di cristallo:-) ), è un viaggio nell‘ignoto paese dei Gamuna, che, shakesperiani pure loro, considerano la vita da svegli come ‘la grande allucinazione del mondo’; mentre, quando dormono, hanno la sensazione di entrare in una dimensione meno ingannevole, molto più reale.

Nell’incontro con il pubblico al Future Centre di Venezia, Celati ha confessato di aver scritto “Fata Morgana” ben 19 anni fa, ma di averlo considerato “maturo per la pubblicazione” solo di recente. Ha aggiunto, anzi, di averlo capito fino in fondo quando lo ha riletto nelle bozze di stampa. L’intervistatore Renato Pestriniero ha esordito dicendo: “So che lei insegna letteratura anglo-american… “. E Celati: “Errato, non insegno più”. “Sì, ma lei, professore… “. E Celati: “Non sono più professore, ma solo ex-professore”. “Be’, allora non so come chiamarla”. Risposta: “Mi chiamo Gianni Celati”, eccetera. Poi, prendendo la parola, il vincitore del prossimo Supercampiello ha ricordato di essere affascinato da sempre dai libri di viaggio, soprattutto se fantastici, di averne tradotti molti, per esempio Gulliver, di aver desunto la concezione della vita come illusione da suo padre, di aver sempre pensato che la letteratura non serva tanto a far esprimere gli autori, quanto ad aiutare gli uomini a studiare la vita. Si è dichiarato appassionato di fantascienza, il cui futuro – assicura – starà soprattutto nell’indagare il nostro spazio interiore, più che l’outer space. A differenza della narrativa tradizionale, che funziona in base al meccanismo dell’identificazione del lettore con i personaggi, la fantascienza sfrutta il meccanismo contrario, quello dello straniamento, in base al quale il lettore deve prendere soprattutto atto dell’estraneità/ difformità di un personaggio rispetto a se stesso. Nella sua produzione narrativa, come nella sua attività di lettore e traduttore, il suo interesse ricorrente è sempre stato “l’avventura alla scoperta dell’altro, il distacco comico dal mondo delle certezze e delle percezioni ordinarie”.

P.S. Quando gli ho porto una copia del libro per l’autografo, visto che esitava dopo aver scritto “Lucio”, gli ho suggerito di aggiungere “a non lucendo”. E così ha fatto:-)

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“DIO ERA ALLERGICO ALLA POLVERE COSMICA

… e al primo starnuto fu subito Big Bang.” La battuta non è mia, ma di Ennio Cavalli, giornalista della Rai (pure lui!) in odore di Campiello. Per l’esattezza, è quello che intervista i vincitori del Nobel nelle cerimonie ufficiali di consegna dei premi. La battuta, dicevo, appartiene al volumetto La Bibbia in lattina, che ha per sottotitolo ‘versetti a strappo’. In esso il Vecchio Testamento è raccontato da un sacerdote cinico. Pare che Fellini amasse molto sia Cavalli, sia la sua scrittura, e così anche Sergio Zavoli. Il pubblico intervenuto alla presentazione di “Quattro errori di Dio” (questo il titolo dell’opera finalista al Campiello, Aragno editore), invece, è parso entusiasmarsi molto meno all’elenco delle cantonate prese dall’Ente Supremo. Cavalli, a dire il vero, teneva a mantenere una certa suspence sul contenuto del libro, ma l’intervistatore Giuliano Tamani, docente di Filologia ebraica all’Università Ca’ Foscari di Venezia, non si è peritato di rompergli le uova nel paniere spiattellando tutti e quattro gli errori. Eccoli in disordine: 1° errore) IL DILUVIO UNIVERSALE. Nelle reali intenzioni di Dio avrebbe dovuto trattarsi soltanto di una Grande Nevicata Purificatrice, non fosse che poi la neve si sciolse con le conseguenze che sappiamo. (Vi fa ridere? A me non tanto.). Comunque gli uomini, benché fatti a IMMAGINE E SOMIGLIANZA di Dio (3° errore), avevano bisogno di una lezione per i vizi manifestati – contro le ingenue aspettative del loro Creatore -, soprattutto nei seguenti campi: il sesso (praticato in specialità quali la ‘piramide di Noè’), i soldi (ottenuti con ossa di animali, con conseguente strage di questi ultimi), la violenza (il peccato più grosso era togliere la fiducia nel futuro ai bambini costringendoli ad assistere a crimini efferati). Vi fa ridere? A me non tanto. Il 2° errore fu quello di scegliere un certo Khaled tra i 200 che avrebbero dovuto pronunciare il nome di Dio per assicurare all’umanità una serena evoluzione. Khaled, purtroppo, si intestardì e si rifiutò di farlo. Vi fa ridere? A me non tanto. Il 4° errore, infine, fu quello di inventare i dinosauri DOPO l’uomo. I dinosauri avrebbero dovuto frenare gli uomini, e invece furono da essi frenati e non solo, ma addirittura sterminati alla radice. Vi fa ridere? A me non tanto. Per il primo errore, ha precisato Cavalli, si potrebbe accusare Dio di strage meramente colposa, anziché dolosa. Vi fa ridere? A me non tanto. “In realtà”, ha aggiunto, “il mio libro vuole essere una satira contro tutti i fondamentalismi. Oserei definirlo un ‘ethic thriller’ o anche una ‘fiaba visionaria’”.

Non è finita. La vera origine dei tre grandi MONOTEISMI, secondo Cavalli, è questa: Mosè era orfano di padre, Maometto pure, Gesù dotato solo di un padre putativo. Fu così che tutte e tre le personalità, in tempi diversi e ciascuna a suo modo, nella loro freudiana ricerca di un padre finirono con il postulare l’esistenza di un Padre Supremo, rispettivamente D-o (nelle scritture sacre dell’Ebraismo il nome della divinità viene scritto così per rispetto), Dio (Cristianesimo) e Allah (Islamismo). (A molti spettatori è tornata subito in mente l’affermazione di papa Luciani: “Dio è anche madre”). Pare che in “Quattro errori di Dio”, che confesso di non essere troppo impaziente di leggere, a un certo punto Dio si proclami addirittura Primo Ateo, adducendo che per credere in Dio bisogna essere uomini. Vi fa ridere? A me non tanto.  

Come fuoco d’artificio finale Ennio Cavalli ha definito la sua opera una sorta di via di mezzo tra il Fellini di “E la nave va” e l’Hitchcock de “Gli uccelli”. Vi fa ridere? A me non tanto… 

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28 settembre 2005

BALDINI CASTOLDI DALAI E FELTRINELLI UNITI NELLA LOTTA 

DA http://www.bcdeditore.it/index.aspx (BALDINI CASTOLDI DALAI)

SE VUOI INVIARCI UN TUO MANOSCRITTO…

Cari amici,
al momento non siamo disponibili a valutare nuovi manoscritti. Vi preghiamo di non inviarci delle proposte né in forma cartacea né via internet. Vi preghiamo di non contattarci telefonicamente.

Grazie della collaborazione,
La segreteria editoriale.

——–

Da www.feltrinelli.it/contatti Feltrinelli editore

Manoscritti . Al momento non prendiamo in esame manoscritti non richiesti.
Curricula. L’organico dell’azienda è attualmente completo. I curricula inviati all’indirizzo postale vengono esaminati e archiviati per eventuali necessità future. Non inviare curricula agli indirizzi e-mail.
Allegati e attachment. Non allegare alcun tipo di file alle e-mail. Tutti gli attachment verranno cestinati automaticamente.

GLI AUTORI NUOVI NO PASARAN!!!

Ma CORAGGIO, non tutto è perduto!!!

Ecco un’opportunità concreta per gli autori desiderosi di farsi un nome:

“ANSPI – CENTRO D’INTERESSE,
PARROCCHIA SAN GERARDO MAIELLA
GALLIPOLI
3° CONCORSO DI POESIA RELIGIOSA

Don Tonino Bello, il profeta della pace

Il Centro di Interesse Anspi della Parrocchia San Gerardo Maiella, in
Gallipoli, indice il 3° concorso di poesia religiosa sul tema ” Don Tonino
Bello , Profeta della Pace ”

a) Poesia in lingua italiana

b) Poesia in vernacolo salentino

c) Libro di poesie a tema religioso edito negli ultimi 10 anni (dal 1996
in poi)

2. Per le sezioni a) e b) potranno essere presentate al massimo tre
poesie non eccedenti i quaranta versi ciascuna, in una sola copia
autografa. Per la sezione c) si partecipa con una sola opera edita dal
1995 in poi.

3. Tutte le opere devono pervenire entro il 30 settembre 2005 ( farà
fede il timbro postale) al seguente indirizzo: Centro di Interesse Anspi –
Parrocchia San Gerardo Maiella, via Mantova – 73014 Gallipoli

4. Ogni concorrente dovrà indicare in calce ad ogni opera le generalità ,
l’indirizzo, il numero telefonico e la dichiarazione che l’ opera stessa
è frutto della sua creatività (esclusa la sez. “c”).

Verranno premiati i primi TRE classificati di ciascuna sezione con “ICONE
RELIGIOSE”.A tutti i concorrenti verrà rilasciato diploma di partecipazione e fatto dono del volume ” La Santina di Gallipoli” di Augusto Buono Libero.

5. Tutti i partecipanti saranno invitati formalmente invitati alla
cerimonia di premiazione che avverrà il 23 ottobre 2005 , alle ore
20,00, presso la Sala Conferenze della Parrocchia San Gerardo Maiella.. I
premiati che , per vari motivi, non potessero partecipare alla cerimonia ,
potranno ricevere ugualmente l’eventuale premio e il dono loro riservato
presso il proprio domicilio , secondo modalità che verranno a suo tempo
concordate.

6. Le opere prime classificate e quelle ritenute comunque meritevoli
verranno recensite presso l’emittente televisiva Teleonda Gallipoli. I
concorrenti con la partecipazione al presente concorso s’impegnano a dare
fin d’ora il loro assenso per la gratuita diffusione televisiva, o
pubblicazione .

7. E’ richiesta una quota di partecipazione alle spese di EURO 15.00
(quindici =00) per ogni sezione, che dovrà essere versata mediante vaglia
postale, assegno bancario non trasferibile intestati a: Centro di
Interesse Anspi – Parrocchia San Gerardo Maiella, via Mantova – 73014
Gallipoli, oppure in contanti , direttamente presso il Centro di Interesse .

8. La Giuria del Concorso, presieduta dal Parroco, sarà resa nota
durante la manifestazione di premiazione . Tutte le opere ammesse alla fase
finale saranno declamate dagli autori medesimi ( o da esperti lettori) ,
in occasione della serata di premiazione.

9. La partecipazione al concorso comporta la piena e completa accettazione
del presente regolamento e il perfetto adempimento di tutti gli obblighi in
esso contenuti. In caso contrario la partecipazione è considerata nulla.
L’operato della Giuria è insindacabile e inappellabile.

Il parroco don Piero De Santis

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1 ottobre 2005

(Letizia Moratti in una sua simpatica imitazione di Stan Laurel)

“QUESTO È L’OCCHIO BELLO”

(Una fiaba di Lucio Angelini)

La ministra Moratti ricordava perfettamente la filastrocca Questo è l’occhio bello, che sua madre soleva ammannirle quand’era molto piccola.
“Questo è l’occhio bello”, le diceva toccandole un occhio. “E questo è suo fratello”, proseguiva toccandole l’altro. “Questa è la boccuccia”, riprendeva posandole un dito sulle labbra. “… e questo è il campanello. Drin drin drin!!!!!“, concludeva dopo una manciata di secondi di suspence, schiacciandole fastidiosamente il naso e scoppiando a ridere come una matta.
”                                                                                                   Quando sarò grande e mi occuperò di riforma della scuola”, reagiva la futura ministra nella sua piccola mente in formazione, “non ne vorrò minimamente sapere di queste antiquate metodologie didattiche del cazzo. Ho dei progetti tutti diversi. Aspettate che cresca e vedrete!”

(foto tratta da http://www.costumesinc.com/Costumes/images/wo021.jpg)

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23 novembre 2005

LA FIABA DELL’IO, DELL’ES E DEL SUPER IO

Freud creò dei simboli per aspetti isolati della personalità che chiamò Es, Io e Super-io: astrazioni non diverse dalle personificazioni della fiaba. L’irragionevole Es travolge il debole Io che esegue gli ordini del Super-io: per tutta risposta, l’Io oppone l’Es e il Super-io e li induce a combattere tra loro, per neutralizzarne le energie contrarie e ottenere un controllo razionale sulle loro spinte irrazionali. Naturalmente si tratta di esteriorizzazioni fittizie, utili soltanto per l’individuazione e la comprensione dei processi con cui diamo ordine al caos delle esperienze interiori.

Si consegue l’integrazione della personalità imparando a comprendere e a dominare il proprio Es (le pressioni violente, aggressive), a dare ascolto al Super-io (le aspirazioni e gli ideali superiori) senza esserne completamente dominati. Il rosso caos delle emozioni incontrollate (l’Es) e la bianca purezza delle nostre coscienze, cioè il Super-io, devono integrarsi e convivere armoniosamente per il raggiungimento della maturità.

Ma sentiamo una canzone di Giovanni SCIALPI :- ) 

http://www.youtube.com/watch?v=1x4GPPgkT5E

L’IOE L’ES

E’ LA PRIMA VOLTA CHE
VENGO NELLA TUA CITTA’
MA CHE STRANO EFFETTO FA
QUESTA PIAZZA QUESTA VIA
IO LE HO CONOSCIUTE GIA’
MA NON IN QUESTA VITA MIA
MISTERO CHE NON POTRO’
SPIEGARE MAI
L’IO E L’ES VIVO FUORI
E DENTRO ME
IL COLTELLO DI UN MARINE
MI SORPRESE PROPRIO LI’
SULLA PORTA DI QUEL BAR
C’ERI ANCHE TU
E CON LUI BALLAVI UN BLUES
DICE CHE SI RIPETE COME UN FILM
O VITA
MA QUANTE FACCE HAI
STANNO SUONANDO UN BLUES
NON C’E’ NESSUNO E BALLI CON ME
SENTO ANCORA QUEL BLUES
MA QUANTE VOLTE TU
PUOI FINGERE L’AMORE
MA QUANTE FACCE HAI
TUTTO COME IN UN FILM
LA STESSA SCENA LA RIVIVRAI
TUTTO COME IN UN FILM
UN FILM CHE NON
POTRA’ FINIRE MAI
CHE VESTITO BIANCO HAI
NONOSTANTE IL SANGUE CHE
HO VERSATO SU DI TE
MISTERO CHE NON POTRO’
SPIEGARE MAI
L’IO E L’ES HANNO UN GIOCO SU DI ME
O VITA
MA QUANTE FACCE HAI
SENTO ANCORA QUEL BLUES
E LE TUE BRACCIA STRINGONO ME
SENTO ANCORA QUEL BLUES
MA QUANTE VOLTE TU
PUOI FINGERE L’AMORE
MA QUANTE FACCE HAI
TUTTO COME IN UN FILM
LA STESSA SCENA LA RIVIVRAI
TUTTO COME IN UN FILM
UN FILM CHE NON POTRA’
FINIRE MAI.

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11 novembre 2005  

NUVOLE A COLAZIONE

Mi è capitato fra le mani – forse non a caso – un vecchio numero di “Andersen” (la più importante rivista sulla produzione letteraria per ragazzi) con i libri premiati per il 1996:

Menzione speciale per il valore civile dell’iniziativa a

                                         “Nuvole a colazione

Il libro (una raccolta di racconti gratuitamente forniti da venti autori per ragazzi e illustrati, sempre gratuitamente, da altrettanti illustratori) venne presentato qui a Venezia nella sala consiliare del municipio – alla presenza del sindaco Cacciari, del prosindaco scrittore Gianfranco Bettin, del critico specializzato Roberto Denti, di varie scolaresche e di parecchi autori e illustratori del settore – esattamente 10 anni fa: l’11 novembre 1995.

Proprio oggi, dunque, ricorre il decennale di un evento che preparai con grande entusiasmo, ma che, paradossalmente, provocò la mia cacciata come autore dal mondo dell’editoria per ragazzi.

Sintetizzo l’antefatto.

L‘idea del libro mi venne nel 1995 dopo un Forum su Sarajevo svoltosi qui a Venezia il 7 luglio all’Ateneo Veneto, con Adriano Sofri, Massimo Cacciari, Gianfranco Bettin eccetera. Quella che mi colpì, soprattutto, fu la testimonianza agghiacciante di una giovane donna bosniaca (l’assedio di Sarajevo era nella sua fase più drammatica). Premetto che ero già abbastanza sconvolto dal suicidio di Alex Langer (il 3 luglio 1995 a Pian dei Giullari, sopra Firenze: “Continuate in quello che era giusto”, aveva lasciato scritto nel messaggio d’addio) e dal tragico appello del sindaco di Sarajevo Tarik Kuposovic a Cacciari: “Ti prego di adoperarti in ogni modo per inviarci più cibo possibile“. Pensai che ognuno dovesse fare qualcosa, muovendosi nel proprio ambito (sono contrario ai progetti troppo vasti o fumosi). Mi dissi: “Se fossi un politico, farei qualcosa a livello politico. Poiché sono un autore per ragazzi, proverò a smuovere le acque nel mio ambiente”. Telefonai a vari colleghi, a Roberto Denti, proponendo l’iniziativa di un libro i cui proventi andassero in favore delle vittime della guerra in Bosnia. Ci fu una risposta immediata e generosa da parte di quasi tutti gli interpellati. Una delle poche a reagire con parole che allora mi suonarono malevole e retoriche (oggi molto meno) fu proprio Orietta Fatucci, il mio editore, che si rifiutò di ospitare l’iniziativa (“Queste cose si fanno perché ci si vuole sentire buoni… davanti all’orrore l’unico atteggiamento possibile è il silenzio“, eccetera). Mortificato, ma confortato dalle altre adesioni, strinsi i denti e procedetti per la mia strada. Tullia Colombo si adoperò per trovare un altro editore: la signora Laura Panini, che a sua volta si prodigò lodevolmente per la riuscita dell’iniziativa.

Le conseguenze:

La Fatucci, da radicale qual era ed è, dopo altri “scazzi” sulla questione decise addirittura di radiarmi dalla EL/Emme/Einaudi Ragazzi sia come autore, sia come traduttore (per insubordinazione?). Nuvole a colazione fu presentato anche in televisione da Bianca Pitzorno nel programma domenicale della veneziana Mara Venier, fruttò 25 milioni di lire in royalties e tale contributo fu regolarmente versato sul conto corrente umanitario pro-Sarajevo aperto dal Comune di Venezia.

Purtroppo qualche mestatore (qualcuno degli esclusi dalla raccolta?) prese a spargere merda e fango sull’iniziativa e in particolare sulle mie “vere” (?) intenzioni. La mia coscienza era a posto, ma presto, in una sorta di reazione a catena, vari personaggi che avevano costituito un riferimento professionale per me, cominciarono a prendere le distanze dal promotore dell’operazione (il mondo dell’editoria per ragazzi è un piccolo mondo in cui tutti conoscono tutti). In seguito, infine, mi capitò di sentire citare alla radio una frase di Enzo Ferrari, il magnate dell’automobile: “Non fate del bene, se non siete preparati a sopportare l’ingratitudine“. Il monito mi suonò tristemente rivelatore. E devo confessare che se, da un lato, non mi ero aspettato la gratitudine di nessuno, dall’altro ero tutt’altro che preparato a sopportare di essere addirittura buttato fuori dal giro lavorativo per così poco, dopo sei volumi già pubblicati e ottimamente recensiti. Se avessi previsto, anzi, quanto indigeste si sarebbero rivelate per me le nuvole a colazione, forse, chissà, avrei vilmente scelto di fare colazione con qualcos’altro. Comunque, dopo essermi roso il fegato per molto tempo, alla fine riuscii a consolarmi dedicandomi alle traduzioni, alla montagna e all’alpinismo. Compresi anche, a poco a poco, che l’esperienza dell’ingiustizia è in qualche modo il momento clou delle nostre esistenze, il vero rito di passaggio per il conseguimento di un necessario, anche se doloroso, disincanto. “Quando la vita ci mette a dura prova”, mi disse un amico, “è nostro dovere tenerci insieme, non lasciarci travolgere, guardarci vivere con tutta l’ironia di cui siamo capaci. E stringere i pugni in attesa di momenti migliori, perché prima o poi la tensione si allenta.”

Da allora, ripeto, sono passati dieci anni esatti. Qualcuno mi ha detto che i grandi cicli del destino, nell’esistenza di un uomo, durano, appunto, dieci anni. Voglio sperare che da domani 12 novembre 2005 la ruota riprenda a girare nel verso giusto e mi riservi un ciclo professionale migliore. Se così non sarà, pazienza. La vita mi ha comunque dato altre soddisfazioni: due figli che adoro, una casa nella città più bella del mondo, il conforto delle montagne eccetera. Sono – tuttavia – certo del fatto che, se mai dovessi “rientrare in circolo” come scrittore per ragazzi (o, perché no?, anche per adulti), a certe potenti megere del FUMER (Fronte Unito Megere Editoria per Ragazzi) fumerebbero tremendamente i marroni:- )

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28 aprile 2006 

(Orietta Fatucci) 

ORIETTA FATUCCI: IL MIO PRESIDE MEISLING
  
Il 17 aprile ultimo scorso Sergio Garufi scrisse su Nazione Indiana: 

Chi ha talento ma è privo di un Grigorovic che lo sproni e lo sponsorizzi, il più delle volte è obbligato a mendicare ascolto e attenzioni a un mondo, quello editoriale, spesso freddo e indifferente con chi ne è escluso. Una delle testimonianze più amare di queste lamentazioni clandestine è probabilmente Lettere a nessuno di Antonio Moresco, diario di un penoso e interminabile calvario consumato fra redazioni, editor e grandi firme milanesi, in cui la supplica si evince meno dal tono, a tratti anzi risentito e forastico, che dall’assiduità delle richieste di ascolto.”

Risposi nei commenti:

Se “Lettere a nessuno” ha trovato un editore, e abbastanza presto nella vita del mittente delle stesse, non ha molto senso definire il calvario di Moresco “interminabile”. Sul tema del genio incompreso il miglior romanzo resta “Il violinista” di H.C. Andersen:-/”

Rileggendo la nuova puntata de “Il fantasma di Andersen” appena uscita qui

http://www.carmillaonline.com/archives/2006/04/001758.html#001758

ho ripensato adesso non tanto alle MIE personali “Lettere a nessuno” (dozzine e dozzine, a partire dal fatidico 1995, anno della mia cacciata dal paradiso editoriale), quanto a quelle da me inviate nell’ultimo decennio alla editor Orietta Fatucci di EinaudiRagazzi/EL/Emme, dapprima mia talent-scout, poi talent-killer.

Le mie “LETTERE A ORIETTA FATUCCI” costituirebbero un documento ben più straziante – e nello stesso tempo trombonescamente tragicomico – di quelle di Moresco. Eccone qualche esempio abbastanza recente:

27 aprile 2004

Oggetto: ATTO DI DOLORE

Eccelsa Orietta Fatucci,
mi pento e mi dolgo con tutto il cuore del mio peccato di insubordinazione, perché peccando ho meritato i Suoi castighi, e molto più perchè ho offeso Lei, infinitamente buona e giusta, e degna di essere amata sopra ogni cosa. Mi propongo con il Suo santo aiuto di non offenderLa mai più e di fuggire le occasioni prossime di peccato. Signora, Misericordia, mi perdoni
.”

Nessuna pietà. La sventurata non rispose.

29 aprile 2004

“Cara Fatucci,

le edizioni EL-Emme-Einaudi Ragazzi sono la casa in cui sono nato come scrittore. Dieci anni fa lei mi buttò fuori di casa per uno stupido capriccio. Ora basta. La smetta di fare la megera e mi riapra la porta. VOGLIO TORNARE A CASA MIA!!!!!!!!!!!!!! Uccida il VITELLO GRASSO per il mio rientro. Guardi che potrebbe morire tra un giorno, tra un mese, tra un anno… e finire arrostita sulle graticole dell’inferno, se non si sarà tolta in tempo dalla coscienza il peso del mio assassinio letterario:-> Cordialità. Lucio Angelini”

Macché. Manco uno sputo in un occhio.

Il 7 maggio successivo tornai alla carica citando l’autorevole Cacciari:

Oggetto: PIETA’ PER LA FATUCCI

Scrive Massimo Cacciari su Repubblica:

‘Pietà per i torturatori. Non solo perché non sanno quello che fanno e si fanno. Pietà anche per la nostra natura che in loro si disvela secondo la più perfetta misura della sua miseria. Essa consiste essenzialmente nel credere che la propria superiorità (e perciò la propria stessa sicurezza) si esprima nella capacità di ***abbassare l’altro, di umiliarlo***. Che la nostra vittoria consista nella totale sconfitta di chi ci ha affrontato. In questa fede trova fondamento il nostro male radicale. I torturatori di Abu Ghraib non sanno che la tortura innalza, invece, la vittima; che il terrore che infliggono non rifletterà, alla fine, che la loro stessa angoscia impotente.'”

(Intendevo, naturalmente, innalzarmi ai suoi occhi come vittima del suo angoscioso mobbing editoriale. Niente da fare. Nemmeno questa volta l’inflessibile reagì.)

Allora, giacché stavo scrivendo “Il fantasma di Andersen“, le espressi quanto segue:

“Gentile dott.sa Fatucci, per curare l’edizione italiana de ‘Il violinista’ di Andersen, pubblicata da Fazi editore, ho dovuto rileggere anche la sua autobiografia ‘La fiaba della mia vita’. Mi ha colpito, in particolare, la figura del preside Meisling, che fece il possibile per ***ostacolare*** e ***irridere*** il talento di uno degli autori oggi più celebrati del mondo. Dovendo recarmi come autore presso una quarta elementare del padovano, ho riletto dopo tanti anni anche ‘Grande, Grosso e Giuggiolone’, che lei ha crudelmente espunto dai suoi cataloghi. Ebbene, non ho potuto non paragonarla (si parva licet componere magnis) alla figura del preside Meisling. A che serve che lei pubblichi Anna Frank e Margarete Buber-Neumann se, nella sostanza, si è dimostrata una tale spietata Meisling nei miei confronti? Cordialità. Lucio Angelini”

***

P.S. Nella puntata di oggi su Carmilla, accanto al ricordo del preside Meisling, anche due interessanti brani su VENEZIA, paragonata da Andersen a un CIGNO MORTO… 

[Nell’immagine in alto – naturalmente – il ritratto del preside Meisling:-)]

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31 dicembre 2005

CHE NE DITE DI QUESTO EXPLICIT?

Voglio dedicare l’ultimo post dell’anno a uno scrittore di Fano, Luciano Anselmi, di cui ero molto amico. Morì nel 1996. Tra i suoi libri, quello che mi ricapita più spesso in mano è “Un viaggio”, sua terza opera narrativa dopo “Niente sulla piazza” e “Gramignano”. Ve ne propongo l’EXPLICIT:

Prima che le tenebre scendano su di te (io lo so: un giorno, all’inizio della primavera, una cornacchia si poserà sull’ulivo e fisserà il suo sguardo all’ovest, donde vengono le tempeste invernali) fatti forza, raduna tutte le tue memorie, la fotografia di tuo padre morto, e va: deciditi per quella strada ch’è la sola che possa salvarti; te lo dico io che sono tua madre; poche cose essenziali bastano a un uomo per intraprendere un viaggio. Sospirò un poco e aggiunse:

FINE
(1966-1967)

Luciano Anselmi, Un viaggio, Cappelli Editore, 1969

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1 gennaio 2006

da http://www.overgaard.dk

CHE NE DITE DI QUESTO INCIPIT?

Dopo l’explicit di ieri (in non casuale corrispondenza con il finale dell’anno 2005), cercavo un INCIPIT significativamente in linea con l’incipit del 2006. Per un po’ scarrello con gli occhi avanti e indietro per gli scaffali della mia libreria quando, – oh meraviglia! -, mi si bloccano su un titolo:

«PASSEGGIATA NELLA NOTTE DI CAPODANNO», Lubrina editore, 1987.

“Cazzo!”, mi dico deliziato, “ma è ANDERSEN!!!”

[volete smetterla di sbadigliare?]

È infatti questo il titolo italiano di

Fodreise fra Holmens Canal til Østpynten af Amager i Aarene 1828 og 1829

(alla lettera: “Viaggio a piedi dal canale di Holmen fino alla punta orientale di Amager negli anni 1828 e 1829”).

“Come sono contento”, trillo tra me. “Un Andersen d’annata è quel che ci vuole!”

Naturalmente conosco a memoria l’incipit del libro, e credo peraltro di averlo già segnalato in rete più d’una volta, ma tant’è, beccatevelo lo stesso:

PRIMO CAPITOLO. Come Satana si impadronisce dello scrittore. Il diluvio nr. 2, un mito.

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“La sera dell’ultimo dell’anno del 1828 me ne stavo tutto solo nella mia stanzetta e spaziavo con lo sguardo oltre i tetti delle case vicine coperti di neve. In quel momento lo spirito del male, noto col nome di Satana, si introdusse in me e mi suggerì il pensiero peccaminoso di diventare scrittore. Il motivo per cui egli di solito perseguita noi poveri uomini è chiarito da questo mito che si può chiamare ‘Il diluvio nr. 2’…” (eccetera).

[Nytaars-Aften 1828 sad jeg ganske ene paa mit lille Værelse og saae ud over de sneebedækte Tage paa alle Nabohusene; da foer den onde Aand, som man kalder Satan, ind i mig, og indblæste mig den syndige Tanke at blive Forfatter. – Hvorfor han ellers saaledes gaaer paa Jagt efter os arme Mennesker, vil følgende Mythe lære; man kan kalde den: Syndfloden No. 2”]

Se penso che, dopo “Il violinista” del 2005, a fine febbraio 2006 uscirà per i tipi di Fazi il finissimo “O.T., un romanzo danese” (di nuovo a cura del sottoscritto), non mi resta che trarre i migliori auspici per il 2006 da un incipit affiorato in maniera tanto casuale:-).

Anzi, sapete che vi dico?

Poiché sto scrivendo il pezzo alle sei del pomeriggio del 31 dicembre, ovvero un attimo prima di prepararmi per il cenone a cui sono stato invitato, quasi quasi disdico l’impegno e passo la notte “tutto solo nella mia stanzetta” nella speranza che mi appaia il FANTASMA DI ANDERSEN (vedi www.carmillaonline.com ).

Comunque vadano le cose, buon anno a tutti, e mi raccomando… LONTANI DA SATAN!

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(Boosta) 

RICETTE LETTERARIE:

COME CONFEZIONARE UN ROMANZO SPLATTER

Nell’ultimo Almanacco dei Libri (Repubblica del 26 novembre) Marco Lodoli dice, a proposito del romanzo ***, di *** :

“A me [questo romanzo] pare un’operazone tipica di questi anni: si prendono le figure più squallide e feroci:

1) uno psicopatico che rimpinza le sue vittime di pile

2) un pusher filosofo e spietato

3) un tizio che accoppa le persone per strappargli gli organi e rivenderseli

4) qualche ragazzino viziato e tossico

5) un giovane geloso che ha appena massacrato il rivale

6) una manciata di poliziotti con la mano sul grilletto

quindi li si infila tutti in uno SHAKER, si agita forte, si versa piombo e sangue, demenza e follia, e infine si indossa la toga e si tira la morale

(= viviamo proprio in un mondo di merda; la gente è cattiva e disperata; se non cambiamo rotta finiremo male…)

INSOMMA: prima si usa tutta la spazzatura disponibile, si accoltella, si pippa, si tortura, si mitraglia, si razzola nel sangue, approfittando a man bassa delle emozioni più violente, e poi si chiude condannando SDEGNATI tanto schifo. C’è qualcosa di ipocrita in questa tecnica. È come sputare dall’alto nel piatto in cui si è grufolato a testa bassa. Non è lecito rifiutare il Grande Porcile in cui viviamo con la bocca piena di prosciutto e salame.”

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DOMANDA di Lucio Angelini.

Casualmente la recensione si riferisce a ‘Un’ora e mezza’, di Davide Di Leo (in arte Boosta), tastierista e anima dei Subsonica, Baldini Castoldi Dalai editore, ma a quante altre opere dei nostri anni non potremmo adattarla?

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26 dicembre 2005

 
(Il gomito di Antonio Bois, di Blogdiscount.org)
 
Cazzo, quelli di Blogdiscount non mi hanno dato neanche un premio Blog-Aworse, con tutta la fatica che ho fatto a cazzeggiare quotidianamente, sia come conduttore di questo blog (dal lontano giugno scorso a oggi), sia come commentatore di altri blog (Lipperatura, Nazione Indiana, Vibrisse Bollettino eccetera) da ancora più tempo. Sentite, per esempio, a chi hanno dato il premio “peggior commentatore di lit-blog”:
 
Premio Peggior commentatore da lit-blog:Wu Ming 1
perché ha sempre la ragione in tasca, c’ha gli scagnozzi che scendono dalla montagna in caso di flame e sputa commenti ex cathedra lunghi anche tre schermate.Nominati dalla giuria:
Giuseppe Iannozzi
perché ci ficca sempre le sue preferenze in materia di letteratura e di sesso (e ne azzeccasse una che fosse una)
Georgia Mada
Perché gEorgia con la E[Meno male che Roberto Bui – ormai – sa perfettamente quanto Madre Natura (e in particolar modo il gabbiano Larus Ridibundus) sia indifferente ad ogni affaccendarsi degli umani blogger.]E il premio “teoria della Lipperatura”?Premio speciale Teoria della Lipperatura: Roquentin
Per essere il miglior specialista della nuova disciplina che si spera rimanga confinata nel risibile raggio della lit-blogosferaVediamo il Premio Peggior commentatore di Blogdiscount Ataru
per esserci stato sempre fedele, attraverso tutte le liti, i flame storici e i cambi di dominio, commentando sempre, immancabile, nonostante gli si risponda una volta su mille Nominati dalla giuria:
Paolo Beneforti
per le domande vispe, sempre acute ed intelligenti che pone agli autori del blog
Kekule
il nostro primo commentatore, e c’è ancora e non ha perso un colpo, solo una persona davvero malvagia può arrivare a tanto[Certo, Pavlov Beneforti è il classico commentatore che si è fatto da sé, dopo anni di dura gavetta in it.cultura.libri (dove ripete con la meccanicità del cagnetto suo omonimo: “Impara a quotare, impara a quotare, impara a quotare…”)] Però, che invidia! Non mi resta che consolarmi interiorizzando l’Ungaretti più natalizio:
 
Non ho voglia
 
Di tuffarmi
 
In un gomitolo
Di calli*            [*così le strade a Venezia, N.d.A.].
 
Ho tanto

Rosicume

Sulle spalle.

Lasciatemi così

Come un

Blogger

Posato

In un

Angolo

E dimenticato.

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13 dicembre 2005

UN ALTRO MONDO È POSSIBILE

Quando Franco Enna lo intervistò per l’antologia Il meglio della fantascienza (edita da Longanesi verso la metà degli anni Sessanta), Robert Sheckley si mostrò più che disincantato nei confronti del genere che gli aveva dato fama e fortuna. Ma cosa vuole che sia, la fantascienza, disse più o meno. Contro una manciata di idee originali e azzeccate, dobbiamo assistere a una pletora di ripetizioni e mediocri tentativi di rinsanguare l’utopia. Voi credete che la fantascienza possa spaziare in un numero di argomenti illimitato, ma non è vero: in realtà si fa presto a esaurirli, non è affatto un pozzo dei miracoli. E quando pretende di fustigare i costumi? Ah, è allora che il genere mostra il suo vero volto: all’apparenza liberale o addirittura anarchico, in realtà superficiale e vanesio.”

(Giuseppe Lippi in http://www.lastoria.org/lippit.htm)

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Spesso i racconti di SF sono caratterizzati da CATASTROFISMO. La terra vi viene rappresentata DOPO una guerra nucleare, l’impatto di un meteorite eccetera. Vediamone uno:

Robert Sheckley, Il magazzino dei mondi (in “Il giardino del tempo”, Einaudi 1983)

Il signor Tompkins è il proprietario del magazzino dei mondi. Ognuno vi può scegliere liberamente il mondo dei propri desideri più segreti e viverci grazie a un’iniezione che libera la mente, ma comporta un tremendo sforzo per il sistema nervoso, tanto da accorciare la vita di dieci anni (un po’ come con la droga, per intenderci).

Il signor Wayne accetta le condizioni, pur di “lasciare per un po’ questa Terra”. Con la tecnica della violazione delle aspettative del lettore, l’autore ci fa poi scoprire che i più sfrenati e segreti desideri del signor Wayne non sono quelli di una vita eccezionalmente felice, ma di un apparentemente monotono menage coniugale alla vecchia maniera (con lui e Janet che uscivano in barca a vela dopo che i bambini si erano addormentati: una dimensione ormai perduta). Nel frattempo, infatti, la terra è precipitata nelle più spaventevoli condizioni post-atomiche…

Forse Sheckley voleva solo ricordare ai lettori che il segreto della felicità sta, in fondo, nel desiderare ciò che si ha… memore del vecchio monito “il peggio non è mai morto” (variante: “Al peggio non c’è mai fine”):-/

Consoliamoci con questo esilarante video sul modo in cui Bush recluta i propri soldiers:-/
http://www.americancomedynetwork.com/FLASH/soldiers.htm

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9 dicembre 2005

Come liberarsi del 90% delle eccedenze di gas intestinale.

[Chorus]

I can’t get no satisfaction [x2]
’cause I try and I try and I try and I try
I can’t get no, I can’t get no

Non riesco a trovare nessuna soddisfazione [x2]
Perché io provo e io provo e io provo e io provo
Ma non riesco a trovarne, non riesco a trovarne

Visto che i vecchi Rolling Stones si sono rimessi in circolo, dovrebbero quantomeno aggiornare il testo del loro maggior successo (“I can’t get no satisfaction”) in cui l’Io narrante si professa orribilmente scoglionato dalla pubblicità radio-televisiva.

“When I’m drivin’ in my car
And that man comes on the radio
And he’s tellin’ me more and more
About some useless information
Supposed to fire my imagination.

[cut]…

When I’m watchin’ my tv
And that man comes on to tell me
How white my shirts can be.

(Quando guido nella mia macchina
E quell’uomo parla alla radio
E mi dice sempre più cose
Riguardanti informazioni inutili
che dovrebbero accendermi l’immaginazione…

Quando guardo la televisione
E quell’uomo viene a dirmi
Quanto bianche possono essere le mie camicie

(traduzione da http://www.newsky.it/musica/autori/_rollingstones/satisfaction.htm)

Ebbene, non è chi non veda come il problema del martellamento radio-televisivo sia ormai da considerarsi obsoleto e fatiscente rispetto a quello, ben più attuale e insidioso, dello spam elettronico.

Eccovi una delle più tremende junk mail che abbia mai ricevuto (l’ho salvata per la sua esemplarità):

DO YOU FREQUENTLY SUFFER FROM DISCOMFORT DUE TO THE FOLLOWING:-

Flatulent
Excessive Intestinal gas
Stomach wind
Bloating
Difficulty in farting.

[e sottolineo farting ( = SCORREGGIARE)!!!]

Niente paura. A tutto c’è una soluzione. Eccola:

“A special method that involved simple positioning and movement of your body to expel excess wind by inducing farting. A method that will get rid almost 90% of excess intestinal gas in the comfort of your own home… Very simple procedure, perfectly safe. Only takes about 3 – 5 mins per session once it has been done properly. And it only cost you $5 . A price that is worth a lifetime of cure and cost less than a box of medication.”

Capite? Comodamente a casa vostra e per appena 5 dollari!

Questa volta sì che si può cantare: “I can get satisfaction!… sì sì sì!”

Purtroppo, smaltite le eccedenze gassose di cui sopra, i desideri non si esauriscono. Ne resta, infatti, un’infinità di altri, fra cui quelli sessuali, discretamente ossessivi… ma niente paura di nuovo. Ecco pronta un’altra mail rincuorante:

-Icrease Your Sexual Desire and Sperm volume by 500%
-Longer orgasms – The longest most intense orgasms of your life
-Rock hard erections – Erections like steel
-Ejaculate like a porn star – Stronger ejaculation
-Multiple orgasms – Cum again and again
-SPUR-M is The Newest and The Safest Way of Pharmacy
-100% Natural and No Side Effects – in contrast to well-known brands.
-Experience three times longer orgasms
-World Wide shipping within 24 hours

Riguardo alla prima promessa, qualcuno potrebbe obiettare: “Che mi frega di aumentare il volume del mio sperma del 500%?”. Ma come restare insensibili al secondo allettamento (“longer orgasms”), soprattutto se si pensa a certe statistiche diffuse di recente?

Le riprendo da Repubblica.it: http://www.repubblica.it/2005/j/sezioni/scienza_e_tecnologia/ricor/ricor/ricor.html

BERLINO – Se si potessero riunire tutti gli orgasmi che una persona in media ha nella sua vita si otterrebbe un “attimo” di piacere lungo sedici ore. Ben poca cosa rispetto ai nove mesi (che poi è anche il tempo di una gravidanza) passati a stirare e lavare.

Sono alcuni dei numeri che emergono da una ricerca condotta dalla rivista tedesca “Geo Sapere”, anticipata oggi dal quotidiano popolare Bild Zeitung.

Partendo da una vita media calcolata statisticamente in 78 anni, la rivista ha stabilito che uomini e donne in Germania passano in media due settimane in preghiera, sei mesi in fila nel traffico, cinque anni a mangiare e bere, 24 anni e nove mesi a dormire.

Per quanto riguarda il sesso, sempre secondo esperti di “Geo Wissen”, nell’arco di una vita a ciascuno spettano in media, oltre alle 16 ore di orgasmo, anche un “bonus” di sei settimane da dedicare ai preliminari erotici.

(17 ottobre 2005)

Capite? Appena sedici ore… un’assoluta miseria, francamente:-/

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QUELLE BRUTTE SCORREGGIONE DELLE MUCCHE!

Da piccino, come molti altri miei coetanei, venni costretto a imparare a memoria la poesia “Il bove” di Giosuè Carducci. La ricordo ancora. Volete che ve la reciti? Eccola:

T’amo, o pio bove; e mite un sentimento
Di vigore e di pace al cor m’infondi,
O che solenne come un monumento
Tu guardi i campi liberi e fecondi,
0 che al giogo
inchinandoti contento [figuriamoci! n.d.r.]
L’agil opra de l’uom grave secondi:
Ei t’esorta e ti punge, e tu co ‘l lento
Giro de’ pazienti occhi rispondi.
Da la larga narice umida e nera
Fuma il tuo spirto, e come un inno lieto
Il mugghio nel sereno aer si perde;
E del grave occhio glauco entro l’austera
Dolcezza si rispecchia ampio e quieto
Il divino del pian silenzio verde.

Ebbene, se Carducci fosse ancora vivo, probabilmente non gli avrebbe fatto piacere apprendere dalla stampa mondiale di ieri che insieme allo “spirto” (esalante dalla bovina “narice umida e nera”), ben più inquietanti effluvi sogliono perdersi nel “sereno aer”: quelli emessi da pertugi non meno umidi e neri delle nari.

Udite:

“Gb, troppi ‘gas’: multate le mucche”

Governo: contribuiscono a inquinamento

L’inquinamento atmosferico è un problema serio e forse anche per questo in Gran Bretagna hanno deciso di non sottovalutare nulla. Tanto che il ministero dell’Ambiente ha avvertito gli allevatori: limitate le flatulenze delle vostre mandrie, oppure verrete multati. Le emissioni di gas metano dei bovini ammontano al 7% di quelli che provocano l’effetto serra, e oltre un terzo di tutta l’immissione di metano nell’aria.

Secondo David Milliband, il ministro per l’Ambiente, entro il 2020 l’industria dell’allevamento dovrà fare la sua parte per limitare le emissioni dannose, pena sanzioni.

Per Milliband, le flatulenze bovine possono essere limitate dando mangimi diversi agli animali, facendoli vivere più a lungo, o facendo sì che esse diventino combustibili nella forma di biogas. Nessuno, però, ha specificato se verrà introdotta una “tassa sul peto“.>>

Da http://www.tgcom.mediaset.it/mondo/articoli/articolo342559.shtml

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(Il principe Harry)

lunedì, giugno 30, 2008

VENTI DI GUERRA 

Riprendo dal Gazzettino del 16 giugno scorso una notizia che mi aveva sorpreso e inquietato:

«LONDRA. Il principe Harry, divenuto un “eroe mediatico” dopo la sua recente missione militare afghana, ha creato scompiglio e imbarazzo nella famiglia reale che assisteva dal balcone di Buckingham Palace alla tradizionale parata militare “Trooping the Colour” per il compleanno della regina: gli è scappata una flatulenza che ha investito il fratello William, impettito al suo fianco: è scoppiato a ridere e si è tappato il naso. Il nonno Filippo – protagonista di un evento analogo alla stessa cerimonia due anni fa – si è voltato divertito verso il 24enne Harry che rideva di gusto e pure lui si tappava il naso. La regina e la figlia Anna non hanno gradito: occhiate severe e smorfie. La matrigna Camilla ha trattenuto il respiro col fazzoletto alle narici. La stampa inglese ironizza sullo “sgradito dono di compleanno” del “ventoso” Harry alla nonna 82enne.»

[Suvvia, diciamocelo: senza l’abnegazione e la scrupolosità professionale di certi giornalisti, chi avrebbe mai potuto immaginare che anche i reali scorreggiassero?, n.d.r.]

Immagine da http://www.repubblica.it/2007/05/sezioni/esteri/iraq114/harry-forse-non-parte/ap_10393801_26470.jpg

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LE FLATULENZE DEI DINOSAURI

22 dicembre 2011

(Sass Maor, la via Castiglioni/Detassis )

Riferiscono i quotidiani di oggi:

FRANATA UNA PARETE DEL SASS MAOR NELLE PALE DI SAN MARTINO“. (Il cedimento, avvenuto nella parete est, avrebbe cancellato gran parte di tre vie alpinistiche).

Riporto i primi cinque commenti dei lettori del Gazzettino:

1. Nessuna meraviglia! Le Dolomiti sono antiche scogliere marine ed ovviamente bisogna guardarle ma non toccarle! (Tano)

2. quetzalcoatl . Ecco, appunto, visto che ci tieni a che le dolomiti non si rovinino, la cosa più semplice da fare è lasciarle in pace. lo so che sono belle da vedere e da scalare ma per preservarle bisogna proprio lasciarle perdere. (Tonio)

3. le frane capitano. ad esempio San Vito di Cadore è proprio sul conoide di una antica frana (piùprecisione)

4. Stiamo cucinando lentamente in un pianetino chiamato Terra. Con l’effetto serra si sfaldano anche le montagne!! è un disastro per l’intero pianeta (Concetta Rosalia)

5. ” … Con l’effetto serra si sfaldano anche le montagne!! … “

Quanta superficialità da osteria. Ovviamente la Monument Valley in Usa è la conseguenza dell’effetto serra che le flatulenze dei dinosauri producevano (allora, dicono, non ci fossero automobili). Sono confuso, forse quelle delle vacche sono responsabili della scomparsa dei dinosauri … Comunque sia, è solo una questione di … (SarpenteBoia)

(Immagine in alto da:

4 dicembre 2005

(G. Doré, Dante al Limbo)

MA QUALE LIMBO E

LIMBO!!!

Copio-incollo un riassunto dalla Rete:- )

“Riprendendo i sensi, Dante si ritrova nel primo cerchio dell’Inferno, il limbo, dove dimorano le anime di coloro che morirono prima di ricevere il battesimo o che vissero prima dell’era cristiana e che quindi, benché non siano prive di meriti, non possono aspirare alla salvezza. Fra questi si trovavano anche i patriarchi dell’Antico Testamento prima che Cristo, subito dopo la resurrezione, venisse a liberarli per condurli con sé nell’Empireo. Da una zona di luce che interrompe le tenebre si fanno avanti le anime di Omero, Orazio, Ovidio e Lucano per accogliere con tutti gli onori il loro compagno Virgilio, e Dante si accoda, nella finzione narrativa e nella legittimazione letteraria, alla compagnia dei poeti. I sei passano insieme in rassegna gli spiriti magni dell’antichità, i poeti, i filosofi e gli eroi che si distinsero per le loro opere e che nel limbo occupano un luogo privilegiato, un castello difeso da sette cinte murarie; quindi Dante e Virgilio riprendono il viaggio.” (Da http://www.italica.rai.it/principali/dante/riassunti/a_inf04.htm)

Ed ecco un assaggio di testo:

“Così si mise e così mi fé intrare

24 nel primo cerchio che l’abisso cigne.

Quivi, secondo che per ascoltare,

non avea pianto mai che di sospiri

27 che l’aura etterna facevan tremare;

ciò avvenia di duol sanza martìri,

ch’avean le turbe, ch’eran molte e grandi,

30 d’infanti e di femmine e di viri.

Lo buon maestro a me: “Tu non dimandi

che spiriti son questi che tu vedi?

33 Or vo’ che sappi, innanzi che più andi,

ch’ei non peccaro; e s’elli hanno mercedi,

non basta, perché non ebber battesmo,

36 ch’è porta de la fede che tu credi;

e s’e’ furon dinanzi al cristianesmo,

non adorar debitamente a Dio:

39 e di questi cotai son io medesmo.

Per tai difetti, non per altro rio,

semo perduti, e sol di tanto offesi

42 che sanza speme vivemo in disio”.

Gran duol mi prese al cor quando lo ’ntesi,

però che gente di molto valore

45 conobbi che ’n quel limbo eran sospesi.”

Devo dire che “fin da piccino”, nel pensare ai bambini smistati senza tante cerimonie giù nel LIMBO (= esclusi dal Paradiso solo perché nessuno li aveva battezzati), mi veniva una gran rabbia, tanto la cosa mi pareva ingiusta. Quale non è stata la mia soddisfazione, di conseguenza, l’altro giorno, nell’apprendere dalla stampa il grande annuncio?

Riprendo il copia-incolla:

E IL LIMBO NON C’ È PIU’

Qualche dubbio lo aveva avuto lo stesso Wojtyla, di qui l’invito ai teologhi di Ratzinger a riflettere e a proporre soluzioni: il Limbo che cosa è davvero, è sufficientemente confortato dalla Dottrina? Adesso, con Ratzinger Papa, l’interrogativo è stato sciolto: la Chiesa cancelli il Limbo. Aveva già sostenuto, Ratzinger nel lontano ’84: “ Il Limbo non è mai stata una verità definita di fede. Personalmente, parlando come teologo e non come prefetto della Congregazione ( ex Sant’Uffizio – ndr ), lascerei cadere questa che è soltanto un’ipotesi teologica. Si tratta di una tesi secondaria, al servizio di una verità che è assolutamente primaria per la fede e la salvezza: l’importanza del battesimo“. A Roma, trenta super-teologhi di tutto il mondo, si apprestano a giubilare questa sotto-verità, non rivelata per altro. E i bambini morti senza battesimo, che fine faranno, se la loro, come dire, residenza ultraterrena verrà abolita? Nessun timore, la salvezza è garantita dalla misericordia di Dio. Com’è noto, nel Limbo si trovano, stando a quanto si è detto finora, anche i profeti e i patriarchi d’Israele vissuti prima di Cristo. La destinazione di essi non è ancora chiara. La cosa che più colpisce gli uomini di fede e gli studiosi, è la dizione “ ipotesi del Limbo “. Quali altre ipotesi di verità sono sotto discussione? A porte chiuse, gli studiosi cattolici dibattono anche sulla teologia come scienza della fede e sulla legge morale naturale. Potrebbero uscirne novità clamorose.

(http://www.rassegna.it/2005/esperti/cartevaticane/articoli/aborto2.htm)

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La Chiesa pronta ad abolire il “limbo”.

Dunque, il Limbo non esiste più; con decreto divino di papa Benedetto XVI è stato ufficialmente abolito dalla triade costituente i regni dell´Altromondo. Da oggi i bambini morti senza battesimo voleranno direttamente in Paradiso senza dover più restare parcheggiati per l´eternità in quella “bolla” a loro destinata, in virtù della precedente Bolla di un altro papa, in attesa di non si sa cosa.
Risparmiata l´attesa ai neonati nell´aldilà, adesso essa riguarderà nell´aldiquà la moltitudine di giovani regolarmente battezzati e cresimati che aspettano un lavoro che non verrà mai e la conseguente acquisizione della dignità umana ad esso connessa. Però ad attendere questi al termine della lunga anticamera non sarà il Paradiso, ma il Nulla di una vita non vissuta per colpa di un Potere che garantisce il “paradiso” (quello terrestre, s´intende) soltanto ai suoi zelanti servitori.
Meglio avrebbe fatto papa Benedetto, non ad eliminare il Limbo, ma a collocarlo, sempre con decreto divino, su questa terra quale sede assegnata a quei milioni di anime “sospese” condannate senza colpa ad attendere una “luce” che per loro non ci sarà mai.
(da http://www.quaderniradicali.it/agenzia/index.php?op=read&nid=5662)

Nuova Agenzia Radicale, supplemento quotidiano di Quaderni Radicali

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Roma – 28 novembre 2005 – Per la tradizione è il luogo dove finiscono i bambini che muoiono prima di ricevere il battesimo, i quali non avendo mai visto la luce di Dio sono nati e poi morti con il solo debito del peccato originale, che nella fede cattolica è eliminato, appunto, solo al fonte battesimale. Il “limbo”, spazio astratto ai margini del Paradiso in cui hanno trovato posto anche i santi patriarchi e i profeti di Israele vissuti prima di Cristo, tuttavia non esiste. E’ quello che si appresta a ribadire la Commissione teologica internazionale, un organismo costituito dal Vaticano in seno alla Congregazione per la dottrina della fede – la stessa presieduta da Joseph Ratzinger prima della sua nomina al soglio pontificio – i cui teologi hanno individuato una diversa sorte per i bimbi non battezzati; li si troverebbe cioè non nell’inesistente “limbo”, parola che peraltro non esiste nella Bibbia, bensì “nel contesto del disegno salvifico universale di Dio, dell’unicità della mediazione di Cristo e della sacramentalità della Chiesa in ordine alla salvezza”. Già ora, del resto, il catechismo della Chiesa cattolica nella versione varata nel 1992 da papa Giovanni Paolo II prevede una sorte rasserenante per i bambini morti senza battesimo. “La Chiesa – si legge al punto 1.261 – non può che affidarli alla misericordia di Dio; infatti la grande misericordia di Dio (il quale vuole che tutti gli uomini siano salvati – 1 Tm 2,4) e la tenerezza di Gesù verso i bambini, che gli ha fatto dire: “Lasciate che i bambini vengano a me e non glielo impedite” (Mc 10,14), ci consentono di sperare che vi sia una via di salvezza per i bambini morti senza Battesimo”. Ratzinger, che condivideva la linea della Commissione – quella che da sempre è portata avanti dai teologi conciliari – ai tempi in cui era alla guida della Congregazione, dovrà ora esprimersi come Papa sull’eliminazione definitiva del “limbo”, che era invece previsto dal catechismo di Pio X, varato nel 1904: “I bambini morti senza battesimo vanno nel limbo, dove non godono Dio ma nemmeno soffrono, perché avendo il peccato originale, e quello solo, non meritano il Paradiso, ma neppure l’inferno e il purgatorio“; ma se sulla cancellazione del termine “limbo” non sembrano esservi particolari obiezioni – tant’è che la Chiesa non ne parla ormai più da anni – resta però la necessità di un chiarimento sulla questione che sta dietro quel termine… Una questione anche dogmatica, legata com’è al peccato originale e alla purificazione che solo il battesimo può dare. Una prima bozza di documento su questa materia sarà sottoposta a Ratzinger dal suo successore alla guida dell’ex Sant’Uffizio, William Josef Levada, che da oggi e fino al 2 dicembre presiede per la prima volta una sessione dei lavori della stessa Commissione. La commissione teologica internazionale è nata da una proposta del sinodo dei vescovi che Papa Paolo VI ha poi provveduto ad attuare nel 1969. Il suo compito è quello di aiutare la Santa Sede nell’esame delle questioni dottrinali di maggior importanza. La Commissione, presieduta dal Cardinale prefettizio, è composta da teologi di diverse scuole e nazioni, eminenti per scienza e fedeltà al Magistero della Chiesa. I membri – di numero non superiore a 30 – sono nominati dal Papa ad quinquennium su proposta del Cardinale Prefetto della Congregazione e dopo la consultazione con le Conferenze Episcopali. La Commissione si raduna “in assemblea plenaria” almeno una volta all’anno, ma può svolgere la sua attività anche per mezzo di sottocommissioni. I risultati degli studi vengono sottoposti al Papa e consegnati per la opportuna utilizzazione alla Congregazione per la dottrina della fede (Corriere della Sera.it)

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È sparito il “Limbo”. 

Per la tradizione è il luogo dove finiscono i bambini che muoiono prima di ricevere il battesimo, che non avendo mai visto la luce di Dio sono nati e poi morti con il solo debito del peccato originale, che nella fede cattolica è eliminato, appunto, solo al fonte battesimale. Il «limbo», spazio astratto ai margini del Paradiso in cui hanno trovato posto anche i santi patriarchi e i profeti di Israele vissuti prima di Cristo, tuttavia non esiste. È quello che si appresta a ribadire la Commissione teologica internazionale, un organismo costituito dal Vaticano in seno alla Congregazione per la dottrina della fede – la stessa presieduta da Joseph Ratzinger prima della sua nomina al soglio pontificio -, i cui teologi hanno individuato una diversa sorte per i bimbi non battezzati.

Potenza della fede, ieri c’era e domani no, puff come un battito di ciglia si opera un trasloco mai attuato prima. Domani a chi toccherà, al Purgatorio? Il mondo cambia e la religione cerca di adattarsi, dimostrando, oggi, clemenza per le anime dei bambini non battezzati.

tratto da: zonalibera

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 28 gennaio 2006

(Goffredo Fofi)

“LA GRANDE ZIA”

(Goffredo Fofi a Venezia)

Come ogni anno alla fondazione Cini di Venezia si è tenuto il seminario di perfezionamento della Scuola per Librai “Umberto e Elisabetta Mauri”. Alla giornata conclusiva partecipa, in genere, TUTTA L’EDITORIA ITALIANA e così è stato anche quest’anno, a parte qualche defezione dovuta all’inclemenza del tempo. Alle 9.00 Angelo Tantazzi ha iniziato le sue “Anticipazioni sul futuro”, improntate a un cauto ottimismo. Seguivano due interventi di assoluto rilievo: quello di Goffredo Fofi sulla scuola, definita “la grande zia”, e quello d Tullio De Mauro “Se un giorno di primavera un governante…”, di cui dirò domani. Dopo un coffee break è stata la volta di Maria Nadotti in conversazione con Layla Chaouni (editrice marocchina), Ying Hong (scrittrice cinese) e Dubravka Ugresic (scrittrice croata). Tediosissima la Nadotti, che, con le sue ormai datate e lunari domande sulla “scrittura al femminile” (“Chi scrive per chi?”) sembrava Gigi Marzullo. Ricca colazione alle 13 nel refettorio della fondazione e infine la lectio magistralis di ROGER CHARTIER “Leggere. I modi insospettabili per entrare in un libro”.

Sintetizzo, per oggi, l’intervento di Fofi. Ha subito chiarito che, secondo l’insegnamento di Franco Fortini, anche lui sente la necessità di “parlare di corda a casa dell’impiccato”. Prendendo spunto da un misterioso messaggino telefonico senza firma arrivatogli il giorno prima (“È nata Rosa”), si è domandato: “In che mondo è venuta a cadere la nostra Rosa? Che cosa l’aspetta? Chi la educherà alla democrazia e alla pace? Chi l’aiuterà a crescere, facendole scoprire la bellezza del mondo e il campo delle sue potenzialità, ma anche – cercando di non truffarla – aiutandola a difendersi dalle aggressioni del mondo, tra le quali possiamo oggi considerare in tutta tranquillità anche la scuola, i giornali e la televisione, le mille forme della pubblicità diretta e indiretta in cui si manipola e si indirizza la volontà dei singoli illudendoli di ragionare con la propria testa quando invece li si costringe a ragionare con la testa di chi comanda e chi vende?”

Il nostro, ha affermato Fofi, è un mondo minacciato dall’avidità (e dall’invisibilità o capacità mimetica dei pochi che guidano l’economia e la scienza, oscuro connubio che produce le massime trasformazioni nei confronti del futuro) e dalla irresponsabilità nei confronti del futuro. Per aiutare Rosa tornano ancora necessari due o tre discorsi un tantino “vetero” sui quali si può e si deve discutere. Arte ed educazione devono tornare ad assumere un valore centrale per l’esperienza umana dei “sopravissuti” alle mutazioni imposte dal potere, e il libro per bambini è o deve essere considerato come una forma d’arte. La nostra pedagogia ha vissuto una grande stagione nei vent’anni tra il 1943 e il 1963, sperimentando nuovi metodi tesi allo sviluppo di una cosciente autonomia del bambino e del ragazzo, alla sua possibilità di diventare un individuo completo e pensante, libero e consapevole, in grado di contribuire con i suoi personali modi e talenti a una società democratica, aperta, solidale con gli umili e con gli ultimi. Questa pedagogia è stata sconfitta ed è oggi dimenticata e tradita dai professori che si dichiarano pedagogisti: è diventata “scienza della formazione”, un’arte burocratizzata nelle tecniche e trasformata in mestiere dentro un mercato. Oggi non è più la scuola a educare i nostri figli, ma cento altre agenzie e luoghi: le scuole di danza e di teatro, i divertimenti, gli amici, i media spettacolarizzati, le risse televisive, le discoteche, gli stadi, le interviste con i ricchi e famosi, gli stilisti e via di seguito. La scuola funziona semmai come il luogo di una socializzazione secondaria, che non assolve bene nemmeno ai compiti dell’apprendimento fondamentale…L’editoria per ragazzi è occupata da una quantità di opere brutte, leziose, che si imitano l’un l’altra, e che si inquadrano in pochi generi ripetitivi che imitano perlopiù quelli adulti e accettano il nuovo nelle forme dell’interattivo, del fantasy più schizoide o insulso, di uno pseudo mimetismo del linguaggio che gli autori credono tipico degli adolescenti e di dieci altre banali variazioni. Fantasy e detection dominano il campo del “non realistico”, i modi del serial televisivo realistico dominano quello del “realistico”. Le case editrici propongono dozzine di sciocchezze in infinite copie e varianti…

Una volta, secondo Peter Bichsel, c’erano al mondo “più zie che lettori”, perché erano le zie a regalare i libri ai bambini per le prime comunioni, per i compleanni, per le promozioni scolastiche. E poiché sceglievano i libri secondo i propri gusti ne risultava che i bambini si disgustavano dei libri e il numero dei lettori non poteva certo aumentare. Oggi non è più così, le zie sembrano contare di meno, ma contano sempre di più i gusti di altre “zie” non meno ottuse delle prime e certamente più prepotenti e saccenti, le e gli insegnanti di scuola, i redattori e redattrici di case editrici e collane specializzate, i tanti che lavorano agli adattamenti cinematografici di libri di successo e ai gadget che a loro volta ne derivano… Il numero dei lettori è cresciuto, ma non la qualità di ciò che essi leggono, e contemporaneamente è cresciuto anche il numero delle zie, che rischiano di diventare, orwellianamente, televisivamente, una sola onnipossente “GRANDE ZIA”…Dobbiamo difendere Rosa e i suoi fratelli e sorelle dal Grande Fratello e anche dalla Grande Zia, praticare e pretendere il rispetto della loro fantasia, della possibilità che potrebbero avere di diventare migliori di noi, “più felici più autonomi più saggi più sapienti più giusti di noi”.

(Immagine da http://www.rivistaorigine.it/fofi.jpg )

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14 febbraio 2009

OLD AMERICAN EPIC: MOBY DICK

John Huston, "Moby Dick", 1956, Filmstill

Allegoritmi a manetta, nel film che John Huston trasse nel 1956 dal capolavoro letterario americano di cent’anni prima “MOBY DICK“, di Herman Melville: significazioni mistico-religiose, forse addirittura la ricerca di Dio (ma un Dio collerico e vetero-testamentario)… oppure il conflitto Uomo-Natura, Male-Bene, Terra-Acqua, Materiale-Spirituale, con contorno di richiami biblici e sotto-metafore d’ogni tipo. “Chiamatemi Ismaele” (CALL ME ISHMAEL), esordisce secco il narratore, che subito dopo riceve un’inquietante profezia da un altro tizio chiamato, guarda caso, Elia. Ma quando Moby Dick trascina l’ossesso capitano Achab, “roso di dentro e arso di fuori dagli artigli fissi e inesorabili di un’idea incurabile”, con tutta la variegata ciurma della baleniera Pequod, nel profondo degli abissi… chi ha vinto? La Natura, Dio o il Male? E l’amicizia tra Ismaele e il ramponiere Queequeg (curiosamente somigliante all’Ezio Greggio nostrano, malgrado i tatuaggi) così diversi per razza, colore e tradizione – eppure così capaci di dialogo e di reciproca comprensione – non alludono oggi più che mai alla fraternità fra uomini di razza diversa in un momento di razzismo imperante nel paese… ? (Ho rubacchiato dal foglio di presentazione)

Cosa?

Come mai mi salta in mente di tirar fuori una versione cinematografica di Moby Dick di oltre cinquant’anni fa?

Semplice. Perché mercoledì scorso mi sono lasciato trascinare alla magnifica e restauratissima sala Santa Apollonia di Venezia, dove sono in corso 7 apppuntamenti con film d’arte di mare, di storia, di avventure, a cura del Circolo della Vela. Per chi arriva un po’ prima della proiezione, peraltro, c’è anche la possibilità di gustare un delizioso rinfresco gratuito…

Qui gli altri titoli:

http://www.compagniadellavela.org/?id_pagina=7&Lang=_1&id_news=135

E comunque sì, lo ammetto, forse anche grazie ai propedeutici prosecchini, mi sono abbastanza thrillato:- )

Moby Dick Trailer
 
 
 
(Clicca sull’immagine per vedere il trailer del film)

(Immagini da www.textezurkunst.de/…/2007/10/moby_dick.jpg e da http://www.cinematographers.nl/GreatDoPh/Films/MobyDick2.jpg ) 

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26 gennaio 2006

QUANDO MOBY DICK VOMITA LA GAMBA DI ACHAB

Panta Rei. Tutto scorre. Tutto si trasforma. Dal male nasce il bene. Dal bene il male. Moby Dick divora la gamba di Achab. Una famiglia australiana trova un vomito di balena…

Dai quotidiani di ieri:

“Una famiglia australiana ha scoperto su una spiaggia una quantità eccezionale di vomito di balena, il cui valore può superare i 600 mila euro. La sostanza, conosciuta come ambra grigia, è molto ricercata dai produttori di profumi. I 14,75 chili di escrezione di capodoglio sono stati trovati dalla famiglia mentre passeggiava lungo una spiaggia sulla costa occidentale dello Stato. Rimasti sorpresi dall’aspetto della sostanza, simile a “’cera”, hanno chiesto informazioni ad esperti che ne hanno scoperto la natura.”

(immagine da: http://www.mathematicianspictures.com/authorspictures/posters350w/THUMB_300W_26_JPEG_MEL1.JPG

Per associazione di idee mi è tornato in mente un vecchio post di Sergio Garufi, che recupero da Google/Groups (31 agosto 1999) e riproduco:

***Qualche anno fa apparve per i tipi di Baldini e Castoldi un documentatissimo libro dal titolo “Era una notte buia e tempestosa…”, nel quale i due
curatori elencavano, analizzavano e catalogavano 1430 incipit di romanzi famosi. L’inizio di un romanzo è importante per molti versi….è importante perchè è un segnale di narratività, che ci rivela o ci nasconde le sue finalità (finzione o realtà, racconto fantastico o saggio storico?), ed è importante per una motivazione estetica, perchè deve prenderti, deve darti il ritmo, il respiro di tutta l’opera. Garcìa Marquez dichiarò in un’intervista che la stesura della frase iniziale di “Cent’anni di solitudine” gli prese moltissimo tempo, perchè si trattava “di trovare il tono…il materiale lo avevo tutto, perchè esisteva, anche il metodo lo avevo inquadrato, ma mi mancava il tono: quando lo trovai, Cent’anni di solitudine divenne un romanzo”.
E difatti, l’inizio è irresistibile, una prolessi che informa di sé tutta l’opera e che definisce la struttura ciclica del romanzo, così come notava Cesare Segre. Nella prefazione al sopracitato libro sugli inizi, Umberto Eco si augura che venga scritto pure un elenco dei finali dei romanzi…anche i finali sono importanti, e spesso un finale memorabile riesce a riscattare un andamento tentennante. Se non l’avete ancora capito, vi sto invitando a postare i finali più memorabili, non solamente in senso positivo, dei romanzi che avete letto. A me vengono in mente quello cinematografico del “Viaggio al termine della notte”, con il rimorchiatore che si allontana sul fiume, e con l’ultima frase bellissima e tautologica (“e che non se ne parli più”), quello struggente di “Danubio” di Claudio Magris, che usa un verso di Biagio Marin con lo stesso ritmo che aveva la sua prosa saggistica in quel momento (“Fa che la morte mia, Signor, la sia como ‘l score de un fiume in t’el mar grando”). Ma anche il finale sorprendentemente fantasy de “Le particelle elementari”, con l’ultima frase che non significa niente e vuol dir tutto (“Questo libro è dedicato all’uomo”); o ancora il finale noir apocalittico di provincia de “L’avvocata delle vertigini”, il bel romanzo del brizzolato esordiente Piero Meldini (a proposito, proprio nessuno che l’abbia letto?), e per ultimo il finale ironico-ciclico di “Vita standard di un venditore provvisorio di collant” di Aldo Busi, dove una battuta stupida smorza una tensione che sembrava preludere a un omicidio, e tutto ricomincia con l’ennesimo lunedì. Insomma, resto in attesa di conoscere i vostri finali memorabili, e non è detto che non si possa in seguito raccoglierli in volume e catalogarli con ICL come curatore…***

Tale Giò gli rispose il 2 sett 1999:

***Il finale di “Il ventre di Parigi” e’ di quelli che restano in mente. Il protagonista viene fatto arrestare da una sua parente ricca e assai “per bene”, che vuole semplicemente garantirsi il proprio quieto vivere. Il finale e’ tagliente e dà senso a tutto il romanzo: “Che canaglie quelli per bene!”

Ma è rara probabilmente un’accoppiata incipit/finale efficace come quella di Moby Dick, dove inizio e fine, ambedue memorabili, sono incentrati
sull’io narrante: “Chiamatemi Ismaele” // “Era la bordeggiante Rachele che, nella sua ricerca dei figli perduti, trovò soltanto un altro orfano.”***

Adesso la famiglia australiana ha trovato un nuovo explicit al capolavoro di Melville:- ).

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17 gennaio 2006

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CARLO ZAMOLLI, POETA DI DUBBIA IMMORTALITÁ

“Carlo Zamolli (Torino 1898 – Gressoney 1972). Poeta piemontese del Novecento, in stretto contatto con Mario Luzi e in accesa polemica con il gruppo ’63. La sua opera più celebre (“Mai più con Paola e Ilaria”, Mondadori 1939) esprime in endecasillabi le angosce di un uomo innamorato di due sorelle lesbiche. Il dibattito che ne seguì vide l’intervento di Alberto Moravia (“Contro Zamolli”), sul Corriere della Sera” del 18 febbraio 1967) a cui lo stesso Zamolli rispose con veemenza (“La settimana Incom”, numero 38 del 1697). Vincitore di svariati premi (tra cui il Gorgonia d’oro del 1971), si spense serenamente a Gressoney nel dicembre del 1972.”

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Ebbene, la succitata scheda è stata ormai cancellata da Wikipedia.org, la grande enciclopedia on line, dopo l’articolo “Chi ha paura di Wikipedia” apparso nell’ultimo numero de L’Espresso (pgg.138-140) e firmato da Alessandro Gilioli. Sintetizzo: Wikipedia è ormai un colosso del web, con i suoi 60 milioni – ripeto, 60 milioni – di accessi al giorno. È gratis, è facile da consultare, si arricchisce continuamente di contributi forniti dagli internauti ma… non sempre è affidabile. Per verificare l’attendibilità e i tempi di correzione di Wikipedia l’Espresso l’ha sottoposta a un piccolo test. Il 28 dicembre 2005 quattro voci di altrettanti personaggi famosi (Foscolo, Spadolini, Alvaro Recoba, Georg Hegel) sono state modificate in modo anonimo con l’inserimento di palesi strafalcioni; una quinta voce, del tutto inventata, è stata creata da zero, quella riguardante – appunto – il poeta Carlo Zamolli, MAI esistito. Solo l’errore riguardante Recoba è stato cancellato in meno di un’ora. L’errore riguardante Hegel è resistito dal 28 dicembre all’8 gennaio, mentre gli altri errori erano ancora on line la sera del 10 gennaio, quando le pagine dell’Espresso sono state chiuse in tipografia.

Sempre sullo stesso settimanale e sullo stesso numero Umberto Eco, nella sua Bustina di Minerva, propone questo stuzzicante tema o tesina: trovare su un argomento X una serie di trattazioni inattendibili a disposizione su Internet e spiegare perché sono inattendibili (in “Come copiare da Internet”, p. 178). Per contrastare il dilagante vizietto studentesco di un taglia & incolla dalla rete del tutto acritico e inane per le loro ricerche, la nuova fondamentale materia da insegnare a scuola, afferma il professore, dovrebbe essere una tecnica della selezione delle notizie in linea, non fosse che in tale arte spesso gli insegnanti sono altrettanto indifesi dei loro studenti:-/

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LA MIA VITA E’ UN VAJONT

4 maggio 2006

LUCIO ANGELINI
 
INTERVISTA
 
GIUSEPPE GENNA*
 
Prima di iniziare l’intervista, l’emozione è tale che sono costretto a chiedere a Giuseppe Genna di poter fare pipì. Il suo bagno mi sorprende. Non c’è un’imitazione di una jacuzzi, come mi attendo. C’è una vasca a filo di pavimento, enorme, perfettamente circolare, divisa a metà da una parete di ceramica ondulata, uno ying e uno yang perfetti.  

Fossi un personaggio di Pynchon, di De Lillo, di Foster Wallace, di Vollmann, di Palahniuk, di Eggers, di Erickson, infilerei senza esitazione la testa nel water. Fossi un personaggio di Ellroy, cacherei nella tazza di Genna e non tirerei lo sciacquone. Fossi un personaggio di Lobo Antunes, incendierei il bagno. Fossi un personaggio di McEwan o di Auster o di Amis o di Coe non farei nulla. Fossi un personaggio di Bret Easton Ellis, mi tirerei una riga di coca allineata sulla porcellana del lavandino… ma sono solo Lucio Angelini e non mi resta che tornare ad accoccolarmi – ancora un po’ tremebondo – davanti all’Autore:- ).
 
“Giuseppe”, esordisco, “i critici che finora si sono occupati di Dies Irae vi hanno rinvenuto tracce di Pynchon, De Lillo, Foster Wallace, Vollmann, Palahniuk, Eggers, Erickson, Ellroy, Lobo Antunes, McEwan, Auster, Amis, Coe, Breat Easton Ellis e tanti altri… “
 
“A chi mi accusa di aver scimmiottato Pynchon, De Lillo, Foster Wallace, Vollmann, Palahniuk, Eggers, Erickson”, risponde Giuseppe, “non esiterei a infilare la testa nel water. A chi mi accusa di aver copiato da Ellroy, cacherei nella tazza senza tirare lo sciacquone.”  

 
“E a chi ti accosta a Lobo Antunes?”
 
“Incendierei senz’altro il bagno.”
 
“Ma a chi, allora, non faresti nulla?”
 
“Semplicemente a chi mi ha apparentato a McEwan o Auster o Amis o Coe o equipollenti.”
 
“Ti va di raccontarmi la genesi del libro?”
 
“La prima idea del libro fu una sorta di cazzata alla Peter Kolosimo.”
 
“In che senso cazzata?”
 
“Avevo appena otto anni, capisci? E pensai alla storia di una futura colonizzazione di Marte nell’arco esatto di due secoli, inventata di sana pianta.”
 
“Vuoi dirmi che l’idea di Dies Irae risale nientemeno che alla tua fanciullezza?”
 
“Esattamente. Primi scrissi la storia, poi decisi di fare lo scrittore. Mi spiego: ricordo che, quando ebbi completato il lavoro, andai da mia madre e le raccontai che avevo in mano questa specie di dossier elaborato sulle indicazioni di un progetto reale della Nasa, che avevo reperito da qualche parte… Dissi così per rendere il tutto più credibile, più verisimile. Fu l’inizio. Ma anche la fine. Se qualcuno mi chiede quando ho iniziato a pensare di fare lo scrittore, rispondo che fu lì, in quel momento: non quando stesi il progetto, ma quando mentii a mia madre, portandole orgoglioso il dossier scritto a biro.”
“Un dossier sulla colonizzazione di Marte, hai detto. Qualche dettaglio?”
 
“Si trattava, nello specifico, di un progetto per la conversione ad habitat terrestre del pianeta… con tanto di schede tecniche desunte dai libri delle elementari di classi più avanti della mia. Era la descrizione ipotetica del viaggio di un equipaggio di sei astronauti, tre uomini e tre donne, provenienti da tutti i continenti. Sbarco su Marte. Costruzione di una zona serra per produzione di ossigeno. Più spedizioni, navi robot che calavano sul pianeta, automi che costruivano centrali di inquinamento per aumentare l’effetto serra… Inquinavano il pianeta per renderlo abitabile, capisci? Installazione di altiforni per bruciare anidride e convertire chimicamente ossigeno secondo un progetto che avevo denominato Clorofilla. Studi per scoprire l’eventuale esistenza di specie entomologiche aliene, bacilli o eventuali virus congelati ai poli di Marte. Test sul sistema osseo, sul sistema immunitario. Dopo due secoli, i primi innesti vegetali, fabbriche in cui idrogeno e ossigeno venivano combinati per la produzione d’acqua. Aumento climatologico di piogge e stratonembi. Primi insediamenti collettivi a scopo abitativo. Ripopolamento del pianeta…. “
 
“Sì, ma con quale tesi di fondo?”
 
“La tesi di fondo era che noi, la specie, i bipedi mammiferi, venivamo di lì. Eravamo migrati avendo previsto un’immane catastrofe, probabilmente una cometa non deviabile. Eravamo sbarcati sul pianeta in formazione, ricco di acque, che già utilizzavamo quale laboratorio, appendice per un habitat alieno, extramarziano. Qualcosa non funzionò, forse gli esiti dell’impatto su Marte ebbero effetti sulla Terra. Ricominciò tutto daccapo. La tormentata indefinita pena evolutiva. I metabolismi iniziarono nuovamente a chiedere energie disponibili. Predazione. Fecondazione. La vita allo stato basale. Eccetera.”
 
“Interessante. Però, poi, nel corso di questa lunghissima gestazione, il progetto iniziale è andato assumendo caratteristiche diverse… “
 
“Sì, certo. Ho cominciato a pensare un’opera priva di ogni carattere di leggibilità, non una storia ma una vicenda, a pena decrittabile, la storia della specie e della sua trasformazione e della sua infinita migrazione verso altre galassie, le mie Argonautiche che nessuno potesse comprendere, apparizioni fantasmatiche in luoghi immersi in un buio assoluto, il primo attraversamento di un buco nero sfruttando il lancio di una nana rossa, un’opera frammentaria composta all’infinito… pagine e pagine lasciate prive di guida, senza accompagnamento per l’eventuale lettore, se un lettore ci fosse mai stato, e il titolo dell’opera sarebbe stato, appunto, Dies Irae, il giorno dell’ira che non sarebbe più dovuto essere un giorno, ma anni luce catapultati nelle curvature del tempo e dello spazio, e un’ira trasformata, non il veleno psichico che vomitavo qui e ora da ogni poro, un’ira immensa, universale, che coincidesse con la manifestazione tutta della materia, questo regno instabile e pesantissimo, denso e impenetrabile, interpenetrato da vibrazioni angeliche e demoniache, che i nostri attuali apparati percettivi non erano al momento in grado di intercettare, e il giorno in cui l’avrebbero fatto avrebbero di fatto varcato un limite per arrestarsi a un nuovo limite, poiché l’occhio non vede se stesso e questa dimensione non è definitiva.”
 
“Giuseppe, ma tornando ai tuoi otto anni… com’eri tu da fanciullo?”
 
“Io ho sempre avuto la sensazione di essere ai limiti del consorzio sociale, di essere tagliato fuori. Di essere pazzo. Ho passato periodi di tremore e di terrore. Fosfeni e granuli fluorescenti sospesi nella stanza buia dove stavo chiuso. L’ansia nel petto che preme il cuore gonfiandolo contro la cavità ossea. Ma non visioni. Non allucinazioni. Noi siamo la specie che allucina, ma che allucina in un modo che è dato, e condiviso. Le allucinazioni assumono una stabilità, sono percezioni condivise.”
 
“Ora ti tendo un tranello, attento.”
 
“Prego, fai pure.”
 
“Sapresti darmi hic et nunc, a freddo, una definizione di anno-luce?”
 
“Perché?”
 
“Perché secondo certi critici maligni tu non avresti ancora capito che l’anno-luce non è un’unità di tempo, malgrado il tuo romanzo L’anno luce.”
 
“Si sbagliano di grosso. So perfettamente che l’anno luce è un’unità di lunghezza, corrispondente alla distanza percorsa dalla luce o da altra radiazione elettromagnetica nel vuoto in un anno. In pratica, considerando che la luce viaggia alla velocità di circa 300 mila km al secondo, un anno-luce dovrebbe equivalere grosso modo a 9460,5 miliardi di chilometri.”
 
“Esatto. Ma i critici, lo sai meglio di me, spesso hanno il dente avvelenato.”
 
“Non mi stupirei che questa bassa insinuazione fosse partita da quel rosicone di Giuseppe Iannozzi… “
 
“Conosco Iannozzi. Ce l’ha a morte con Riccardo Pedrini dei Wu Ming… A proposito dei Wu Ming. In un’intervista che ha fatto il giro della rete, Roberto Bui – ovvero Wu Ming 1 – ha sostenuto che di biopic sui Grandi e Grandissimi Artisti, la loro Ispirazione, la loro Superiore Sensibilità, il Titanismo, l’Ego che si espande fino a invadere ogni spazio, il loro essere maudits /incompresi/ribelli/irregolari/martiri della creazione, vissi d’arte vissi d’amore, live fast die young ecc. ce ne sono già fin troppi; che si potrebbe scrivere un romanzo in cui la Musa , stanca di essere tirata per la giacchetta di questo mondo, manda l’eroico Autore a fare in culo.”
 
“Ha solo in parte ragione. La letteratura sa essere pericolosa, ha un arco di durata più lungo di ogni altro medium o prodotto, una carica di memorabilità che sul lungo periodo straccia quello di cui sono capaci film e tivù. L’Autore a cui allude Wu Ming 1 è consapevole di questa potenza. La utilizza come un’arma. E’ sfrontato. E’ dissociato: in difesa rannicchiato dietro lo scudo, va all’attacco sfrontatamente sventolando questa spada di cartapesta che è la letteratura…”
 
“E quindi?”
 
“E quindi, a questo livello, mai più la voce della finzione, mai più un racconto della verità finta, questa festa da idioti in pieno – chessò io? – hinterland milanese, con personaggi carichi delle loro esperienze e delle loro pene e dei loro entusiasmi, la finzione dell’ascolto, dell’empatia, della comprensione e del diniego, solo un’osservazione che testimonia della sconfitta, questo sguardo gelido che suppone di essere testimoniale e non lo è.”
 
“Roberto Bui sostiene che la vera fatica sia quella del minatore, di chi spalma il catrame sulle strade, raccoglie i pomodori, lega gli innesti alle piante, tira il risciò, scarica i camion, passa le giornate sulle impalcature, ha i piedi gonfi per aver passato undici ore al semaforo proponendosi per lavare i parabrezza. Sei d’accordo su questo?”
 
“Conosco il passo a memoria: ‘Non bisogna credere a chi esalta troppo i Tormenti del Creare, il Peso dell’Arte ecc..Raccontare una storia, limare un verso, far suonare la lingua e le parole è senz’altro più divertente che spalare la neve all’alba a metà gennaio per conto del Comune.’ Ma Roberto Bui aggiunge: ‘Però, anche scrivere è un lavoro, con strumenti, tecniche, tempo da dedicare, routines da eseguire, parametri da verificare, collaborazioni da rodare’E tuttavia – malgrado il fascino delle teorie wuminghiane – mi consta che parecchi scrittori abbiano comunque sentito inquietanti ‘presenze invisibili’, latrati di cane e pianti di neonato. Hanno avuto l’impressione di essersi trasformati in altre entità, non umane… E in proposito sono state formulate due contrapposte scuole di pensiero. Secondo quella medico-razionale lo scrittore inevitabilmente ‘dissocia psichicamente’ , soprattutto se costretto a vivere in totale e stressante assenza di gravità, sotto il bombardamento di forti flussi magnetici e radioattivi e per giunta in un silenzio assoluto. La seconda ipotesi, in linea con l’ufologia, considera quelle enigmatiche allucinazioni il risultato di comunicazioni reali da parte di specie aliene.”
 
“Ma così si ritorna alla Musa insufflatrice, che – quindi – non sarebbe possibile mandare definitivamente affanculo.”
 
“Tu l’hai detto:- )”
 
“A pag. 84 di Dies Irae si legge esattamente: ‘Giuseppe Genna è uno scrittore di serie B’. Hai davvero una così modesta opinione di te stesso?”
 
“Conosco i miei buchi neri, uno per uno. Conosco la loro forza di attrazione, che per anni è stata un’attrattiva. Non dispongo di forza interiore né di debolezza interiore. Mi piaceva, anni fa, occuparmi di complotti… utilizzavo il complotto per costruire la favola verosimile, secondo le modalità con cui strascicava la propria esistenza un popolo stracciato con il cervello generalmente in pappa, e che si preparava all’avvento della stagione pneumatica e indecente che avrebbe trionfato proprio in diretta sul medium di massa, quello che il condizionamento mentale l’aveva irradiato con allegro libertinismo politico: la televisione… Poi ho capito che la mente non riesce a fermarsi se non nell’ebetudine disperata. Sono l’indiziato, il colpevole, il condannato, il martoriato, il massacrato, l’ucciso, il cadavere indecomposto. Io, l’uomo della colpa. Io, l’uomo dell’esaurimento. Io, l’uomo senza merito che si rimuove, e che rimuove. Non so a chi chiedere aiuto e ogni parola mi pare banale e il conforto non giunge da nessuna parola, nessuno pronuncia la parola del conforto. Nessuno mi abbraccia, non chiedo nessun abbraccio. Il mondo esiste, e crudamente. Fa’ che… Cerca di… Abbracciami, Lucio, ti prego… “
 
“In Dies Irae parli spesso, oltre che di buchi & buchi neri, trombe-delle-scale e pozzi, anche di specchi. Ti leggo un passo: ‘Mi guardai nello SPECCHIO. Non si possono fissare contemporaneamente entrambe le pupille. L’occhio non vede se stesso, infine. Meditazione su questo limite intrinseco, personale e universale, intimo e mondano, il nostro teorema di Gödel in formato tascabile, verificabile in ogni istante. L’immenso buco nero che limita l’espansione indefinita, l’autocoscienza completa.”
 
“E dunque?”
 
“In quale personaggio del tuo libro ti pare di poterti specchiare in maniera più dolorosa?”
 
“Nel paziente di pagina 84, quello citato subito dopo essermi definito scrittore di serie B.”
 
[Vado a verificare e leggo a voce alta:
 
E il paziente sempre seduto, mai appoggiato allo schienale, chino, nella comunità B, che dondola avanti e indietro e fuma una sigaretta dietro l’altra, si accende quella nuova con il mozzicone della precedente, e dondola e sussurra sempre le stesse parole, da anni le stesse parole, sempre quelle stesse medesime parole da più di dieci anni, non si sa da dove viene, da quando è lì, senza parenti, in fronte un buco impressionante, il volto contorto, gonfio per il Serenase, a volte si piscia addosso e lei lo deve pulire.”]
 
Ecco”, dice Giuseppe, “quello, secondo me, è il personaggio chiave del romanzo.”
 
“Un’ultima domanda”, pigolo prima di congedarmi. “Potremmo definire Dies Irae ’LIBRO DI LETTERATURA E MONDO FONDATO DA GIUSEPPE GENNA’?”
 
“Che fai”, ridacchia Giuseppe Genna, “alludi al defunto blog www.miserabili.com ? Ripeto: Dies Irae è pura finzione, perché le cose càpitano, accadono, travolgono. La mia storia è un Vajont, come quella di tutti del resto… “
 
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(*) Le risposte di Giuseppe Genna all”intervista – puramente immaginaria – sono state confezionate con brani tratti direttamente da Dies Irae, in particolare dalle pagg. 49-50, 54, 55, 63-64, 64-65, 71, 79, 84, 93, 98, 103, 497. La citazione di Wu Ming1 proviene, invece, da http://www.ilpostodeilibri.it/joyce_31.htm
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UNA POSTILLA

5 maggio 2006

(Ming 1)

Dopo essersi sbilanciato in un graditissimo “Chapeau! ;-), Wu Ming 1 mi ha inviato la seguente postilla alla mia intervista di ieri:

“Settembre 2002. Facendo un resoconto sulla nostra perplessa partecipazione al deprimente festival di Mantova, io concludevo così:

[WM1:] …per l’appunto: “l’autore sotto i piedi”. Ogni tanto è lì che bisognerebbe metterselo (Paco compreso, noi compresi). Qui c’è troppa gente che viene apposta per farsi adorare.
Non nascondiamocelo, l’orizzontalità assoluta non è realizzabile e non è nemmeno auspicabile, il narratore di professione ha comunque un che di “sciamanico”, qualcosa che arriva a noi dalle società di cacciatori-raccoglitori, qualcosa che non si è mai estinto del tutto, e va bene così. Non è possibile vivere senza partecipare a qualche rituale o liturgia. Tuttavia, è possibile ridimensionare lo sciamano, quando quest’ultimo comincia a peccare d’alterigia. L’umanità ha prodotto diverse leggende in cui i trucchi degli sciamani mostrano la corda e le comunità si prendono direttamente la responsabilità della creazione magica. Una in particolare, una storia amerindia, può funzionare da monito a molti colleghi, e da affermazione che a essere veramente, propriamente creativa è solo la comunità tutta:
<…gli sciamani, divenuti più aggressivi, insultano il sole e la luna, che quindi scompaiono lasciando ogni cosa avvolta dalle tenebre. Gli sciamani dicono di poter far ritornare il sole e si mettono a ingoiare alberi e a farli uscire dalle loro pance, a seppellirsi nella terra lasciando fuori suolo gli occhi, cominciano insomma a fare tutti i grandi trucchi magici sciamanici. Ma i trucchi non funzionano e il sole non ritorna. Allora i preti dicono che deve provare la gente. E la gente è composta da tutti gli animali. Questi animali-gente si dispongono in cerchio, danzano e danzano, ed è la loro danza a far sorgere una collina che cresce poi fino a trasformarsi in una montagna e diventare il centro elevato del mondo da cui vengono tutti i popoli della terra.> (Joseph Campbell, Il potere del mito, TEA, Milano 1994)
In una famosa intervista a Repubblica (6 marzo ’99), affermammo che “diventare scrittorucoli […] da salotto o da talk show sarebbe una fine ingloriosa, e altri Blissett farebbero bene ad abbatterci come cavalli feriti.”
Siamo ancora di quell’idea. Ciao, R.”


Il resoconto completo si trova in questa pagina-fossile:
http://www.wumingfoundation.com/italiano/Giap/giap4iii.html#mantova

Ed ecco l’AUDIO, recuperato dalle registrazioni di quel giorno. 5 settembre 2002. “Breckenridge e il continuum”.

http://www.wumingfoundation.com/suoni/WuMing_Mantova2002_Breckenridge.mp3

Aggiungo adesso, di mio, il seguente scambio di battute avvenuto nei Commenti a Lipperatura il 12 maggio 2005:

“Probabilmente tutti gli equivoci nascono dall’indeterminatezza semantica di parole quali ‘genio’ o ‘talento’. Possiamo tranquillamente usarne altre, compreso il mikebuongiornesco ‘bravo-bravissimo’. La sostanza non cambia. Torniamo alla nostra Callas: quella cosa lì che lei si ritrovò in gola ***A DIFFERENZA DI TANTE ALTRE SUE COETANEE*** non se l’era messa da sola. Dono degli dei? Dono del caso? Fortunata combinazione di circostanze bio-chimico-sinapsiche? Domande oziose. Magari un giorno la scienza potrà essere più precisa in merito. Ma fu esattamente su ***quella base*** che la fanciulla Maria poté lavorare per diventare Maria Callas anziché, chessò io?, Giuseppe Genna.
D’altronde l’evoluzionismo non spiega le mutazioni come derivate da accidentalissimi errori genetici di tipo utile? Va, infine, da sé che se Federico Fellini fosse nato nel Settecento, quando il cinema ancora non c’era, non sarebbe mai diventato il grande regista che sappiamo.

Postato da Fake di Angelini il 2005-05-12 16:37:00.0

“La questione del genio è proprio come dice Angelini. Pensa Luciana Turina che non si sviluppa storico-ambientalmente e diventa, anziché la Turina, chessò?, Angelini…

Postato da giuseppe genna il 2005-05-12 17:04:06.0

Per Genna. Grande (= grossa) Turina! Un mito. Questa volta mi hai fatto ridere.

Postato da Fake di Angelini il 2005-05-12 17:18:45.0

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[Immagine di Ming1 da http://140.115.170.1/Hakkacollege/english/Hsueh-Ming1.jpg ]:- )

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UNO STORICO ELOGIO DEL LIBRO

2 giugno 2006

(Umberto Eco)

Lo confesso. In magazzino ho scatoloni di ritagli e pagine di giornale che dovrò, prima o poi, gettare via. Ieri sera, casualmente, è riaffiorata una storica “Bustina di Minerva” di Umberto Eco, con un altrettanto storico elogio del libro. Strappata a un vecchio Espresso del 17 marzo 1995. Riproduco il testo dell’articolo, intitolato:

COME L’AMORE, IL LIBRO MIO NON MUORE. E LE BUGIE HANNO LE PAGINE CORTE

“… Ci sono due tipi di libro, quelli da consultare e quelli da leggere. I primi (il prototipo è l’elenco telefonico, ma si arriva sino ai dizionari e alle enciclopedie) occupano molto posto in casa, sono difficili da manovrare, e sono costosi. Essi potranno essere sostituiti da dischi multimediali, così si libererà spazio, in casa e nelle bblioteche pubbliche, per i libri da leggere (che vanno dalla ‘Divina Commedia’ all’ultimo romanzo giallo). I libri da leggere non potranno essere sostituiti da alcun aggeggio elettronico. Sono fatti per essere presi in mano, anche a letto, anche in barca, anche là dove non ci sono spine elettriche, anche dove e quando qualsiasi batteria si è scaricata, possono essere sottolineati, sopportano orecchie e segnalibri, possono essere lasciati cadere per terra o abbandonati aperti sul petto o sulle ginocchia quando ci prende il sonno, stanno in tasca, si sciupano, assumono una fisionomia individuale a seconda dell’intensità e regolarità delle nostre letture, ci ricordano (se ci appaiono troppo freschi e intonsi) che non li abbiamo ancora letti, si leggono tenendo la testa come vogliamo noi, senza imporci la lettura fissa e tesa dello schermo di un computer, amichevolissimo in tutto salvo che per la cervicale. Provate a leggervi tutta la ‘Divina Commedia’, anche solo un’ora al giorno, su un computer, e poi mi fate sapere. Il libro da leggere appartiene a quei miracoli di una tecnologia eterna di cui fan parte la ruota, il coltello, il cucchiaio, il martello, la pentola, la bicicletta. Il coltello viene inventato prestissimo, la bicicletta assai tardi. Ma per tanto che i designers si diano da fare, l’essenza del coltello rimane sempre quella. Ci sono macchine che sostituiscono il martello, ma per certe cose sarà sempre necessario qualcosa che assomigli al primo martello mai apparso sulla crosta della terra. Potete inventare un sistema di cambi sofisticatissimo, ma la bicicletta rimane quel che è, due ruote, una sella, e i pedali. Altrimenti si chiama motorino ed è un’altra faccenda. L’umanità è andata avanti per secoli leggendo e scrivendo prima su pietre, poi su tavolette, poi su rotoli, ma era una fatica improba. Quando ha scoperto che si potevano rilegare tra loro dei fogli, anche se ancora manoscritti, ha dato un sospiro di sollievo. E non potrà mai più rinunciare a questo strumento meraviglioso. La forma-libro è determinata dalla nostra anatomia. Ce ne possono essere di grandissimi, ma per lo più hanno funzione di documento o di decorazione; il libro standard non deve essere più piccolo di un pacchetto di sigarette o più grande dell’ ‘Espresso’. Dipende dalle dimensioni della nostra mano, e quelle – almeno per ora – non sono cambiate, con buona pace di Bill Gates. E’ vero che la tecnologia ci promette delle macchine con cui potremmo esplorare via computer le biblioteche di tutto il mondo, sceglierci i testi che ci interessano, averli stampati in casa in pochi secondi, nei caratteri che desideriamo – a seconda del nostro grado di presbiopia e delle nostre preferenze estetiche – mentre la stessa fotocopiatrice ci fascicola i fogli e ce li rilega, in modo che ciascuno possa comporsi delle opere personalizzate. E allora? Saranno scomparsi i compositori, le tipografie, le rilegatorie tradizionali, ma avremmo tra le mani, ancora e sempre, un libro.”

Quell’articolo, secondo me, chiuse il dibattito sull’argomento:- )

(Immagine da: http://www.memo.com.co/fenonino/aprenda/diccionarios/imgbiblio/UMBERTO%20ECO.jpg )

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ZIDANE E REPETTO

13 luglio 2006

Per due interi giorni è imperversato in rete il quesito:

“Secondo voi cosa avrà detto Materazzi a Zidane per farlo incazzare in quel modo?”

Mi sono arrivate in mail-box varie ipotesi:

– Hey Zizou … a tua madre piace Grosso!
– Sei una caccola ripiena!
– Tirami una testata, sarà liberatorio…
– Nel libro di Faletti il killer è il Dj
Sono amico di Mauro Repetto e tu no!
– E’ vero che in Francia non avete il bidet?
– Che ore sono?
– Zizzu … Zazzo Zezzo Zuzzu Zi ?

Eccetera.

Ovviamente l’ipotesi che più mi ha inquietato è stata la quinta.

“Mauro Repetto… Mauro Repetto… ” ho cominciato a chiedermi, “chi era costui? L’editor di Einaudi Stile Libero, per caso?”

Una rapida ricerca in rete mi ha tolto ogni dubbio: Mauro Repetto è il biondino che ballonzolava sul palco insieme a Max Pezzali al tempo degli 883…

Google mi ha addirittura fornito un preziossimo link per un AGGIORNAMENTO completo.

Copio-incollo, appunto, da www.maurorepetto.tk :

“Perché questo sito? Per ricordare Mauro Repetto, un uomo che non ha avuto paura di inseguire i propri sogni e le proprie passioni.

Per tutti coloro che amavano gli 883 degli esordi e riconoscono il tocco “repettiano” nelle prime canzoni del gruppo.

Per quelli (pochi a dire il vero) che lo hanno conosciuto come solista ed hanno amato le sue canzoni stonate, inni allo “sfigato“… inni alla vita.

E per tutti coloro, infine, che si chiedono semplicemente: “Che fine ha fatto il biondino degli 883?

Cliccando su BIOGRAFIA, esce quanto segue:

«Qual è la domanda che mi fanno più difrequente in assoluto? “Che fine ha fatto Mauro Repetto”. Anzi: “Che fine ha fatto il biondino che ballava negli 883”». Parole di Max Pezzali.

Ebbene, indagando nei meandri della rete abbiamo cercato di dare una risposta a questo interrogativo. Una domanda che – ne siamo certi – tutti, almeno una volta nella vita, si sono posti. La realtà venuta a galla è una favola triste, la storia di un uomo che non ci ha pensato due volte ed ha gettato tutto al vento per inseguire il suo sogno.

Il risultato? Non un lieto fine, ma un bel finale. Oggi, Mauro Repetto vive alle porte di Parigi, è sposato con la bella

Josephine, ha due figli e regala un sorriso a numerosi bambini provenienti da ogni parte del mondo.

Ma andiamo per gradi… Tutto nacque nei mitici anni ’80 a Pavia. Mauro, insieme al fraterno amico Max Pezzali, frequenta il liceo e passa interi pomeriggi al Bar Dante fantasticando sulle donne e parlando di musica. I due fondano un gruppo, “I pop”, e mandano un’audiocassetta al re Mida della musica italiana, Claudio Cecchetto.

Da quel momento inizia un’irresistibile ascesa: il gruppo cambia nome in 883 e “Hanno ucciso l’Uomo Ragno” (1992) diventa un indovinatissimo tormentone. Dopo appena un anno esce un altro, altrettanto riuscito, album “Nord Sud Ovest Est”. Per i due amici sembra profilarsi all’orizzonte un futuro di successi e soddisfazioni.

Ma in Mauro c’è qualcosa che non va. Il “biondino” non si sente felice nel ruolo di comprimario. Scrivere canzoni lo soddisfa ma è sul palco che si vivono le emozioni forti, quelle vere. Lui non canta e non suona. Si esibisce in solitari e disordinati balletti che lo fanno diventare ben presto uno zimbello per imitatori e detrattori.

Gli serve solo una scusa. Un motivo per fuggire via. Il suo pass per la libertà si chiama Brandi, una bellissima modella che lo strega e lo spinge ad inseguire il suo folle, impossibile, sogno.

Di punto in bianco lascia l’Italia. Vola in America per produrre un film e si affida ad un losco avvocato che, per la modica cifra di 20.000 dollari, gli promette di fornirgli l’aggancio con un produttore. Non rivedrà mai più né quel legale, né Brandi ed il suo sogno cinematografico si spegnerà in una camera d’albergo. Mauro, tuttavia, non si demoralizza: con l’aiuto di Cecchetto incide il disco “Zucchero filato nero” nel quale risalta la bella voce di Francesca Touré (poi vocalist dei Delta V).

L’album è il suo epitaffio musicale. Urla di dolore in “ma mi caghi”, poesia in “Nual”. «Ascoltate “Un grande si” o “Voglia di cosce e di sigarette”, inni sbagliati, sbilenchi, ubriachi, un uomo solo con la sua chitarra incerta e ancora ossessioni: figa, figa, figa, corpi che sfuggono, amarezza, assoluta mancanza di misura e senso del pudore» (tratto da www.succoacido.it). L’album è un flop e Repetto, dopo una breve parentesi in Italia, si trasferisce in Francia.

Dopo averci provato ancora col cinema (suo il cortometraggio “Point Mort”) abbandona definitivamente lo show business ed inizia a lavorare ad Eurodisney vestendo i panni di Pippo.
Sotto la maschera, i suoi balletti convulsi diventano finalmente apprezzati e divertenti. La palestra lo rende troppo muscoloso e presto anche i panni del cagnone disneyano gli vanno stretti. Oggi, Mauro impersona l’orso Baloo. Mille flash lo fotografano ma in pochi sanno che, sotto quell’ingombrante costume, c’é un uomo coraggioso. Il “biondino” che, per inseguire un sogno, ha rinunciato a soldi e fama.”

Non trovate anche voi questa storia IRRESISTIBILE, francamente???

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(Roberto Denti alla libreria “Il libro con gli stivali” di via Mestrina a Mestre)

INCONTRO A MESTRE CON ROBERTO DENTI

Ha 84 anni suonati, ma la sua autorevolezza e la sua competenza nell’ambito della letteratura per ragazzi sono ancora al top. Fondò nel 1972 a Milano, con la moglie Gianna, la prima Libreria per Ragazzi italiana. Il suo esempio fece scuola. Oggi le librerie specializzate in letteratura giovanile si sono moltiplicate e quella di via Mestrina a Mestre – “Il libro con gli stivali” – l’ha avuto ieri pomeriggio come ospite per un incontro con il pubblico. Roberto Denti, infatti, non è solo un libraio, ma anche un raffinato scrittore e un critico letterario di vaglia. Ecco un compact delle dichiarazioni più importanti:

«Siamo noi librai a cogliere per primi i cambiamenti nei gusti dei lettori più giovani. E da una ventina d’anni a questa parte i cambiamenti sono stati sostanziali. Libri e autori che vent’anni fa piacevano molto, oggi non piacciono più. Salgari stesso è diventato illeggibile, perché troppo lento. Sandokan ci mette circa 400 pagine a baciare la Perla di Labuan… mentre in un solo minuto di cartoni animati si susseguono dozzine di avvenimenti grandi e piccoli. Le nuove generazioni, sottoposte a massicce dosi di televisione, si abituano molto presto ai ritmi incalzanti del cartone animato, tecnica espressiva basata appunto sulla rapidità. Solo Pinocchio resiste, ma viene accettato proprio perché, anziché camminare, corre!… come tutti i bambini. Le nuove narrazioni hanno ritmi velocissimi. I classici, invece, sono scritti secondo tempi narrativi molto più rilassati.

Negli anni 70 uscivano 250-300 novità l’anno, oggi circa 3.000. Ciò nonostante leggere è diventata un’attività sempre più difficile da incentivare, soprattutto se i genitori non sono in grado di dare il buon esempio come forti lettori o non hanno la pazienza o il tempo di praticare la lettura ad alta voce. La lettura ad alta voce è particolarmente importante perché il bambino l’avverte come un dono di attenzione e partecipazione alle proprie esigenze. Grazie ad essa, finisce per associare all’idea di lettura emozioni positive. Capisce che l’adulto gli sta dedicando del tempo e gli vuole bene. I bambini, come si sa, imparano tutto per imitazione, osservando i comportamenti degli adulti. E non si desiderano le cose che non si conoscono. Leggere, malgrado l’odierna abbondanza di forme di intrattenimento alternativo, resta un’attività fondamentale non solo per il piacere che arreca una volta che si siano scoperti i libri più adatti a toccare le nostre corde emotive, ma soprattutto perché potenzia l’immaginazione più di qualunque altro mezzo narrativo.

Chi sfrutta al massimo i poteri dell’immaginazione è lo scienziato, che parte da dati oggettivi e incontrovertibili per ideare possibilità non ancora esistenti. Cerca di immaginare come si possa curare, per esempio, il cancro. Occorre dunque favorire con ogni mezzo lo sviluppo della capacità di prospettare soluzioni nuove ai problemi che via via ci affliggono. Le api e le formiche sono bravissime e precisissime, ma fanno sempre le stesse operazioni, non hanno immaginazione:-)

La lettura stimola l’immaginazione molto più delle immagini, grazie all’innesco fornito dalle storie. Chi legge deve dare personalmente un volto ai vari personaggi di cui segue le vicende, rappresentarsi a proprio piacimento contesti e situazioni. Chi guarda un film, invece, non deve costruire nulla, ma limitarsi a contemplare ciò che gli scorre davanti. Certo, il discorso può essere applicato in parte anche ai libri illustrati. Bruno Bettelheim, infatti, sosteneva che le illustrazioni limitino l’immaginazione. Quello che di sicuro non si dovrebbe fare è mostrare a un bambino un solo tipo di illustrazione. Meglio fargli confrontare tante diverse Cenerentole disegnate da tanti illustratori diversi, che proporgli una sola e unica Cenerentola, magari quella waldisneyana. I bambini, a differenza dei genitori, sono capaci di accettare ogni tipo di illustrazione. Si pensi al successo del rivoluzionario “Piccolo blu e piccolo giallo” di Leo Lionni.

La prima lettura nasce quando un genitore mostra ad un piccino l’immagine di un gatto e dice “gatto”. Il bambino impara che da un lato esiste il gatto, dall’altro la sua rappresentazione. E quando poi il genitore scandisce: “Il gatto beve il latte”, ecco enucleata la prima storia. La lettura insegna che da un lato c’è la realtà di tutti i giorni, dall’altro la realtà che si vive con la fantasia. Il meccanismo dell’immedesimazione (nei personaggi e nelle loro situazioni) consente al bambino un arricchimento dell’esperienza e un ampliamento di orizzonti.

Negli ultimi anni, il maggiore incremento di mercato lo si è registrato nel settore delle pubblicazioni per i piccolissimi. In molti casi la caduta a picco dell’abitudine alla lettura pare coincidere con il passaggio dalla terza media alla I superiore, da un lato perché alle superiori gli studenti sono costretti a sobbarcarsi un congruo numero di ore di lettura obbligata (= testi scolastici), dall’altro perché a quell’età la ricerca dell’approvazione del gruppo dei coetanei comincia a diventare il problema priotario. Se nel gruppo non c’è almeno un altro compagno che legge, è difficile che un giovane lettore mantenga i ritmi di lettura acquisiti in precedenza.»

Altre dichiarazioni che mi sono appuntato:

«L’Italia, paese diviso, è tuttavia unita da almeno un elemento comune: l’odio per I Promessi Sposi, grazie al cattivo servizio reso alla lettura dalle scuole… Nei programmi della riforma scolastica Moratti, la parola ‘lettura’ non compare nemmeno una volta… »

«I libri non sono reliquie da baciare nella speranza che possano miracolisticamente risolvere i problemi del mondo. Il discorso evangelico “della montagna” (con l’elenco delle beatitudini), per esempio, è la più alta pagina di pace mai scritta, eppure, malgrado quella pagina, l’Occidente è andato in giro per il mondo a spargere distruzione e morte…»

[A incontro concluso, mi sono avvicinato a Denti e gli ho detto: “Una volta eravamo amici, poi ci fu un episodio che ci allontanò: l’iniziativa NUVOLE A COLAZIONE[si veda il mio post dell’11 novembre 2005 , n.d.r.].

Le propongo, ora, a distanza di tanti anni, di scambiarci il segno della pace.” Denti, che non mi vedeva dal lontano 1995, ha risposto stringendomi la mano: “Certo, ma mi ricordi il suo nome”. “Angelini”, ho mormorato. Allora mi ha teso la mano una seconda volta. Sono tornato a casa a Venezia decisamente alleggerito e felice:-)]

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(La foto di Roberto Denti è di Lucio Angelini)

BOCL N. 47 (VENEZIA)

(Palazzo Barbaro-Curtis sul Canal Grande a Venezia)

Mercoledì, aprile 19, 2006

HENRY JAMES A VENEZIA 

«I barbari sono in pieno possesso della città e si trema al pensiero di quel che ne possono fare. Dal momento che vi si arriva, ci si rende conto che Venezia quasi non esiste più come città, che esiste soltanto come consunto spettacolo volgare e bazar. C’era un’orda di tedeschi selvaggi accampati in Piazza, e il loro chiasso rimbombava nel Palazzo Ducale e all’Accademia…».

Così scriveva Henry James nel lontano 1882, quando forse una decina di persone formava l’orda di tedeschi di cui sopra. “Ma come tutti i grandi scrittori, James vide il futuro di massa della nostra città, senza peraltro che questo gli impedisse di subire il fascino di Venezia e di parlarne in saggi, racconti, romanzi”. Ce lo ha ricordato ieri Rosella Mamoli Zorzi alla Mondadori di Venezia, in occasione della presentazione del volumetto “IN VENICE AND IN THE VENETO WITH HENRY JAMES“, da lei curato per le edizioni Supernova.

Vi vengono costruiti sei “itinerari” nella città, più altri cinque nelle isole e nell’entroterra, sulla scorta di accattivanti citazioni da vari testi jamesiani. Lo scrittore descrisse la città nella sua povertà ottocentesca, ma anche nello splendore dei suoi palazzi. Fra questi, Palazzo Barbaro sul Canal Grande, dove James fu più volte ospite dei Curtis. 

Già nel luglio 2005 all’Isola di San Servolo la Henry James Society e il Dipartimento di Americanistica, Iberistica e Slavistica dell’Università Ca’ Foscari di Venezia avevano tenuto il Congresso internazionale “Tracing Henry James”.   

Si legge in  http://www.aidanews.it/articoli.asp?IDArticolo=5292 :

“Venezia è stata la città amata dal grande scrittore americano fin dalla sua prima visita nel 1869, quando si immerse nella bellezza della pittura del Tintoretto, il maestro veneziano da lui più adorato, visitando la città sulle orme di Ruskin, e liberandosi solo col passare degli anni, dalle “proibizioni” ruskiniane riguardanti architettura e pittura del Sei e del Settecento; fino all’ultima visita del 1907, quando ritornò nella città e nel palazzo su cui aveva costruito il suo palazzo di parole, quel Palazzo Leporelli modellato su Palazzo Barbaro, dove la protagonista di “Le ali della colomba” (1902) decide di vivere quel poco di vita che le resta nell’arte e nella bellezza. James ritornò più volte a Venezia: nel 1881, in una pensione sulla Riva degli Schiavoni (ora Pensione Wildner), tentò di finire Ritratto di signora, distratto dal chiacchiericcio sulla Riva e dalla vista delle navi che passavano; da Palazzo Barbaro, nel 1887, inviò all’editore l’ultima parte del Carteggio Aspern, una sorta di “giallo” psicologico, ambientato a Venezia, in cui il narratore cerca di impossessarsi di preziose lettere: il luogo-modello, questa volta, è Palazzo Cappello a Rio Marin. Sempre ospite dal 1887 in poi dei Curtis a Palazzo Barbaro, James cercò (molto debolmente) un pied-à-l’eau, che mai in realtà veramente potè desiderare, incantato come era dallo splendore di Palazzo Barbaro. Solo nel 1894 alloggiò nella modesta Casa Biondetti, quando, suicidatasi l’amica scrittrice Constance Fenimore Woolson, dovette, come esecutore testamentario, sistemarne, ed eliminarne, le carte: un episodio molto doloroso per James, che si sentì (ingiustamente) in colpa per il suicidio dell’amica. Ma da questa morte, da questo mondo di dolore, – oltre che da molte altre esperienze precedenti – nacque il capolavoro “Le ali della colomba”.

Nell’ottobre 2004, inoltre, si era tenuta la mostra marciana “Gondola Days”, di cui si legge qui:

 http://marciana.venezia.sbn.it/mgondola.html

“Per secoli dimora di una illustre famiglia veneziana, palazzo Barbaro (il nobile edificio che sorge sul Canal Grande, vicino al Ponte dell’Accademia) – come tanti altri in quell’epoca – fu venduto nell’Ottocento a speculatori e passò di mano in mano, spogliato di parte dei quadri famosi che lo ornavano.
Chi salvò il palazzo dalla rovina fu una coppia di Boston, Daniel Sargent Curtis e Ariana Wormeley Curtis che, il 3 dicembre 1885, lo acquistarono dopo avervi abitato come inquilini dal 1881.

Insieme al figlio Ralph, pittore, essi ne fecero un centro di vita artistica e intellettuale: lo frequentavano artisti e scrittori americani ed europei tra i quali John Singer Sargent, James McNeill Whistler, Anders Zorn, Henry James, Robert Browning e più tardi Claude Monet. John Singer Sargent dipingeva nello studio dell’amico Ralph Curtis e vi eseguì il dipinto A Venetian Interior che ritrae i proprietari. Henry James fu spesso ospite a Palazzo Barbaro e vi ambientò il romanzo The Wings of the Dove.
Gondola Days è il titolo di un libretto di saggi su Venezia del pittore F. Hopkinson Smith, anch’egli parte del gruppo.

Dal 1884, Isabella Stewart Gardner animò questa vivace cerchia di artisti, scrittori, mecenati e musicisti europei e americani che lì si riunivano. La sontuosa eleganza degli interni e la raffinata architettura del palazzo ebbero grande influenza su Isabella, che assieme al marito – Jack Gardner – lo prendeva in affitto durante le frequenti visite a Venezia e che al palazzo si ispirò, un secolo fa, per la creazione del suo personale museo, il palazzo in stile veneziano di Boston, noto come Fenway Court.

Palazzo Barbaro è la fonte d’ispirazione per la mostra marciana: “Gondola Days”. Isabella Stewart Gardner e il suo mondo a Palazzo Barbaro-Curtis, curata da Alan Chong, Richard Lingner, Anne McCauley, Rosella Mamoli Zorzi e organizzata dalla Biblioteca Nazionale Marciana insieme all’Isabella Stewart Gardner Museum di Boston, aperta al pubblico dall’8 ottobre all’8 dicembre nelle sale della Libreria Sansoviniana, inserite nel percorso integrato dei Musei di Piazza San Marco.

La mostra mette in luce l’intensa vita artistica ed intellettuale della cerchia di Palazzo Barbaro e l’influenza da essa esercitata, alla fine dell’Ottocento, sull’arte, la letteratura, l’architettura del tempo. A questo scopo riunisce una significativa scelta di dipinti, acquerelli, pastelli, stampe e disegni, fotografie, lettere ed altre testimonianze di visitatori e ospiti.

La mostra è stata inaugurata il 7 ottobre 2004 nella sala dello Scrutinio di Palazzo Ducale, con interventi di Giandomenico Romanelli, direttore dei Musei civici Veneziani, Marino Zorzi, Ann Hawley, direttore dell’Isabella Stewart Gardner Museum (ISGM) di Boston, e dei curatori della mostra Alan Chong (ISGM) e Rosella Mamoli Zorzi dell’Università degli Studi di Venezia.”

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Martedì, maggio 02, 2006

ANDERSEN A VENEZIA

 

(J.M.W. Turner, The Grand Canal, Venice, 1840)

“… Proseguii per Siena, Firenze, Bologna, Ferrara e vidi, infine, Venezia.”
“E che impressione ti fece?”
“Mi deluse un po’. Dopo aver visto Genova con i suoi splendidi palazzi e Roma con i suoi monumenti, dopo aver goduto il sole ridente di Napoli, Venezia, devo confessare, rappresentò una sorta di ‘triste vale’ nel lasciare l’Italia. Già Goethe aveva descritto il senso funereo suscitato dalla gondola veneziana, velocissima cassa funebre natante, nera, con frange, nastri e tendine nere. Ricordo che salii su una di esse presso Fusina e arrivai nella città silenziosa tra file continue di pali. L’impressione che mi fece fu quella di un cigno morto sull’acqua fangosa. Unici elementi di vita erano la piazza San Marco davanti alla chiesa variopinta e orientaleggiante, il fiabesco palazzo Ducale con i suoi tragici ricordi, le Prigioni e il Ponte dei Sospiri. C’erano greci e turchi seduti a fumare le loro lunghe pipe, e centinaia di colombi volavano intorno ai piloni trionfali dove sventolavano i gonfaloni. Mi sentivo come sul relitto di un vascello fantasma, soprattutto di giorno. Doveva venire la sera e spuntare la luna perché tutta la città si animasse: allora i palazzi si stagliavano piú imponenti e Venezia, la regina dell’Adriatico, acquistava animazione e bellezza.”
“Strano che Venezia dovesse sembrarti un cigno morto.”
“Devo confessarti che in quei giorni una puntura di scorpione a una mano mi rese particolarmente doloroso il soggiorno. Tutte le vene mi si gonfiarono fino al braccio e mi venne la febbre. Lasciai Venezia senza rimpianti sulla nera gondola funebre per andare in un’altra città di tombe, Verona, dove riposano gli Scaligeri e dove si trova il sepolcro di Romeo e Giulietta. Risalii le Alpi e mi fermai un intero mese a Vienna, poi vidi Praga e finalmente rientrai a Copenaghen. Ma l’esperienza italiana mi avrebbe suggerito il romanzo ‘L’improvvisatore’.”
“Non tornasti piú a Venezia?”
“Ci tornai nel 1854, arrivandovi in battello da Trieste. Se la mia prima impressione della città era stata quella di un funebre relitto galleggiante, adesso che vi tornavo sofferente per le maree dell’Adriatico non mi parve nemmeno di scendere a terra, ma di trasbordare da un vascello a un altro piú grosso. L’unica consolazione fu scoprire che adesso, grazie al ponte della ferrovia, la città era stata collegata alla terraferma. Venezia al chiaro di luna è certo qualcosa di stupendo, un sogno meraviglioso che bisogna provare. Le gondole scivolano come barche di Caronte tra gli alti palazzi, che si specchiano nell’acqua. Ma di giorno era un brutto spettacolo. Nei canali sporchi galleggiavano torsi di cavolo, foglie d’insalata e rifiuti d’ogni genere. Dalle crepe delle case uscivano i ratti d’acqua, e il sole ardeva tra i muri. Fui lieto di fuggire da quell’ umida tomba. Sulla terra ferma la vite pendeva in tralci e i cipressi nereggiavano contro il cielo azzurro. Ero di nuovo diretto a Verona. Curiosamente, anche questa volta fui punto da uno scorpione e di nuovo il dolore e la febbre mi spinsero oltre.”

(dalla VII puntata de “IL FANTASMA DI ANDERSEN” , gentilmente ospitata da  www.carmillaonline.com )

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Venerdì, giugno 23, 2006

DAVID GILMOUR DI NUOVO A VENEZIA

 

15 Luglio 1989

Una piattaforma galleggiante ormeggiata davanti a Piazza San Marco fu teatro di uno show dei Pink Floyd di soli 90 minuti, trasmesso in oltre venti Paesi per una stima complessiva di 100 milioni di spettatori.

Agosto 2006

Saranno le cornici di Piazza Santa Croce a Firenze (2 agosto) e Piazza San Marco a Venezia (4 e 5 agosto) ad ospitare i concerti di David Gilmour. La chitarra e voce dei mitici Pink Floyd si esibirà in una serie di concerti “open-air” che seguono il trionfale tour europeo e americano. I musicisti della band sono Richard Wright, tastiere e voce; Phil Manzanera, chitarra e voce; Dick Parry, sassofono; Jon Carin, tastiere, chitarra e voce; Guy Pratt basso e voce – Steve Distanislao, percussioni e voce. I biglietti sono già in vendita.

Giugno 1999

Le mitiche:- ) edizioni Libri Molto Speciali pubblicano il volume:

“Scoppi in aria: Schopenhauer e i Pink Floyd a Venezia”, di Anonimo Veneziano (VEDI ARCHIVIO, 2005, luglio):

Si tratta di un ‘collage’ di frammenti di oltre settanta autori, il cui ‘incollatore’ si è trincerato dietro l’anonimato per pudore… Ecco la trama. Due fratelli seguono vocazioni contrapposte, all’autodistruzione attraverso la droga il primo, all’impegno per il bene comune il secondo che, sospinto da un’improvvisa voglia di cambiare il mondo, decide di cominciare a fare qualcosa nel vicino, adoperandosi per le sorti della propria città (Venezia): una risoluzione che matura nei giorni del famoso concerto dei Pink Floyd (luglio 1989) a Venezia, ricostruiti con meticolosa precisione. È il primo romanzo-Arlecchino della letteratura italiana, ottenuto, ripeto, per circa il 90% cucendo assieme (ma senza che si vedano le suture)  “ritagli” di stoffa letteraria di oltre settanta autori.”

“… I primi, da Napoli e da Roma, erano cominciati ad affluire all’alba, ma già dalla sera precedente c’era chi aveva preso un posto in prima fila in piazza San Marco, proprio di fronte al mastodontico palco sulla laguna, distendendo il sacco a pelo. Erano soprattutto tedeschi, francesi e inglesi, la maggior parte dei quali venuti con i venti voli Charter organizzati per l’occasione in vari paesi europei. Dalle 8 in poi, dalla stazione ferroviaria a San Marco, era stata un’unica, ininterrotta colonna di giovani in marcia attraverso due direttrici: Rialto e la Strada Nova. Verso le 10 era giunta una telefonata allarmata dalla questura di Roma. Ai colleghi di Venezia la Polfer aveva comunicato che erano partiti due treni, uno affollato di ottomila persone, l’altro di cinquemila, tutte dirette nella città lagunare. I primi grattacapi per l’ordine pubblico li avevano già dati alla Stazione Termini, tanto che le forze dell’ordine erano dovute intervenire con piccole cariche per impedire vandalismi. Il questore Musarra e il capo di gabinetto Cesare Porta, che coordinavano gli oltre mille agenti e carabinieri in servizio, avevano inviato alcuni plotoni della Celere ad accogliere i fan romani più turbolenti, che così erano stati scortati fino in piazza San Marco. Col viso tirato e le radio ricetrasmittenti schiacciate fra le dita, gli agenti avevano cercato di opporsi a ogni intemperanza della folla. Alla stazione, nel frattempo, treni provenienti da Bologna e da Milano avevano continuato a scaricare migliaia di persone. Già a mezzogiorno l’ufficio stampa del ompartimento delle ferrovie dello Stato diffuse una nota per sconsigliare vivamente chiunque di mettersi in viaggio verso la città lagunare. A Mestre, la stazione che precede quella di Venezia, tutti coloro che avevano dovuto abbandonare le automobili ai lati delle strade o in parcheggi di fortuna, davano l’assalto ai treni. Piazza San Marco, verso mezzogiorno e mezzo, si era trasformata in una sorta di spiaggia. Migliaia di persone accalcate una accanto all’altra si erano sdraiate sui masegni e si erano spogliate, rimanendo in costume da bagno. “I me par foghe, i me par foghe“, strillava un vecchietto veneziano cercando di aprirsi faticosamente un varco tra quei corpi distesi. Alle 13 la Piazzetta che dà sul Bacino era ormai completamente intasata e paralizzata. Il megapalco incombeva sull’acqua con tutte le sue elettroniche mostruosità. (A Costante tornò in mente lo sfogo marinettiamo su VENEZIA PASSATISTA: “Venga finalmente il regno della divina Luce Elettrica a liberare Venezia dal suo venale chiaro di luna da camera ammobiliata… Affrettiamoci a colmare i piccoli canali puzzolenti con le macerie dei vecchi palazzi crollanti e lebbrosi. Bruciamo le gondole, poltrone a dondolo per cretini, e innalziamo fino al cielo l’imponente geometria dei ponti metallici e degli opifici chiomati di fumo, per abolire le curve cascanti delle vecchie architetture.”) Alle 14.30 la Commissione provinciale per i pubblici spettacoli rimise in forse il concerto, perché mancavano sia le transenne sulla riva del Bacino di San Marco, sia quelle per la creazione dei corridoi necessari al passaggio dei soccorritori e delle forze dell’ordine. Si creò un clima di drammatica attesa. Per le 15.30 la delicata bomboniera di piazza San Marco era ultrasatura, ma la gente continuava ad arrivare da tutte le parti. Una muraglia umana di giovani si era assiepata sull’intera riva fino all’Arsenale, abbarbicandosi su ogni sporgenza che permettesse di superare gli ostacoli alla vista, approfittando di ogni mpalcatura, pontone di vaporetti, cornicione di porta. Presto iniziò l’assalto ai monumenti. Una ventina di spericolati si arrampicò su per le impalcature del Palazzo delle Prigioni Vecchie in restauro, subito imitata da una nuova ventina. Altri salirono sulla copertura del dirimpettaio imbarcadero della Paglia, altri ancora sull’impalcatura prospiciente l’ingresso della Biblioteca Marciana. Molti occuparono le rive, i pontili, le gradinate, finendo con i piedi in acqua. Le forze di polizia invocarono disperatamente rinforzi da Mestre e da Padova. Alle 16 giunse l’annuncio che i carabinieri chiamati da Mestre erano rimasti anch’essi intrappolati sul ponte della Libertà. Nella Piazza martellata dal sole la folla assetata si stava disidratando. Frattanto, squadre di commandos anti-Pink Floyd attaccavano sui muri della città manifesti listati a lutto annuncianti la “morte del Redentore”. Tra il popolo del rock, con le mani nei capelli, si aggirava incredulo, in compagnia del pittore Emilio Vedova, il filosofo Massimo Cacciari. (“Difficilmente potrò dimenticare il senso di frustrazione e di vergogna che ho provato oggi nella mia città”, dichiarò più tardi a un giornalista. “È impossibile concepire un uso più distorto, più selvaggiamente ignorante e irresponsabile di un grande centro storico ridotto a indifferente contenitore per manifestazioni di grandi masse.”). Alle 16.30 non c’era ancora il permesso per il concerto. La commissione di vigilanza aveva rilevato che non erano state poste in atto tutte le misure di sicurezza. Tra Prefettura e Comune lo scambio dei messaggi si fece frenetico: nessuno pareva disposto ad assumersi una responsabilità che avrebbe potuto avere conseguenze imprevedibili. Ma impedire il concerto, a quel punto, avrebbe rappresentato un rischio insostenibile per l’ordine pubblico. Il sindaco Casellati rimise la decisione al prefetto: valutasse lui se preminenti ragioni di ordine pubblico ne imponevano o meno lo svolgimento. Il prefetto si consultò con i più stretti collaboratori. Parlò al telefono con il questore e ricevette l’assicurazione che con l’ausilio delle forze dell’ordine sarebbero state sistemate le transenne. Anche gli organizzatori erano pronti all’installazione delle barriere, ma attendevano polizia e carabinieri per creare un varco tra la folla dei giovani. Alle 19 l’alloggio del Sansovino, sotto il campanile, appariva letteralmente coperto di giovani che si erano abbarbicati sulle statue, sistemandosi come meglio avevano potuto: non un centimetro di marmo era più visibile. Altri prodi riuscirono, di lì a poco, a conquistare l’interno del campanile, insinuandosi per la finestrella più bassa… ”

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Mercoledì, luglio 26, 2006

IL GIORNO IN CUI VENEZIA MUORE

 

Da “IL GAZZETTINO DI VENEZIA”  di martedì 18 luglio 2006: 

“23 maggio 2038 il giorno in cui Venezia muore”

“Venezia centro storico (tolti i litorali e le isole) perde ancora abitanti: 1918 nell’ultimo anno. Se il trend dovesse confermarsi (e non si vede come potrebbe essere diversamente), un giorno nemmeno tanto lontano Venezia rimarrebbe vuota, una città fantasma come quelle del vecchio West. Così abbiamo voluto fare una prova. Cioè andare a vedere quando potrebbe morire Venezia se ogni anno continuasse a perdere quelle 1918. È chiaro che il conto ha valore solo simbolico perché le dinamiche che governano i movimenti delle popolazioni sono complesse e non c’è alcuna prova che ogni anno il centro storico ‘debba’ perdere quel numero di abitanti. Ma ci abbiamo provato lo stesso e il risultato è questo: 23 maggio 2038 , fra 32 anni. Il 23 maggio 2038 è il giorno in cui Venezia muore.”

[Mio commento: le ragioni dell’esodo NON sono affatto misteriose. Con quello che costano gli appartamenti a Venezia, i giovani sono costretti a migrare in terraferma e il comune dovrebbe dare la priorità assoluta a una seria politica della casa, altro che Mose!!!]

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Già che si parla di morte, copio-incollo una parte del post “Cipressi“, griffato Linnio Accorroni, da it.cultura.libri del 30 luglio 2003, citato ieri nell’ultima puntata di ‘Iooooo e Borges’

“Da quel Tesoretto che è ‘ Storie e leggende degli alberi’ di Jacques Brosse apprendo che il cipresso è associato all’idea della morte perché il suo legno, odorifero e incorruttibile, serviva per i feretri delle persone illustri. Tutte le lingue europee hanno conservato la matrice etimologica del cretese cuparissos : in francia cyprès, ciprés in spagnolo, cypress in inglese (una delle più belle canzoni di Van The Man: cypress avenue in “Astral Week”), zypress in tedesco, parola che designa, in senso figurato, il lutto e la morte ( c’est vrai, jurgen ?). Un altro dei motivi per cui questa pianta è associata al lutto e al dolore sta nel mito che Ovidio narra nel X libro de “Le metamorfosi“: Ciparisso era un giovane bellissimo , amato da Apollo, che, involontariamente, uccise un cervo addomesticato, che amava sopra ogni altra cosa. Inconsolabile per questa morte, decise di lasciarsi morire di inedia e chiese, come supremo dono agli dei, quello di piangere per sempre: ‘ hoc petit a superis, ut tempore lugeat omni”. Apollo, impietositosi, lo trasforma nell’albero eponimo con le parole : “da me sarai pianto;  tu altri piangerai e starai accanto a chi sente dolore“.

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Sabato, novembre 04, 2006

L’ “ACQUA GRANDA” DEL 4 NOVEMBRE 1966

 

“Il grido d’allarme sulle sorti di Venezia è stato lanciato così spesso che quasi nessuno pare farci più caso”, aveva sospirato la signorina Dabalà, al rientro dalle vacanze natalizie. E ne aveva approfittato per ricordare alla classe l’inondazione del 4 novembre 1966, l’anno dell’acqua granda, della catastrofe. Era piovuto a dirotto per giorni e giorni su tutta l’Italia, aveva detto. Alle dieci di sera del giorno 3 una prima ondata di marea aveva sommerso il centro di Venezia. I veneziani, come d’abitudine, avevano montato le passerelle, chiuso i varchi all’acqua perché non entrasse nelle case e nei negozi. Sapevano che alle 5 del mattino la marea, scendendo, avrebbe svuotato la laguna. Invece, alle cinque del mattino, la marea non se n’era affatto andata. Un vento fortissimo aveva trattenuto le acque in laguna e quando, a mezzogiorno, queste avevano ripreso a crescere per il nuovo ciclo, era stata la fine. All’idrometro di punta della Salute il mare aveva toccato il punto più alto mai raggiunto: 194 centimetri sopra il livello medio. Era parso che si stesse avverando l’antica e popolare profezia di una Venezia nata dal mare e nel mare destinata a scomparire, come nel famoso dipinto del Tintoretto, con la città spazzata via dalla burrasca. Le onde si erano infrante direttamente contro le mura del Palazzo Ducale. Tesori immensi, dagli arredi a intere biblioteche, erano andati perduti in poche ore. A Malamocco, a Pellestrina e a San Pietro in Volta il mare, gonfio di pioggia e sospinto da uno scirocco che soffiava a oltre cento chilometri all’ora, aveva travolto i murazzi. Gli abitanti si erano dovuti arrampicare sui tetti delle case o rifugiare nei barconi da pesca per non farsi portare via dalle ondate. Una delle statue della Salute era caduta a terra, sotto la furia del vento. Lo choc nel mondo intero era stato immenso, anche se passeggero. L’apocalisse di quella lontana mattina di novembre aveva portato di colpo alla luce tutti i problemi irrisolti e gli errori commessi nella gestione della città, le conseguenze degli ingenui entusiasmi e dei calcoli sordidi, dell’inesperienza e dell’avidità. Era crollato anche l’orrendo mito di una Venezia industrial-manchesteriana, con il retroterra tutto fabbriche e opifici fumanti, come non avrebbe voluto nemmeno il futurista Filippo Tommaso Marinetti, di cui lei stessa, tempo prima, aveva letto alla classe il ‘Proclama ai Veneziani’ del 1910. Con la violenza straripante della natura si era dovuta maledire anche l’insipienza degli uomini che avevano continuato a trastullarsi per decenni, dacché il progresso aveva consentito di pensare ad affrontarlo realisticamente, con un problema che il buon Dio aveva cacciato loro tra i piedi probabilmente a sconto di tante meravigliose bellezze elargite.”

(da “Scoppi in aria: Schopenhauer e i Pink Floyd a Venezia“, di Anonimo Veneziano, Edizioni Libri Molto Speciali, Venezia, p. 17-18)

Che morte e cazzo siano più  vicini di quanto si pensa (cfr. l’orgasmo come petit mort) è tautologia che i Romani comprendevano perfettamente, tanto che il cipresso, stante la sua forma , era considerato albero fallico per eccellenza: ecco allora la freccia di Eros e lo scettro di Zeus che erano fatti di legno di cipresso, ecco i Priapi che venivano confezionati con il suo legno e che badavano alle vigne, ai campi, ai giardini… ”

[Immagine da http://www.aboutgaymovies.info/images/death_in_venice_5.jpg ]

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Venerdì, dicembre 08, 2006

IL PIFFERAIO DI HAMELIN E QUELLO DI VENEZIA

 

The-Pied-Piper-of-Hamelin

Da http://it.wikipedia.org/wiki/Il_pifferaio_di_Hamelin :

“La storia si svolse nel 1284 ad Hamelin, in Sassonia. In quell’anno la città venne invasa dai topi senza che alcun uomo riuscisse a trovar sistema per farli altrove fuggire, tant’è che il capo della città dovette offrire una cospicua ricompensa a chiunque fosse riuscito nell’ardua impresa di scacciarli. Non appena giunta al suo orecchio questa notizia, uno straniero si offrì di liberare la città dai topi grazie alla sua musica misteriosa: si narrava, infatti, che fosse in possesso d’un piffero magico e di spartiti incantati, raccolti in un libro segreto, che potessero essere usati per avocare a sé qualsiasi cosa (animali, persone, ombre, mostri, incubi, o altro che fosse) e controllarla ipnoticamente. Vista la situazione senza scampo il capo accettò di buon grado. Non appena la musica dello straniero ebbe inizio, i topi iniziarono stregati a seguirlo…[eccetera]”

E ora passiamo al pifferaio di Venezia.

<<Brioche con farina di salmone e girasole, per un gusto simil-panettone. E’ questa la ricetta dell’esca che potrebbe liberare la città da topi e pantegane. “Possiamo eliminare tutti i topi di Venezia”. Massimo Donadon – intervenendo ieri al caffè Quadri alla consegna del premio “Fuoriclasse” – svela la ricetta dell’impasto studiato per attirare ed eliminare i ratti lagunari. “Su Venezia abbiamo fatto un monitoraggio dell’ambiente e un progetto di intervento che prevede”, spiega Donadon, “di mettere distributori di esche, fatti a T rovesciata verso il basso, in tutti i campi e le tremilaseicento calli della città. Ma il segreto è la scelta della miscela per attirare i topi”. L’imprenditore, che ha il merito d’aver liberato dai roditori metropoli come New York, Tokyo, Santiago del Cile e Amsterdam, ha studiato per Venezia un gusto particolare. “Più che i topi vanno analizzate le abitudini alimentari diffuse nei luoghi in cui vivono. Il topo, infatti, ha una memoria genetica che gli fa riconoscere i gusti fin da appena nato. Dei nostri acquisti alimentari scartiamo mediamente il 4 per cento, e da queste parti nella spazzatura finiscono molti resti di pane e prodotti simili. Un gusto che, mescolato alla farina di salmone e al girasole, che dà un aroma tipo panettone, farà letteralmente impazzire i topi“, assicura Donadon. E allora quand’è che la sera potremmo circolare senza imbatterci in corpose pantegane che aggrediscono i sacchi delle scoasse? “Bisogna vedere i flussi di finanziamento della Legge Speciale per Venezia. Io comunque sono amico di Cacciari e farò il possibile per aiutare lui e la città”, annuncia Donadon…>> (da La Nuova Venezia del 6 dicembre 2006. L’articolo è di Sebastiano Giorgi).

Insomma, per le povere pantegane di Venezia, tutt’altro che stanche della vita, non si esiterà a ricorrere all’eutanasia o “dolce morte“… dolce solo per il sapore di panettone, ovviamente:-/

Immagine da www.artshole.co.uk/joannethompson.htm

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Martedì, febbraio 20, 2007 

UN PANE A FORMA DI CADAVERE

 

Venezia. Dato che è Martedì Grasso, vi scelgo due chicche. La prima di natura etimologica (così rivaleggio con la Strofa che questa, di sicuro, non la sa). Quest’anno il carnevale veneziano è dedicato a Carlo Goldoni, ma pochi sanno perché, a Venezia, dare a qualcuno del “goldone” sia un po’ come dargli del “coglione”. Ebbene, l’origine di tale insulto non si perde nella notte dei tempi, ma solo nelle notti dell’ultima guerra: pare che i soldati americani presenti in Veneto facessero grande uso di un preservativo la cui marca era “Gold  One”…  Non tutti i ragazzotti nostrani, purtroppo, sapevano che “One” (Uno) andava letto “uàn”. A furia di scandirlo esattamente come lo vedevano scritto, trasformarono presto la parola “goldòne” in un sinonimo di “preservativo” (la marca per il prodotto), poi, per estensione, anche in un insulto. Ovviamente ai tempi dell’illustre commediografo il cognome Goldoni non aveva ancora connotazioni così poco spirituali. 

La seconda chicca è un appuntamento. Tra gli eventi minori di questo carnevale ce n’ è uno molto carino in programma proprio per questa sera alla Galleria A+A, ore 22.00. L’artista messicano Gaston Ramirez Feltrin mescolerà acqua, lievito e farina per dare forma ad una sagoma umana, un cadavere di pane dalla forte carica simbolica che sarà offerto al pubblico insieme al vino.  (Cfr. “Prendete e mangiatene tutti“). Martedì grasso, infatti, segna la fine del Carnevale e l’inizio del periodo quaresimale, e il rito mortuario – ripreso dal Dia de muertos messicano – omaggerà il defunto consentendo una simpatica elaborazione del lutto:-)

Gaston Ramirez Feltrin è messicano, ma laureato allo Iuav di Venezia. La performance sarà curata da Francesca Colasante.

“Il mangiare il cadavere, per fortuna simbolico, ha il significato di introiettare lo spirito del morto, di creare un legame con il mondo dell’aldilà. Per questo il giorno dei morti in Messico è un giorno d’allegria, dove la gente si ritrova a festeggiare attorno a tavole imbandite. Lo aveva già immortalato il regista Sergej M.Ejzenstejn nel suo capolavoro del 1930, ‘Que viva Mexico’…  La sagoma sarà cotta nei forni della ditta Rizzo e l’evento è organizzato in collaborazione con la Galleria Michela Rizzo, presso la quale, dal prossimo 23 al 25 marzo, sarà proiettato il filmato di questa performance. Mercoledì prossimo 21 febbraio, giorno delle ceneri, sempre alla A+A, ma alle ore 18, Ramirez sarà presente alla conferenza di Francesco D’Elia, etnologo e musicista, sul tema “L’abbondanza della morte – Il rituale funebre e i carnevali tradizionali italiani”. Verranno proiettati video provenienti dalla Fonoteca di Bologna. Per martedì sera è obbligatoria la conferma telefonica: 0412770466. [Così il Gazzettino di ieri]. 

Buon Carnevale a tutti! 

Immagine in alto da http://www.thaneeya.com/16-dia-de-los-muertos-day-o.jpg

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Lunedì, aprile 09, 2007 

VENEZIA IN FONDO AL MARE

 

“Gli esperti dell’Onu sul clima lanciano l’allarme Venezia: se non si interverrà in tempo la città rischia di scomparire nel giro di pochi decenni. «Nonostante gli sforzi per contenere l’innalzamento del livello delle acque, la situazione è sempre più critica – ha spiegato il climatologo argentino Osvaldo Canziani, vice presidente del gruppo di esperti dell’Onu – nei prossimi decenni- nel nord del Mediterraneo le piogge aumenteranno dal 10 al 20\% e l’acqua della laguna continuerà inesorabilmente a salire». A quel punto, il problema delle dighe mobili non si porrà neppure.”

(Il Gazzettino,  SABATO 7 APRILE)

Mi consolo pensando che la mansarda da me appena acquistata al Lido di Venezia è al quarto piano:- )-

[Immagine da www.atmos.washington.edu/…/modern_options.html

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Giovedì, gennaio 10, 2008 

SVELATO IL MISTERO CACCIARIANO

A distanza di anni da “Quella bruttacattiva della mamma!”, edizioni EL, Trieste, 1993, scrissi il racconto “Quel bruttocattivo di papà Cacciari!”, edizioni Libri Molto Speciali, Venezia, 1999. Terminava così

«… La cosa più bizzarra fu che, svegliatosi di soprassalto, il signor Luchino avvertì un inequivocabile dolore al cranio, come dopo una effettiva caduta a testa in giù.

“E lei… e lei, allora?”, balbettò sconcertato. “Perché non si è sposato? Perché non ha messo al mondo dei figli, con quella sua perfetta faccia da Barbapapà?”

Non ci fu risposta, naturalmente: il sogno era finito e il sindaco Cacciari si era presto dileguato con esso.»

A distanza di altri anni, esattamente ieri, il quotidiano del Nordest “Il Gazzettino” ha pubblicato nel fascicolo veneziano la risposta all’angosciosa domanda: “Perché non si è sposato?”.

SCAPOLO D’ORO

Cacciari: «Perché non mi sono mai sposato? Faccio fatica a pensare anche solo a me stesso»

Al Gazzettino, un anno fa, aveva dichiarato: «Io conquistatore? Non me ne sono mai accorto». A quei tempi i sondaggi sentenziavano che era tra gli uomini che più piacevano alle donne, ma Massimo Cacciari non se ne curava: «Mi lascia del tutto indifferente». Compresa la fama di irriducibile conquistatore: «Fama immeritata perché non mi è mai interessato, come dire, andare a donne». E adesso dice perché, nonostante il fascino, è rimasto uno scapolone: «Sposarmi? Faccio fatica a pensare anche solo a me stesso». Queste note personali saranno in edicola oggi: al settimanale “Grazia” il sindaco Massimo Cacciari ha rilasciato infatti una intervista, arrivando a parlare di sé. «Perché non mi sono mai sposato? In una vita come la mia è difficile trovare il modo e il sistema. E poi probabilmente sono leggermente disperato sul significato che oggi possa avere un legame familiare», spiega il sindaco di Venezia. E aggiunge: «Forse anche per un po’ di irresponsabilità: faccio fatica a pensare a me stesso». Sempre a “Grazia”, Cacciari afferma che è finita l’autorità maschile e che adesso i partiti politici dovrebbero essere affidati alle donne che hanno molti più pregi degli uomini, tranne il limite di «detestarsi tra di loro»: «Per tre millenni c’è stata una predominanza maschile, sicura di sé. Ma oggi siamo alla fine di questa civiltà…. Il maschio è in crisi perché comprende che l’auctoritas, termine che apparteneva proprio al maschio nella polis, nella civitas, nella res publica, non è più proponibile… Gli uomini di oggi sono insicuri, e nemmeno la donna è sicura perché la sua auctoritas non potrà mai sostituire quella maschile». Un clima di insicurezza generale che secondo Cacciari fa vacillare anche l’istituto della famiglia. Per il sindaco-filosofo, «il tramonto della civiltà improntata al potere maschile è bene. I simboli della civiltà maschile sono quelli dell’eroe, del grande uomo politico. Sono quelli della volontà di potenza, gli uomini dei grandi disastri». Una situazione per cui Cacciari ha pronta la soluzione: «Che l’amministrazione ora sia delle donne. I partiti diamoli a loro. Intanto parlano dieci volte di meno, e poi sono molto più operative, più concrete. Hanno un solo difetto: detestarsi tra loro».

 Da http://www.gazzettino.it/VisualizzaArticolo.php3?Luogo=Venezia&Codice=3638833&Data=2008-01-09&Pagina=1&Hilights=cacciari

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Giovedì, gennaio 17, 2008 

EYMERICH NON AMA VENEZIA

 

«Que c’est triste Venise au temps des amours mortes
Que c’est triste Venise quand on ne s’aime plus»

cantava Aznavour qualche anno fa. Chissà se anche l’inquisitore Nicolas Eymerich aveva qualche amore morto nell’armadio, ma nemmeno a lui Venezia sembrava molto allegra:

“Vi piace Venezia, magister?” chiese Bagueny, forse già pregustando la risposta.

“E a chi mai potrebbe piacere una fogna a cielo aperto, con acque puzzolenti che scorrono ovunque?” Eymerich fece una smorfia. “Chi ha fondato questa città doveva avere sangue di ratto, per pensare di vivere su una cloaca.”

E più giù:

“In effetti, dal mare e dai canali giungevano effluvi sgradevoli, e tuttavia il sole rendeva lo scenario di rara bellezza, per occhi che non fossero stati quelli dell’inquisitore… [cut]… Ora Eymerich, di fronte alla basilica di San Marco (ai suoi occhi di una bruttezza unica, tanto grondava fronzoli), attendeva di scoprire se la sua frode fosse andata a segno…”

Valerio Evangelisti colloca la scena (pag. 55 del recente “La luce di Orione“) il 20 giugno 1366.

Qualche secolo più tardi sarebbe capitato in laguna anche il mio amatissimo Hans Christian Andersen, che così si sarebbe espresso nella sua autobiografia: 

“Già Goethe aveva descritto il senso funereo suscitato dalla gondola veneziana, velocissima cassa funebre natante, nera, con frange, nastri e tendine nere. Salii su una di esse presso Fusina e arrivai nella città silenziosa tra file continue di pali. L’impressione che mi fece fu quella di un cigno morto sull’acqua fangosa… [cut] Nei canali sporchi galleggiavano torsi di cavolo, foglie d’insalata e rifiuti d’ogni genere. Dalle crepe delle case uscivano i ratti d’acqua, e il sole ardeva tra i muri. Fui lieto di fuggire da quell’umida tomba. ”

(Andersen, La fiaba della mia vita“)

A proposito di crepe, è stata da poco allestita ai Magazzini del Sale (Punta della Dogana) la mostra “VENEZIA CREPA“: 

«Venezia città intermittente, che si riempie di giorno di pendolari che portano il loro lavoro in città, di studenti e precari che vi vengono a studiare, a produrre e a vivere animando campi ed università. Venezia città intermittente, che si svuota di notte perché le case sono troppo care per abitarle e conviene di più trasformarle in Bed&Breakfast per il turista “mordi e fuggi” di una notte. Venezia in vendita per l’economia globalizzata e per il turismo poco compatibile, che crea profitti immediati per pochi, ma che rischia di non lasciare nulla ai posteri. Venezia che ancora resiste perché attira sogni, creatività materiale e immateriale di nuovi e antichi cittadini che si possono riappropriare della città e della sua laguna, della sua cultura materiale ed immateriale volta all’equilibrio tra acqua, terra, attività umane ed ambiente.»

[Da http://territorioveneto.it/venezia-crepa-le-mani-sulla-citta2019-e-sulla-laguna ]

E la Veneziadel futuro?

«Non tanto una Disneyland per tutti, quanto un Club Med esclusivo, dove chi potrà permetterselo si comprerà il suo pezzo di Venezia. Gerardo Ortalli il futuro della città d’acqua lo vede così. Lo storico, professore di Ca’ Foscari, punto di riferimento di Italia Nostra in città, non si stanca di mettere in guardia da una deriva che sta uccidendo la città Venezia per trasformarla in qualcosa di diverso… C’è il problema delle grandi navi; quello dello scavo dei canali portuali che arriveranno a 12 metri, con la questione collegata dello smaltimento dei fanghi nocivi… Il problema della residenza, in particolare, sta uccidendo Venezia. Non c’è un solo progetto che non corra dietro alla deriva turistica, e questa gestione della città a pezzetti, che segue tutta una serie di interessi particolari, sta portando alla paralisi di una politica di salvaguardia. Una volta pensavo che il destino sarebbe stato Disneyland, ora penso piuttosto ad un Club Med di alto prestigio. Qui infatti non potranno mai essere accolti i tre milioni di cinesi vagheggiati a suo tempo. Non c’è lo spazio materiale. Invece, attraverso questo passaggio per Disneyland, avverrà un’ulteriore selezione verso una realtà in cui chi ha i soldi si comprerà il suo pezzetto di Venezia: chi la galleria d’arte, chi lo scenario per un flirt romantico, chi quello per le sue contemplazioni estetiche. Insomma avremo sempre il solito terziario turistico, ma meno di massa, più selezionato. I muri anche resteranno, ma la città sarà morta. Purtroppo salti del genere la cultura amministrativa non li riesce a fare. Qui non hanno ancora capito che il turismo è una risorsa, ma come tutte le risorse non può essere sfruttata oltre il compatibile».

(Da “Il Gazzettino” del 16 gennaio 2008)

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Mercoledì, settembre 03, 2008 

VENEZIA CREPA & PREMIO ATTILA 2008

 

Come potete vedere dalla locandina allegata 

oggi 3 settembre alle ore 15  in sala Zorzi del Palazzo del Cinema ci sarà  l’ultima proiezione del nostro nuovo film inchiesta “Venezia Crepa – Chi la sta uccidendo?”

Alla fine della Proiezione sempre in sala Zorzi verrà data lettura delle motivazioni per l’assegnazione del Premio Internazionale ATTILA edizione 2008 – Sezione Speciale Nord Est  alla personalità (che verrà resa nota domani) che è riuscita a causare danni irreversibili ed irreparabili: all’ambiente, alla qualità della vita dei cittadini, privando di fatto le comunità locali del diritto di poter decidere del loro futuro.

Oggi 3 settembre alle ore 15, faremo circolare in rete il documento con le motivazioni, il nome della personalità a cui viene attribuito il premio e i nomi delle personalità che pur non avendo vinto son “degne di essere menzionate” per aver contribuito a creare danni irreversibili e incalcolabili all’ambiente e alle comunità locali. Inoltre verranno lanciate nuove scadenze di mobilitazione cittadina.

 

Luciano Mazzolin per AmbienteVenezia – Assemblea Permanente NOMOSE e Coordinamento Cittadino contro le Grandi Navi

[Immagine da http://www.fiorellagallery.com/gayjacket/Real/Doge.JPG ]

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Giovedì, settembre 04, 2008 

L’ATTILA 2008 A PAOLO COSTA

 

Premio Internazionale ATTILA 2008

sezione speciale nordest

In questi giorni una commissione composta da rappresentanti di associazioni e movimenti che lottano per la difesa dei beni comuni, della qualità della vita e dei diritti dei cittadini, ha selezionato tra una vasta rosa di candidati, il personaggio a cui attribuire il  PREMIO ATTILA 2008 alla carriera per essersi particolarmente distinto attraverso le attività che hanno contribuito in maniera determinante a causare danni irreversibili e irreparabili all’ambiente, alla qualità della vita dei cittadini ed hanno privato le comunità locali del diritto di poter decidere del loro futuro.

Molti sono stati i candidati comunque degni di essere citati e ricordati : Silvio Berlusconi e i Ministri dei suoi diversi Governi, in particolare Lunardi e Matteoli; Romano Prodi e i Ministri dei suoi diversi Governi, in particolare Costa e Di Pietro; Giancarlo Galan e i componenti delle sue Giunte Regionali, in particolare Renato Chisso; Silvano Vernizzi Commissario Straordinario per il Passante; Maria Giovanna Piva e i precedenti Presidenti del Magistrato alle Acque di Venezia; il Presidente del Consorzio Venezia Nuova e i Presidenti delle imprese che lo compongono e che sono collegate alle sue molteplici attività; Renata Codello, come Soprintendente ai Beni Architettonici e Paesaggistici di Venezia e Laguna; Roberto D’Agostino, come ex assessore del Comune di Venezia, Presidente di Arsenale spa e della società che sta gestendo la privatizzazione dei beni del Demanio Pubblico.

Non citiamo, per problemi di spazio, molti altri: imprenditori, dirigenti, luminari, intellettuali attivi e passivi nella realtà Veneziana.

La Commissionedopo lungo ed attento esame dei vari curricula, all’unanimità, ha deciso di assegnare

 il Premio Internazionale ATTILA 2008

per la sezione speciale nordest

a

PAOLO COSTA

per l’attività svolta nella molteplicità dei suoi ruoli locali, nazionali ed internazionali

Come Sindaco del Comune di Venezia (oltre che ex Ministro dei lavori pubblici e consigliere di Romano Prodi per le Grandi Opere) nel Comitato Interministeriale del 2003 ha votato a favore del progetto MOSE in sede di Comitatone, mentre il Consiglio Comunale aveva dato mandato di votare contro se non si fossero fatte le verifiche che individuava; successivamente ha sempre strenuamente difeso in tutte le sedi il progetto MOSE, un vero e proprio ecomostro, inutile e dannoso che creerà danni irreversibili a Venezia e alla sua laguna, patrimoni dell’umanità; un progetto dal costo di 4,3 miliardi di euro che prosciugherà tutte le risorse economiche indispensabili per la normale manutenzione della città, che sta letteralmente cadendo a pezzi, dirottandole nelle casse della lobby d’Imprese del Consorzio Venezia Nuova che ha il monopolio dello studio, progettazione e realizzazione del progetto. (monopolio vietato dalle leggi nazionali ed europee) ed impedendo, nello scenario di crescita dei livelli marini per l’effetto serra, la riconversione produttiva ecocompatibile di Porto Marghera per la grande frequenza di chiusura della bocca portuale di Alberoni. Una realizzazione che farà crescere frequenza ed intensità della acque alte impedendo, nel contempo, la realizzazione di soluzioni diverse maggiormente efficienti come ha valutato anche il Comune di Venezia

 Ancora come Sindaco del Comune di Venezia ha votato assieme alla sua Giunta lo status di “Opera di Pubblica Utilità” per un altro progetto inutile e devastante che è la sublagunare, tubo subacqueo che porterebbe altri milioni di turisti devastando fondali lagunari e assetti sociali della città. Un “progetto di finanza” economicamente insostenibile, dove i costi per la realizzazione sono spudoratamente sottostimati e dove le eventuali perdite di realizzazione e di gestione sono totalmente a carico della collettività.

Da Parlamentare Europeo e presidente della Commissione Trasporti attualmente si sta battendo per la realizzazione del Corridoio 5 e della TAV, ignorando le proposte alternative dei Comuni di valle.

È stato nominato dal Governo Prodi come Commissario Straordinario per la costruzione della nuova Base USA Dal Molin a Vicenza ed è stato confermato in questo ruolo anche dal Governo Berlusconi per cercare di evitare comunque il referendum popolare di consultazione.

Il suo ruolo di difensore delle lobby d’imprese che sono coinvolte nei vari progetti precedentemente citati (combattuti e non voluti dalle comunità locali) lo ha reso ormai uomo utile per qualsiasi schieramento di governo; è l’esempio dell’uomo buono per tutte le stagioni e variabili politiche. Per queste doti non comuni è stato premiato e nominato dal governo Berlusconi come nuovo Presidente dell’Autorità Portuale di Venezia (attività che dovrebbe essere incompatibile con il suo ruolo Presidente della Commissione Trasporti e Turismo del Parlamento Europeo); ruolo nel quale potrà continuare a privilegiare progetti ed attività che creeranno seri problemi alla sopravvivenza dell’ambiente lagunare (scavo abnorme dei fondali per far entrare in laguna navi sempre più grandi, incompatibili e devastanti)  

Queste sono in sintesi le motivazioni per le quali Paolo Costa ha vinto questo ambitissimo premio. 

Il premio verrà consegnato

giovedì 4 settembre

Appuntamento per chi volesse partecipare

all’iniziativa per la consegna

alle ore 14,30

davanti alla Stazione dei treni

di Venezia S. Lucia

per imbarco su barca presa a noleggio

La Commissione del Premio Attila 2008

sezione speciale nordest

composta da rappresentanti de:

Assemblea Permanente NOMOSE, Coordinamento Cittadino Contro le Grandi Navi, Patto di Difesa Beni Comuni, Presidio Permanente No Dal Molin.

[Immagine da http://www.atlaswords.com/IMAGES%20126/costa.jpg

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Martedì, ottobre 28, 2008 

TIZIANO SCARPA: STABAT FILIA DOLOROSA…

 

«Negli anni sessanta del secolo scorso, il reparto di maternità dell’Ospedale Civile di Venezia si trovava nella sede dell’antico Ospedale della Pietà. Io sono stato partorito in quell’edificio, sono nato nelle stanze dell’ex orfanotrofio, dove Vivaldi insegnava e dirigeva le sue allieve, componendo per loro un’infinità di concerti e musiche sacre. Per me questa coincidenza è stata una specie di ammonimento del destino, un sigillo all’origine della mia fantasia, del mio pensare attraverso personaggi diversi da me… Da tanto tempo desideravo offrire un tributo alla musica del mio compositore preferito e alla malinconica sorte delle sue allieve. La Pietà era una delle quattro istituzioni della repubblica veneziana in cui venivano allevate le piccole orfane, per dare loro un’educazione, un mestiere e una possibilità di inserimento sociale, non solo attraverso il matrimonio ma anche concedendo loro di impartire lezioni private di musica. Alcune delle ragazze facevano parte dell’organico musicale di quegli istituti, che richiamava pubblico, benefattori e donazioni per il sostentamento degli orfanotrofi. Grazie alla loro eccezionale maestria esecutiva, le musiciste della Pietà attraevano ascoltatori da tutta Europa, soprattutto nei decenni in cui don Antonio Vivaldi prestò il suo impareggiabile estro all’istituto… Le musiciste della Pietà suonavano sospese ad alcuni metri di altezza, dietro una balaustra, seminascoste da grate metalliche che ne lasciavano indovinare la sagoma ma non permettevano di scrutarne i volti… [CUT]… Il mio libro è colmo di clamorosi anacronismi. Ne menziono solo un paio: né lo splendido oratorio Juditha triumphans, né tantomeno i concerti delle Quattro Stagioni sono stati composti nei primi anni dell’insegnamento di Vivaldi alla Pietà, come le mie pagine lascerebbero intendere. La lista delle incongruenze di Stabat Mater sarebbe molto lunga e costellata di gravi falsificazioni. Basti dire che ne sono perfettamente consapevole; chiedo indulgenza agli storici e agli estimatori di Vivaldi. Mi sono preso la libertà di fantasticare a partire da una suggestione storica, senza badare troppo alla verosimiglianza documentaria… »

Così Tiziano Scarpa alle pgg 139-142 della sua ultima opera narrativa: Stabat Mater, Einaudi 2008.

«Il tuo Vivaldi è come una fiammata di vita in un deserto. È stato così anche per te, in qualche modo?» chiede Monica Capuani a Tiziano nell’intervista leggibile qui http://www.ilprimoamore.com/testo_1160.html . E Tiziano:  «Io sprofondo nella sua musica scura quando mi assale il fantasma dei bambini che non ho avuto. » 

Stabat Mater racconta la storia della violinista Cecilia, che di notte scrive lettere allucinate alla madre mai conosciuta e parla con una specie di testa di Medusa dai capelli di serpente. “È un’amica immaginaria che non la consola affatto, ma la punzecchia, la rimprovera, la sprona. La morte ci prende in giro. Dobbiamo essere alla sua altezza” (Tiziano Scarpa, stessa intervista citata sopra).

Ecco un “compact” dal libro:

“Signora Madre, vi è mai capitato di immaginarmi? Vi siete mai chiesta come ho trascorso i miei primi anni di vita?… Volete sapere come mi sento quando sto male?… Esiste al mondo una persona meno sola di me?… Molte di noi vengono abbandonate nella nicchia dell’Ospitale con un segnale addosso. Sono piccole medaglie tagliate a metà, o pezzi di immagini sante, strappate in modo che non vi siano dubbi sull’identità di chi si presenta a riprendersi la figlia, portando la metà del segnale perfettamente combaciante con quella custodita nei registri dell’archivio. Signora Madre, avete fatto lo stesso anche voi?… Perché si nasce? Perché mi avete fatta nascere, Signora Madre?… Noi siamo una parvenza che secerne musica… Signora Madre, sono disperata. Qualcuno ha scoperto le lettere che vi ho scritto e le ha rubate… I giorni passano senza senso… Don Antonio, il nuovo insegnante di violino e compositore dell’Ospitale, ci porta la musica che ha scritto… Passo la vita in estraneità totale, non me ne importa niente degli altri, non riesco a interessarmi alle preoccupazioni delle mie compagne, non partecipo alle loro beghe, non ascolto i loro pettegolezzi… Oggi, alle prove, don Antonio ci ha chiesto se abbiamo mai visto arrivare la bella stagione in campagna… Tutta la città è rimasta conquistata dai concerti sulle stagioni… Ieri abbiamo suonato per il re di Danimarca… Don Antonio ha voluto che fossi io a suonare la parte principale a due violini insieme a lui… Don Antonio prepara musica per tutte le occasioni, sposalizi, funerali, feste e lutti. Sono sicura che lo faccia in anticipo, senza aspettare una richiesta specifica… traduce tutti i suoi umori in musica, li fa ascoltare e la gente s’infervora… Canteremo la storia di Giuditta che si offre al capo dei nemici per salvare il suo popolo, entra nella tenda di Oloferne per concedergli il suo amore e invece gli taglia la testa… so che da un momento all’altro potrebbe arrivare don Antonio a chiacchierare con me per qualche minuto… Signora Madre, don Antonio non viene più a trovarmi di notte, a parlare con me su questo gradino… Signora Madre, sono sconvolta. Il mio sangue mensile è in ritardo… Alle prove non rivolgo mai lo sguardo a don Antonio. Ricevo ordini e obbedisco… Signora Madre, questa è l’ultima volta che vi scrivo…»

Lo STABAT MATER di Tiziano Scarpa verrà presentato oggi pomeriggio qui a VENEZIA al Caffè Ateneo di Ca’ Foscari, Dorsoduro 3246, alle ore 17.30. 

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Lunedì, novembre 24, 2008 

ALFONSO BERARDINELLI SPENNA MASSIMO CACCIARI

 

Il ciclo di incontri “I LIBRI DEGLI ALTRI” organizzato dalla Biblioteca Civica di Mestre si è concluso giovedì scorso 20 novembre con un ospite particolarmente interessante: Alfonso Berardinelli. Introdotto da una delle bibliotecarie come “il più grande saggista letterario italiano vivente”, il critico ha risposto di buon grado alle due sollecitazioni di rito dell’intervistatore Enrico Palandri (ricordate il suo “Boccalone”?): 1) qual è [rigorosamente senza apostrofo, n.d.r.] la sua “biografia delle letture”?; 2) com’è [rigorosamente con l’apostrofo, n.d.r.:-)]organizzata la sua biblioteca?

 Sintetizzo le risposte di Alfonso Berardinelli. 

I suoi esordi come lettore sono legati al Corriere dei Piccoli, a Sergio Tofano, alla Settimana dei Ragazzi, a Zanna Bianca, all’Ultimo dei Mohicani… ma il salto di qualità avvenne attorno ai 14 anni con due opere che ai suoi occhi rivestirono il carattere della rivelazione fondamentale: “MARTIN EDEN” di Jack London e le “NOVELLE” di Cechov. Dopo quelle, non fu più lo stesso di prima. Da giovane sviluppò una fissazione per Amleto, personaggio esemplare e prototipico da cui discendono infiniti altri eroi letterari. Amleto è il più grande personaggio mai inventato nella letteratura occidentale. E Shakespeare, di cui sapppiamo così poco, ci fa capire che il vero genio è un uomo “senza carattere”, dubitoso e malleabile, disposto a lasciarsi permeare dagli altri. Il genio non è mai rigido, ma atto a lasciarsi attraversare da tutto ciò che attraversa il mondo.

Inizialmente filoamericano, si è poi fatto germanofilo, adorniano, francofortese eccetera. La letteratura ha bisogno di sobrietà ma anche di eccessi. Gli ultimi libri che ha letto con grande simpatia sono stati “LA MACCHIA UMANA” di Philip Roth e “THE FLOATING OPERA” di John Barth (“L’opera galleggiante”), letto in inglese. 

In merito alla sua biblioteca, Berardinelli ha voluto distinguere un doppio livello: quello dei libri liberamente scelti e comprati nell’arco di una vita e quello (più nevrotico) dei libri ricevuti a valanghe da quando è diventato professionista della lettura ovvero critico letterario. Sono libri quasi sempre indesiderabili o indesiderati, che accrescono l’alienazione determinata dall’eccessiva quantità di titoli in produzione. Molti di questi volumi in perpetuo arrivo vengono dirottati a varie biblioteche pubbliche, fra cui quella del paesino in cui ha scelto di trasferirsi da Roma: Tuscania,  in provincia di Viterbo, nell’Alto Lazio. Berardinelli ha chiarito di tenere molto alla precisione: dovunque gli capiti di abitare, organizza subito una minibiblioteca essenziale con “tutto ciò che serve”: dizionari, manuali, enciclopedie, atlanti, antologie…

Gli risulta che oltre il 50% della popolazione italiana scriva romanzi. L’iperproduttività, una volta solo poetica, ha ormai investito in pieno anche la narrativa. Il computer ha reso tutti narratori e prolifici. Facilissimo, grazie al copia-incolla di materiali di varia natura, arrivare alle 600-700 pagine per opera [qui ho pensato inevitabilmente a Giuseppe Genna, n.d.r.]. Il sogno ossessivo dell’uomo medio pare sia diventato quello di firmare almeno un piccolo best-seller (3-4000 copie vendute), ma se possibile un grande best-seller (dalle 50.000 copie in su). Vengono pubblicati circa 5 nuovi titoli al giorno. La critica letteraria è come il sistema endocrino di un organismo: non si vede in sé, ma se non funziona, la struttura esterna si deforma e squilibra e diventa abnorme. La situazione attuale della critica è appunto questa: non funziona, non ha più autorevolezza, non riesce più a impedire che certi libri di infima qualità diventino tranquillamente dei successi, o che dei piccoli capolavori finiscano al macero…

Chi legge, ha ripreso Berardinelli, vuole sostanzialmente entrare nella storia di qualcuno che non conosce. Ma il lettore non è sempre uguale a se stesso. Quando si legge un romanzo si ha bisogno di identificarsi in un personaggio, quando si legge poesia si vuole cogliere lo spessore del linguaggio… Le modalità della lettura cambiano anche a seconda dei generi letterari in cui ci si immerge.

Dal 2007 dirige la collana “Prosa e Poesia” della casa editrice Libri Scheiwiller di Milano. Ormai è in grado di riconoscere a vista un sedicente poeta dalle prime tre frasi che pronuncia. Ma asserire di credere nella POESIA – secondo lui – è una fandonia paragonabile all’asserire di credere in DIO (qui Berardinelli si è scusato con gli eventuali presenti credenti). La Poesia in generale NON ESISTE. Esistono solo singole poesie particolari, e quelle buone sono riconoscibili dal fatto che fanno venire voglia di impararle a memoria. Se qualcuno gli racconta che ama la poesia, la prima cosa che gli chiede è di indicargli QUALI poesie abbia letto nel concreto e quali abbia imparato a memoria o considerato degne di essere imparate a memoria. Per dare il buon esempio, ci ha poi recitato egli stesso una poesia a memoria: “La blanche neige” di Guillaume Apollinaire. Berardinelli la trova a un tempo straordinaria e straordinariamente insensata ( “Le poesie sono in sé abbastanza insensate, forse per eccesso di concentrazione di senso”, ha chiarito.) 

La blanche neige 

Les anges les anges dans le ciel
L’un est vêtu en officier
L’un est vêtu en cuisinier
Et les autres chantent

Bel officier couleur du ciel
Le doux printemps longtemps après Noël
Te médaillera d’un beau soleil
D’un beau soleil

Le cuisinier plume les oies
Ah! tombe la neige
Tombe et que n’ai-je
Ma bien-aimée entre mes bras 

[Gli angeli gli angeli in cielo
Uno è vestito da ufficiale
Uno è vestito da cuciniere
E gli altri cantano.

Bell’ufficiale colore del cielo
La dolce primavera molto dopo Natale
Ti decorerà con la medaglia di un bel sole
D’un bel sole.

Il cuciniere spenna le oche
Ah! Cade la neve
Cade e perché
La mia diletta fra le mie braccia non è.]
  

Il pensiero libero non è politicamente accettato (digressione su Socrate messo a morte – Santippe che gli dice “Tu dunque muori innocente” e lui: “Preferiresti che morissi colpevole?”). Per Socrate il sapere è qualcosa di mobile, che deve temere la scrittura. E Socrate, quasi antifilosofo, fu un vero filosofo. Parlando di Socrate e di filosofia, Berardinelli si è lasciato scappare di bocca che uno dei suoi giocattoli [“bersagli”, n.d.r.] preferiti è un filosofo veneziano (= Massimo Cacciari, ovviamente, anche se non ha voluto menzionarlo per nome e cognome). Cacciari è un tipico pseudofilosofo perché si arrovella attorno a interrogativi filosofici tipici delle origini, anziché concentrarsi sui concreti problemi  del presente e sulle loro possibili soluzioni, come un vero filosofo dovrebbe fare. A che serve [chi glielo ha chiesto?] che ci annunci che “l’essere non è il divenire”, se poi non ci fa capire quali sono i suoi problemi di uomo che vive al giorno d’oggi  e ancora meno le possibili soluzioni?–

(Foto di A. Bianchi)

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Mercoledì, dicembre 03, 2008 

VENEZIA. L’ACQUA ALTA DELL’ALTRO IERI

L’acqua alta del 1° dicembre 2008 ha raggiunto un picco di 156 cm, il quarto di sempre. Il record è quello del 4 novembre 1966 (la cosiddetta “acqua granda“): 194 centimetri. Il 22 dicembre 1979, la seconda marea di sempre arrivò a quota 166 cm; infine, il 1° febbraio 1986, si toccarono i 159 centimetri. In piazza San Marco, l’altro ieri, la situazione era questa:

Le tre bocche di porto attraverso cui l’acqua dell’Adriatico entra nella laguna di Venezia.

 

Le paratie mobili del progetto MOSE (acronimo di MOdulo Sperimentale Elettromeccanico ) da collocare alle tre bocche di porto.

Sul MOSE si veda il seguente video tratto dal sito

http://www.nomose.info/

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Su un quotidiano locale un lettore ha scritto:

«Per il problema delle acque alte stagionali a Venezia ho una proposta alternativa al MOSE che farebbe la felicità dei veneziani (quelli privi di incarichi politici) e consentirebbe un grosso risparmio complessivo, rispetto alle stratosferiche cifre preventivate: al posto delle costosissime (e pericolosissime) barriere mobili, propongo di consegnare a ogni cittadino veneziano maggiorenne la somma di mille euro per ogni acqua alta superiore ai 110 cm. I veneziani, adoratori degli SKEI, smetterebbero di lamentarsi e di considerare calamitosi gli eventi in questione: li attenderebbero, anzi, con impazienza e darebbero loro il benvenuto. Tutti sarebbero felici, a parte, naturalmente, i soliti scarnificatori di stanziamenti pubblici, sempre pronti ad auspicare nuovi studi, nuovi osservatori e nuovi monitoraggi.»

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(Video da http://www.youreporter.it/search.php?q=acqua+alta%2C+venezia ; foto da http://www.italiamiga.com.br/noticias/artigos/imagens/L_opera.jpg ; http://www2.regione.veneto.it/videoinf/giornale/newgiornale/53/img/mose2.gif )

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Sabato, dicembre 13, 2008 

LA VENEZIA MONUMENTALE

Ci raccomandano di tenere pulita la città… e guardate che bell’esempio ci danno!

(Foto di Lucio Angelini)

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Martedì, gennaio 27, 2009

ALBERICIDIO AL LIDO DI VENEZIA

Per costruire un nuovo Palazzo del Cinema al Lido di Venezia…

Le associazioni ambientaliste si stanno mobilitanto per fermare l’albericidio. Anche il cantante Mario Donatiello [nella foto qui sopra] si è indignato nell’apprendere del progetto. “Lasceranno un buco così”, pare abbia esclamato. Ma forse intendeva significare altro…

«La costruzione del nuovo Palazzo del Cinema prevede l’abbattimento di tutti i pini domestici presenti nel piazzale del Casinò al Lido di Venezia (piante in buono stato di salute con un ciclo vitale che può superare i 200 anni), di un terzo delle alberature del vicino Parco delle 4 Fontane tutelato dal PALAV (in tutto circa 110 piante d’alto fusto) e la distruzione dei resti sotterranei del forte ottocentesco. Uno scempio ambientale e paesaggistico di uno dei luoghi più caratteristici e affascinanti dell’isola inaccettabile e, soprattutto, inutile. Sono possibili, infatti, diverse soluzioni alternative che non comportano alcun sacrificio del verde pubblico, alcun consumo di territorio e che permettono lo svolgimento annuale della Mostra Cinematografica senza tutti gli inconvenienti derivanti dalla presenza dei cantieri nel piazzale. L’attuale palazzo del cinema, ad esempio, potrebbe essere sopraelevato (ipotesi prevista sin dagli anni ’50 dallo stesso progettista dell’edificio l’architetto Luigi Quagliata) o potrebbero essere sfruttati gli enormi, prestigiosi e sottoutilizzati spazi dell’ex Casinò (possibilità recentemente ammessa anche dall’architetto Carnevale Preside dello IUAV). Preoccupa, inoltre, l’avvio di un progetto su cui pesa, in un momento di grande difficoltà economica per il Paese e per il Comune, anche la grande incognita dei finanziamenti. A fronte di una spesa iniziale prevista in circa 88 milioni di euro (ma i costi dell’opera per le sue stesse caratteristiche rischiano, secondo l’architetto Fuksas, di non essere inferiori ai 130-140 milioni di euro), l’attuale copertura finanziaria è minima. L’associazione delle organizzazioni di ingegneria e architettura d’Italia (Oice) ha sollevato dubbi di illegittimità su questa operazione davanti alla Corte dei Conti. In paesi come la Germania e la Francia, con molto senso pratico e serietà, è proibito per legge bandire concorsi pubblici per la progettazione architettonica di opere se non ci sono già i finanziamenti necessari a realizzarle. Sarebbe opportuno seguire questi esempi virtuosi. In caso contrario, il rischio reale è quello di ritrovarsi fra qualche anno con un’intera pineta distrutta ed un’opera incompiuta (una sorte simile è già successa all’edificio progettato dall’architetto De Carlo al Blue Moon che arrugginisce, incompleto e sottoutilizzato da anni) o un bilancio comunale dissestato. Per quanto esposto, le Associazioni firmatarie, facendosi interpreti di quanto richiesto anche da larga parte dei residenti al Lido, chiedono con urgenza un atto di responsabilità: la immediata sospensione dei lavori (le radici di una ventina di lecci sono già state gravemente danneggiate), la revisione del progetto (già, del resto, profondamente rimaneggiato) e la sua realizzazione con modalità tali da non danneggiare il patrimonio ambientale, storico e paesaggistico del Lido di Venezia.»

[Federico Antinori, referente per le Associazioni: LIPU Venezia, Italia Nostra Venezia, Estuario Nostro, Pax in Aqua, Venezia Civiltà Anfibia, Associazione per la Difesa dei Murazzi, Ecoistituto del Veneto Alex Langer, Comitato per la revisione della Viabilità del Lido, Associazione Rocchetta e Dintorni, AVI Venezia.]

VISITATE IL SITO:

http://www.guardami.it.gg/

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Venerdì, febbraio 27, 2009 

ISABELLA ROSSELLINI SULL’ABBATTIMENTO DEI PINI AL LIDO DI VENEZIA

 

[Ecco cosa resta della storica pineta – foto in alto – abbattuta per fare posto al Nuovo Palazzo del Cinema al Lido di Venezia]

Palazzo del Cinema, tagliati gli

alberi. Rossellini: un crimine

“… Protesta decisa l’ attrice Isabella Rossellini: «Non trovo giusto ingrandire il Palazzo del Cinema commettendo un crimine. Non voglio che il cinema abbia sulla coscienza un peccato grave qual è abbattere degli alberi. Ogni città italiana ha il bisogno assoluto di conservare i propri polmoni verdi, anche se piccoli». Della stessa idea, pur con toni più pacati, il regista Mario Monicelli che presentò una delle sue prime opere, I ragazzi della via Paal, proprio a Venezia: «Salvare verde e cinema sarebbe l’ optimum, ma tra i due meglio salvare le piante… »”

(Da  http://archiviostorico.corriere.it/2009/febbraio/13/Palazzo_del_Cinema_tagliati_gli_co_9_090213050.shtml )

La cosa più grottesca è che, appena tagliati gli alberi, si è appreso che i soldi per costruire il Nuovo Palazzo del Cinema NON CI SONO

Che fretta c’era, maledetta primavera???

Vi invito a visitare il sito:

http://cdn.avaaz.org/it/europe_green_recovery

(Foto di Lucio Angelini)

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Lunedì, febbraio 16, 2009 

STRAGE DI PINI AL LIDO DI VENEZIA

Questo il manifesto con l’annuncio dell’affollatissima assemblea tenutasi qui al Lido di Venezia il 10 febbraio scorso nella sede della Municipalità e organizzata dal coordinamento delle associazioni ambientaliste locali. Tutti gli intervenuti si sono dichiarati contrari all’abbattimento dei pini ultracinquantenari dell’area antistante l’ex Casinò per fare spazio al Nuovo Palazzo del Cinema… Vedi il mio post del 29 gennaio scorso:

http://lucioangelini.splinder.com/post/19685749/ALBERICIDIO+AL+LIDO+DI+VENEZIA

Qualche ora dopo, non è mancata la risposta dei politici veneziani… 

«In questi mesi le associazioni ambientaliste e i cittadini del Lido, anche attraverso la raccolta di 2500 firme, si erano battuti in difesa della maestosa pineta. «È un giorno di amarezza e rabbia – ha commentato l’Associazione vegetariana di Venezia – hanno vinto l’incultura e l’inciviltà. I progetti devono essere fatti adattandoli all’ambiente esistente». (Dal Gazzettino del 12 febbraio scorso)

Un lettore di Gazzettino.it ha commentato:

«E questo non è ancora nulla: aspettiamo di vedere i DANNI IRRIVERSIBILI comportati dal Mose. Il gioco delle correnti è già stato stravolto dalla creazione dell’isola artificiale in cemento proprio di fronte alla bocca di porto di San Nicolò. La meta finale, ovviamente, è la riduzione della laguna di Venezia a mero stagno putrescente… per la gioia delle imprese che si cuccheranno tutti quei bei soldoni, e la disdetta della nuova generazione di veneziani, ormai esclusi da ogni possibilità d’accesso all’acquisto di una casa… (gli ultimi contributi all’acquisto della prima casa risalgono al 2003).»

AGGIORNAMENTO

Circa un’ora fa (verso le 15.00 di oggi) ho ripreso l’abbattimento di un altro pino. Aggiungo due foto: “Sta cadendo” + “È caduto”:

 

(Foto di Lucio Angelini)

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Lunedì, gennaio 25, 2010

I DIECI GIORNI DI TOMMASO CACCIARI. DICHIARAZIONE DI INDIPENDENZA

Il sindaco di Venezia Massimo Cacciari ha un nipotino irrequieto (Tommaso Cacciari, figlio di suo fratello Paolo)

che, invitato a contribuire al volumetto “SE IO FOSSI SINDACO”, edito da Venice is not sinking,

http://www.veniceisnotsinking.it/ 

ha firmato il seguente programma di lavoro per i suoi eventuali primi dieci giorni:- ) 

Il primo giorno del mio insediamento manderei la forza civica (credo siano i vigili urbani) a prelevare ed espellere dalla città il CdA del Consorzio Venezia Nuova, mettendo fine alla devastazione sconsiderata delle bocche di porto. Confiscando i beni (pubblici) del potente monopolio (privato) di costruttori e cementificatori, inizierei le opere necessarie a combattere le acque alte tutte (non solo quelle eccezionali!) con interventi veloci, efficaci ed economici che dopo anni di dibattiti solo i ciechi si ostinano a non vedere. 

Il secondo giorno negherei alle mostruose meganavi porta turisti o porta petrolio l’accesso alla nostra fragile città: non solo perché sono orribili, oscurano il sole, intorbidiscono le acque, ma perché dobbiamo alzare i fondali dei canali portuali, vere autostrade per l’onda di marea ed impedire che la Laguna diventi un braccio di mare. Dobbiamo anche salvare i nostri polmoni: una nave emette le stesse emissioni di 14.000 automobili. 

Il terzo giorno accetterei l’offerta di militari governativi per un’operazione di peacekeeping nelle nostre acque: lagunari a sbancare barene finte, isole di fanghi e argini di cemento per garantire la libera circolazione delle acque, la “respirazione” della Laguna: e caschi blu a fermare le onde, con buona pace delle nostre mafiette di lance, lancini e lancioni. 

Il quarto sarebbe il giorno delle verifiche: se Gianni (settant’anni suonati) partendo dalla Bucintoro arriva sano e salvo con la sua mascareta alla Giudecca, festa: musica, regate, fuochi d’artificio e tuffi dalle rive. Una giornata di gioia per ricordare il ritrovato rapporto della città con le sue acque, fondamento del suo “miracolo” e del suo splendore. 

Il quinto, sesto e settimo giorno mi dedicherei, per bloccare e invertire l’esodo, alla ricerca e all’immissione di nuova cittadinanza. In due mosse. Casa: tutti devono averne una dignitosa ad un costo dignitoso, anche i precari, i migranti o gli studenti (oggi ignorati dalle graduatorie) che devono aver la possibilità di scegliere se diventare cittadini veneziani anche dopo gli studi o il periodo di lavoro. Reddito (garantito): se Venezia è la città più cara d’Italia, d’Europa, del mondo… come facciamo a viverci? I soldi li prenderei agli albergatori, ai tour operators e a tutti coloro che in questi decenni hanno usato l’immagine della nostra città prendendo a costo zero bellezze artistiche e ambientali e rivendendole ai prezzi più alti del mondo. È ora che restituiscano qualcosa. 

L’ottavo giorno ripristinerei tutti i vecchi traghetti de palada, così che i cittadini possano muoversi più agilmente per la città e possano recuperare il contatto con questa magica imbarcazione. Certo dovrebbe costare meno (con tutto quello che si risparmia col fisco…) e bisognerebbe prima imporre un corso accelerato ai nostri amati gondolieri, non di voga, ma di educazione, quel tanto che basta per non essere accolto a bestemmie dopo un quarto d’ora che aspetti il traghetto a San Stae. 

Il nono giorno decreterei la chiusura di ogni impianto nocivo del petrolchimico e la riconversione di tutto il polo industriale in produzioni compatibili e sostenibili, per la creazione di posti di lavoro contro la crisi e per evitare di saltare tutti in aria se i signori della Dow Chemical, come hanno fatto a Bhopal, dovessero trovare poco convenienti le manutenzioni ai vetusti impianti. 

Il decimo giorno, se fossi ancora vivo, dichiarerei l’indipendenza. 

                                 (Tommaso Cacciari, studente-lavoratore)

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Venerdì, giugno 04, 2010

UNA SCULTURA DISEDUCATIVA

 

Non vi ricordate il nome dell’autore del “Ragazzo con la rana”, la controversa scultura installata alla Punta della Dogana di Venezia? Be’, pensate al cantante Ray Charles, invertite i due elementi e avrete di colpo il nome che vi serve: Charles Ray.

Conclusa la Biennale, la statua è sempre lì, ma a Venezia si ingrossano le file di quanti ne chiedono a gran voce la rimozione e sostituzione con l’originaria lanterna. 

http://www.facebook.com/group.php?gid=125845647432206

Una protesta del tutto particolare è quella di Cristina Romieri, nota animalista e ambientalista veneziana, di cui il 1°giugno scorso è apparsa sul Gazzettino di Venezia la seguente lettera:

VIA IL RAGAZZO CON LA RANA     

«Aderiamo alla richiesta già sottoscritta da molti abitanti per rimuovere il “Ragazzo con la rana” di Charles Ray dalla Punta della Dogana, facendo ritornare ai veneziani (già abbastanza espropriati) l’originale lanterna. Da subito, giusto un anno fa, avevamo espresso la nostra contrarietà a tale collocazione (oltretutto prorogata, come le due mostre della collezione Pinault) anche perché per noi è una scultura profondamente diseducativa nei confronti degli animali. La rana è un essere vivente e senziente, non un oggetto da tenere appeso a testa in giù, quasi a “vivisezionarlo” mentalmente. Già nella quotidiana realtà subisce torture (a scopi pseudo-scientifici) e sadismi. “È un giovane – aveva spiegato Pinault a proposito del ragazzo con la rana – che guarda lontano come fa Venezia”. Guardare lontano per noi significa soprattutto rispettare gli esseri viventi, rane comprese. E costruire per la nostra città un futuro che si armonizzi con la sua anima, senza svendita alcuna.»     

(Cristina Romieri, Associazione Vegetariana)

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Venerdì, novembre 05, 2010

UNA MIA RECENTE LETTERA AL PROFESSOR GIANFRANCO MOSSETTO

«Gentile professor Mossetto,

sono reduce dall’affollatissima assemblea tenutasi nel pomeriggio di oggi 25 ottobre al cinema Astra del Lido di Venezia su ambiente e sanità, organizzata dal coordinamento associazioni ambientaliste del Lido (“Un altro Lido è possibile”). I lidensi sono estremamente preoccupati per le prospettive di cementificazione forzata e forsennata dell’isola, un tempo bella per il suo verde, la sua tranquillità, i suoi angoli ancora selvaggi. Dopo la distruzione della pineta per far posto all’orrendo neo-palazzo del cinema, ora si vuole lo smantellamento del monoblocco, la distruzione delle aree dunali protette dal WWF, la distruzione del Parco delle Rose e della Favorita, la creazione di una megadarsena che finirà per inquinare le stesse acque di balneazione…
      Posso chiederLe che cosa spinge un uomo della sua età a voler lasciare un così cattivo ricordo di sé? Mi consta che la vita non Le abbia lesinato soddisfazioni professionali e pecuniarie. Che bisogno ha di spendere le sue residue energie nel guidare un gruppo – l’ Est Capital – all’assalto sistematico dei tesori dell’isola? Non esiste solo il dio Profitto, creda. Ci sono anche valori quali il rispetto dell’ambiente e dei diritti di una collettività che si sta mobilitando per difendere il proprio territorio. Rifletta, dunque.»(1)     

Lucio Angelini,  Lido di Venezia


(1) L’appello è stato riportato dal Gazzettino di Venezia lo scorso 3 novembre.

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Martedì, aprile 26, 2011

FUORI LE MAXI NAVI DAL BACINO DI SAN MARCO!

Egr. Ministro alla Cultura  Dott. Giancarlo Galan

Egr. Presidente della Regione del Veneto Dott. Luca Zaia

Gent. Presidente della Provincia di Venezia Dott.a Francesca Zaccariotto

Egr. Sindaco del Comune di Venezia Dott. Giorgio Orsoni

Egr. Presidente dell’Autorità Portuale di Venezia Dott. Paolo Costa

Egr. Presidente Venezia Terminal Passeggeri Dott. Sandro Trevisanato

Egr. Comandante Capitaneria di Porto di Venezia C.A. Tiberio Piattelli

A mezzo Raccomandata A. R.

 TENETE LE MAXI-NAVI FUORI DAL BACINO DI SAN MARCO.

Ci rivolgiamo a Voi, ognuno per le specifiche competenze, perché riteniamo sia necessario che procediate quanto prima alla bonifica del Bacino di San Marco dal traffico delle navi-traghetto e delle navi da crociera. Riteniamo che il passaggio per il Bacino di San Marco di navi enormi (629 nel 2010), fuori scala, comporti gravi danni ai suoi abitanti, alla città ed alla laguna compromettendone la salute, il patrimonio monumentale e l’equilibrio ambientale. 

DANNI ALLA SALUTE DEI CITTADINI.

Non ci rassicurano le dichiarazioni dell’Autorità Portuale in merito ai fumi emanati dalle navi da crociera e, soprattutto, dalle navi-traghetto. Chiediamo vengano pubblicati i dati dei controlli effettuati dalla Capitaneria di Porto in “attuazione della direttiva 2005/33/CE in relazione al tenore di zolfo del combustibile marittimo” a partire dalla data della pubblicazione del Decreto Legislativo 205 del 9/11/2007.

Quando questi navigli sono ormeggiati in Marittima la qualità dell’aria nella zona ovest della città peggiora drasticamente, siamo quindi ancora ben lontani dall’aver raggiunto una situazione meno che accettabile. Chiediamo perciò un’applicazione più rigida del decreto.

Le misurazioni, ufficiali ma di parte, tranquillizzanti sulla rumorosità, sulle vibrazioni e sull’inquinamento da fonti elettromagnetiche non sono compatibili con il reale vissuto dei nostri concittadini e ospiti. Ancorché la riduzione della qualità della vita non sia commensurabile con alcuna strumentazione chiediamo verifiche da parte di organi indipendenti su tutti questi effetti della portualità.

Poiché è la concentrazione di navi contemporaneamente all’ormeggio che peggiora le condizioni ambientali chiediamo al Sindaco di pretendere una programmazione di arrivi maggiormente distribuiti nella settimana.

Conosciamo le iniziative (“Porto Verde”) che l’Autorità Portuale ha in progetto per minimizzare l’impatto ambientale delle attività portuali, ma non possiamo più accettare la tempistica che viene prospettata. Troppi i tre anni di recente annunciati per il trasloco del traffico traghetti verso il terminal di Fusina (385 navi nel 2010, anno della crisi greca, che hanno trasportato 162.000 veicoli transitanti sul Ponte della Libertà) senza che qualcosa venga fatto subito, per migliorare almeno la qualità dell’aria e la rumorosità, sia al passaggio che all’ormeggio.

Inaccettabile che la messa in sicurezza ambientale del porto non sia priorità emergenziale in un ecosistema come quello lagunare ed abbia invece scadenze inarrivabili. Chiediamo invece sia data priorità immediata ai finanziamenti per le finalità ambientali,troppo spesso le necessità economiche sono portate a giustificare qualsiasi scempio! 

DANNI ALLE STRUTTURE E AGLI EDIFICI CITTADINI ED IMPATTO VISUALE.

Vi è un gravissimo problema di moto ondoso: non si tratta dei treni d’onda minuziosamente misurati dal sistema di monitoraggio “stereo-fotogrammetrico” messo in funzione dall’Autorità Portuale ben sapendo che queste navi non fanno onde, ma degli effetti subacquei del risucchio (dissesto ed erosione) che ogni loro passaggio comporta; gli esiti sono devastanti, anche se non sempre immediatamente visibili, e coinvolgono tutte le strutture architettoniche sommerse, non solo in Bacino e in Canale della Giudecca, ma anche i molti canali afferenti, oltre che fondali e gengive di canali lagunari, velme e barene (ricordiamo qui solo la rottura dei quattro cavi d’ormeggio in acciaio di un ferry boat tranciati al passaggio di una nave da crociera proprio a causa del risucchio provocato nel novembre 2009).

Chiediamo, alla Capitaneria di Porto ed alle Autorità competenti, un immediato divieto ai passaggi con maree inferiori allo zero marino, livello sotto il quale i fenomeni di erosione aumentano enormemente.

Il tenore di zolfo emanato ancora dalle navi, come accennato, non smette di intaccare i marmi e le pietre della città contribuendo alla loro distruzione con il fenomeno della solfatazione.

Da approfondire e verificare anche l’effetto reale delle vibrazioni subite dagli edifici al passaggio delle navi; in special modo i traghetti provocano rumori e vibrazioni percepibili con diversi minuti d’anticipo anche a notevole distanza, effetti che sembrano tutt’altro che rassicuranti e sullo studio dei quali è necessario un approfondimento da parte di ente autonomo.

Non da ultimo pensiamo che le dimensioni di queste navi siano eccessive creando un impatto visuale estremamente negativo, un salto dimensionale che de-valorizza lo skyline urbano, che deprime il patrimonio architettonico e svilisce il paesaggio naturale e naturato. Su questi assunti chiediamo un pronto e doveroso intervento del Ministro alla Cultura, con la Sovraintendenza, per garantire la conservazione e la “tutela del patrimonio culturale” in base ai primi tre articoli del Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio.

Pensiamo sia necessario che la città si riappropri della Marittima e che questa abdichi al ruolo di grande porto passeggeri limitandosi al piccolo cabotaggio e al già richiesto porticciolo per yacht.

DANNI ALLE ACQUE ED ALLA MORFOLOGIA DELLA LAGUNA.

Abbiamo già accennato agli effetti della sottopressione, delle correnti di risucchio, che il passaggio di navi di forte sezione immersa provoca sui margini dei canali urbani; tanto maggiori sono gli effetti negativi sui fondali e sulle gengive dei canali lagunari. Assistiamo quotidianamente ad un incessante lavoro di erosione di velme e barene che stanno scomparendo a velocità più che preoccupante. L’escavo dei canali per consentire e migliorare il passaggio a navi sproporzionate ed il moto ondoso anche da esse provocato comportano annualmente la perdita di milioni di metri cubi di sedimenti dalla nostra laguna che, così, sta velocemente trasformandosi in un braccio di mare.

Chiediamo anche verifiche da parte di organi indipendenti sull’inquinamento delle acque della laguna provocato dagli scarichi e dal rilascio di particelle di prodotti antivegetativi presenti sulle enormi superfici delle navi; non dimentichiamo poi i rischi continui di fuoriuscite di carburante e altri inquinanti.

Pensiamo perciò che l’intera laguna non possa più essere attraversata da navi di dimensioni inaccettabili per il suo equilibrio.

Non vogliamo che Venezia rinunci alla componente economica proveniente dalla portualità ma pretendiamo che ciò avvenga nel rispetto, se non nel miglioramento, dell’ambiente e della qualità della vita in città!

In questo senso chiediamo un’approfondita verifica dei reali benefici economici portati all’economia ed all’Amministrazione cittadina da questo traffico, sempre in aumento. Una recente esternazione del Sindaco di Jesolo, che vede le crociere come antagoniste al turismo balneare, ci spinge anche a chiedere se il tornaconto economico derivante dall’indotto del traffico crocieristico non sia concorrente a una diversa gestione di un turismo di qualità; se la quantità di fugaci visite non sia dannosa all’immagine di una città da scoprire, lentamente, per le sue intrinseche e numerose qualità

Quale stimolo al trasloco del Terminal dalla Marittima, proponiamo che venga studiata una tassa da far pagare quanto prima ai crocieristi perché pensiamo che essi debbano versare un contributo anche alla città, oltre alle imposte portuali incassate dall’Autorità Portuale senza ricadute sulla salvaguardia di Venezia, delicato organismo urbano e sociale inserito in un fragile ambiente lagunare.

Chiediamo infine a Comune e Provincia di avviare da subito con l’Autorità Portuale e la città un dibattito pubblico per un nuovo modello di sviluppo dell’attività portuale, finalmente compatibile con l’ambiente.

[Saverio Pastor, Venezia Civiltà Anfibia, Associazione Arzanà, 40xVenezia, Io Decido, Associazione Settemari, Circolo Culturale Olivolo, Pax in aqua, Associazione Vela al Terzo eccetera…]

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Martedì, aprile 19, 2011

LO STUPRO PREMEDITATO DI VENEZIA

(Cristina Romieri introduce il dibattito sui “fatti e misfatti” del Lido di Venezia)

Lido di Venezia, 18 aprile 2011. Torno ora – depressissimo – dall’ennesima assemblea tenutasi al cinema Astra (sala piena) del Lido per dibatterne le prospettive di sviluppo. Da un lato i nostri politici assicurano di avere a cuore solo il rilancio dell’isola e la volontà di rinverdirne i perduti fasti balneari.  Dall’altro la realtà progettuale emersa dai vari interventi, per esempio quello del segretario dell’associazione “Pax in aqua” William Pinarello,  è la seguente:  una megadarsena da 1750 posti  barca a ridosso dell’oasi di San Nicoletto, per giunta cintata verso la spiaggia da un alto muro che coprirà la vista della sottile striscia della diga. Che meraviglia contemplarlo dalla spiaggia! Di là da esso un nastro d’asfalto largo circa venti  metri con cui favorire il viavai delle auto per raggiungere i natanti ormeggiati. Ogni quattro posti  barca è previsto un posto macchina. Per arrivare alla darsena occorrerà aggiungere tutto un retroterra di infrastrutture impattanti. Le auto arriveranno al Lido, ovviamente, via ferry-boat. Poiché il servizio è già discretamente problematico ora, si immagina di quanto potrà peggiorare dopo un tale incremento di passaggi. Magari l’amministrazione dovrà acquistare da qualche armatore greco qualche altra carretta del mare (come nell’esperienza già avvenuta) da adattare a ferry boat spendendo per ciascuna di esse il doppio del costo di un ferry nuovo di zecca commissionato in loco…  Ma la cosa che più ha inquietato i lidensi  è stato apprendere che l’inquinamento prodotto dalle imbarcazioni attirate nella darsena si estenderà fino all’hotel Excelsior. Infatti le onde di marea ruotano in senso anti-orario e tutti i reflui, bloccati dai works attualmente in progress,  verranno continuamente ri-sospinti proprio negli specchi d’acqua della balneazione. Al posto della bandiera blu, le spiagge del Lido non tarderanno a conquistare la  bandiera nera e i turisti scapperanno. Altro che nuovi fasti! Solo il definitivo declino dell’isola.  Il monoblocco , presidio sanitario da poco restaurato con circa 5 milioni di euro di danaro pubblico, verrà abbattuto perché senza questa concessione la nuova effettiva padrona del l’isola, la Est Capital dell’ineffabile professor Mossetto (candidato al prossimo premio Attila), non avrebbe accettato di acquistare il complesso dell’ex ospedale, transazione grazie alla quale il comune ha evitato per il rotto della cuffia la bancarotta. Con i soldi della svendita del monoblocco dovrebbero in teoria ripartire i lavori del nuovo e orrendo palazzo del cinema (il “sasso”), là dove oggi, al posto della pineta distrutta, si può solo ammirare una desolata voragine:  il Ground Zero de noantri. Ma la darsena non è il solo progetto immaginato per la soluzione finale del Lido. Ci sono i due piani ipogei di garage sotto le palazzine di quattro piani con cui verrà rimpiazzato l’attuale Parco delle Rose, e poi il Centro Benessere di Malamocco con cui verrà sancito l’addio per sempre al recupero della linea di fortificazioni dell’isola eccetera .

Uscendo dalla situazione contingente del Lido e allargando il discorso alla “città metropolitana”, faccio presente di aver seguito tutti i recenti dibattiti sul Pat (Piano di Assetto Territoriale) organizzati dalle varie associazioni ambientaliste o in vario modo interessate alla salvaguardia di Venezia e della sua laguna (Coordinamento Io Decido, Quaranta per Venezia, Venessia.com e via discorrendo) . Il quadro che ne ho tratto mi ha messo addosso un grave senso di indignazione. Il dio danaro trionferà contro ogni millantata intenzione di rinuncia a ulteriore “consumo di suolo” o di tutela dell’ambiente:  la città, già tripolare suo malgrado a dispetto di ogni sforzo unificatore (Venezia-Mestre-Marghera) diventerà quadripolare con l’aggiunta di Tessera City, una città tutta da inventare, ma per la quale sono già state previste infrastrutture imponenti . Grazie ad esse, si mira ad attirare gli investimenti di palazzinari e cementificatori  di ogni parte del mondo proprio laddove la gronda lagunare è più facilmente soggetta ad allagamenti. Bonificare Marghera, infatti, li invoglierebbe meno…   E che dire della fermata TAV contemplata all’altezza dell’aeroporto o della nuova direttrice Dese-Aeroporto-Murano-Arsenale-Lido da realizzarsi con probabile sublagunare, a costo di scardinare definitivamente il fondo della laguna? Nessuno che ascolti il grido d’allarme lanciato da Stefano Boato e da Armando Danella: senza una rapida inversione di rotta la laguna di Venezia è destinata a scomparire per sempre, trasformandosi in un braccio di mare (o baia marina) per la sempre più drammatica perdita dei sedimenti fini.  L’equilibrio idro-geologico della laguna dovrebbe essere considerato il problema prioritario. Qualunque intervento che comporti il rischio di  alterarne la stabilità dovrebbe essere automaticamente cassato. Bisogna trovare il coraggio di dire no al passaggio delle grandi navi in bacino San Marco. Quanto al Mose, non c’è naturalista che non sappia come esso sia perfettamente funzionale solo al disegno di favorire la Grande Portualità, con cui andrà a farsi definitivamente a benedire ogni progetto di conservazione della laguna.

Pensare che Venezia è amata da tutto il mondo proprio per le caratteristiche con cui ci è stata consegnata dalle generazioni precedenti, le stesse che i suoi figli degeneri stanno oggi facendo il possibile per stravolgere. La sua specificità va tutelata. Venezia deve restare la città della bellezza e della lentezza, con le sue tradizioni e il suo stile di vita. Solo conservandola, ripopolandola di residenti (e non di turisti) tenendola viva  e restaurandola continuamente potremo meritarci la gratitudine, anziché le maledizioni delle generazioni a cui a nostra volta dovremo inevitabilmente consegnarla…  se non vogliamo essere da esse considerati i loro “morti cani”.  Non pensiamo solo ai profitti immediati. Al diavolo il cemento e la velocità. Al diavolo gli affaristi senza scrupoli. Veneziani, svegliamoci dal torpore! Diciamo no al sacrificio premeditato di Venezia e della sua laguna. Esigiamo pubbliche consultazioni della cittadinanza ogni qualvolta siano in gioco decisioni cruciali per i destini futuri di questa irripetibile città.

Si veda anche:

http://salviamovenezia.wordpress.com/2011/04/20/un-appello-per-il-lido-di-venezia/

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Lunedì, aprile 11, 2011

CRISTIANO GASPARETTO DI ITALIA NOSTRA SULLE CRITICITÀ DI VENEZIA

http://www.youtube.com/watch?v=YGZYVunYhKU  

– una laguna che, se scaviamo ancora, fra quattro anni non esiste più

– un porto passeggeri e merci che si progetta di ampliare nell’acqua farinosa di 30 cm di Dogaletto

– un Mose che, crescendo il livello medio dei mari, sarà chiuso 160-170 volte l’anno

– un turismo in crescita di 21 milioni di persone all’anno…

– 372 ha di impermeabilizzazione del suolo della gronda lagunare previsti dal nuovo Piano di Assetto Territoriale…

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Venerdì, giugno 24, 2011

SUPPLICA AGLI AMMINISTRATORI VENEZIANI

(L’assessore Micelli all’aeroporto del Lido per l’incontro su “Quale disegno urbano per il Lido di Venezia?”)

Dopo aver presenziato a un’infinità di convegni, confronti, assemblee sui futuri progetti per Venezia e il Lido (buon ultimo quello di ieri pomeriggio all’aeroporto Nicelli), sono giunto a una semplice conclusione: meglio sarebbe per tutti i veneziani e per i lidensi in particolare che amministratori vecchi e nuovi la smettessero di progettare alcunché e si occupassero della semplice manutenzione dell’esistente. Dovunque mettano le mani, infatti, creano danni irreversibili con ingente sperpero di danaro pubblico. Ora cercano di far passare per RILANCIO DEL LIDO la mera svendita dell’isola all’Est Capital, il cui solo scopo sarà massimizzare i profitti degli investitori privati senza alcun riguardo per le esigenze dei residenti. Riassumo: al Lido si viene soprattutto a fare il bagno d’estate. La nuova darsena e le dissennate cementificazioni concepite dall’agenzia del nuovo Attila professor Mossetto inquineranno inesorabilmente le acque di balneazione con reflui d’ogni sorta, che il giro anti-orario delle correnti spingerà su tutto il litorale fino all’Excelsior e oltre. A quel punto ciò che inizierà sarà non già il rilancio, bensì il progressivo decadimento dell’isola, in cui nessuno verrà più a trascorrere alcuna vacanza.
L’assessore Micelli – specializzato nell’indorare qualsiasi tipo di pillola gli venga impartito di far ingurgitare a chi lo va ad ascoltare – non ha mancato nemmeno oggi di magnificare il progetto di un nuovo Palazzo del Cinema per rilanciare la Mostra, come se in quattro anni non fossero già stati sperperati quaranta milioni di denaro pubblico con il solo risultato di aver creato una voragine.
Amministratori vecchi e nuovi, vi supplico: non progettate più nulla! Se vi resta un po’ d’amore per Venezia, smettetela di aggiungere schifezza a schifezza (nuovi imbarcaderi del Lido, Blue Moon, Grande Buco nel piazzale del Casinò), limitatevi alla mera conservazione dell’esistente. Farete migliore figura e vi risparmierete le maledizioni dei posteri. (Lucio Angelini)

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Domenica, agosto 28, 2011

ECCO IL NUOVO PALAZZO DEL CINEMA AL LIDO DI VENEZIA

Dove un tempo esisteva questa bella pineta storica, nei pressi dell’ex Casinò al Lido di Venezia, abbattuta per far posto al Nuovo Palazzo del Cinema, oggi c’è solo un enorme buco per scavare il quale sono stati già sperperati 40 milioni di euro di danaro pubblico.

A rendere desolatamente monco anche l’esistente, si è pensato di amputare il già brutto palazzo dell’ex Casino del Lido della sua scalinata d’accesso.

Lo scandalo del Nuovo Palazzo del Cinema di Venezia, che nessuno porterà più a compimento per mancanza di fondi (vedi post del 24 agosto scorso), sta facendo il giro del mondo come macroscopico esempio di amministrazione dissennata del territorio e di sperpero di fondi pubblici. Sarebbe proprio il caso, in un’epoca di tagli come la presente, che venisse tagliata anche qualche testa… almeno politicamente.

Ricordiamo i seguenti appuntamenti dell’associazione “Un altro Lido è possibile“:

 1) mercoledì 31 agosto, alle ore 15, in Albergo “Quattro Fontane” (adiacente al Palazzo del Cinema): conferenza stampa per denunciare lo spreco di 37 milioni di euro (soldi pubblici) ed il fallimento del Commissario governativo; 

2) venerdì 2 settembre, alle ore 11,30, in campo Manin a Venezia, in occasione delle celebrazioni del 150° anniversario, saremo presenti con un cartellone; 

3) domenica 11 settembre, alle ore 11, in sala Volpi, la Biennale proietterà l’ultimo video da noi prodotto. 

In più da domani martedì 30 agosto fino a sabato 10 settembre (saltando le domeniche e i lunedì) in ambedue i lati del Gran Viale sarann posizionati cavalletti con manifesti a colori di denuncia.

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Mercoledì, ottobre 19, 2011

VENEZIA OU LES MALHEURS DE LA VERTU

«Se il marchese De Sade fosse un veneziano del nostro tempo, anziché “JUSTINE OVVERO LE DISGRAZIE DELLA VIRTÙ”  scriverebbe senz’altro “VENEZIA OVVERO LE DISGRAZIE DELLA VIRTÙ”. Come Justine, infatti, anche Venezia è bella e virtuosa, ma fatta “zimbello della scelleratezza, bersaglio di tutte le depravazioni, in balia dei gusti più barbari e mostruosi”, costretta agli stupri più inverecondi da parte della cricca di amministratori e speculatori privati che la violano ogni giorno, unicamente interessati al proprio effimero piacere personale (= Profitto Immediato da ottenersi  con cementificazioni, trasformazione della laguna in porto di mare e via discorrendo). Il progetto della sublagunare da infilare nelle viscere della laguna, poi, mi fa pensare al passo in cui l’avventuriero Roland, dotato di un membro  di dimensioni ipertrofiche, pretende di introdurlo nel delicato altare posteriore della ragazza “dovessi squarciarti in due per questo”.  Se penso che la nostra generazione ancora vive dei  lasciti monumentali e urbanistici delle generazioni precedenti, non posso non inorridire all’idea che quelle future potranno solo maledirci per aver ucciso per ingordigia l’intera Gallina dalle Uova d’Oro (se posso passare da De Sade a La Fontaine) anziché accontentarci di  un prezioso piccolo uovo al giorno. Venezia piace ed è celebrata in tutto il mondo per come è, non per come la si vorrebbe trasformare e snaturare. L’unica preoccupazione dei nostri amministratori dovrebbe essere quella di conservarne le caratteristiche e le tradizioni il più a lungo possibile, contrastando l’esodo della popolazione e praticando una seria politica della casa. Al diavolo le opere faraoniche: puntiamo piuttosto sulla manutenzione!» 

                                                Lucio Angelini, Lido di Venezia

(Lettera inviata ai direttori del Gazzettino, La Nuova Venezia, Corriere del Veneto)

BOCL N. 46 (LOREDANA LIPPERINI: LA NOTTE DELLA BLOGGER)

Mercoledì, aprile 18, 2007 

GUENDALINA E IL NUBILATO

Mi sono chiesto se la Guendalina che ha furoreggiato ieri e l’altro ieri nei commenti a Lipperatura sia per caso Paola Rando, l’autrice di “Come restare zitella“.

Ma procediamo con ordine. Il 15 aprile scorso la Lipperini ha pubblicato un post intitolato “IL PERSONALE È POLITICO

http://loredanalipperini.blog.kataweb.it/lipperatura/2007/04/15/il-personale-e-politico/

in cui segnalava “il piccolo ma indispensabile saggio di Maria Letizia Pruna per Il Mulino, Donne al lavoro”.

Ho commentato:

“In effetti è abbastanza insensato che si sia costretti a distinguere tra lavori maschili e lavori femminili, lavori svolti da possessori di un pene e lavori svolti da proprietarie di una vagina. Purtroppo discuterne qui non serve a molto, visto che – a questo livello – credo siamo abbastanza d’accordo su tutto. Speriamo solo che – da una generazione all’altra – il numero degli angeli sessuati del focolare si riduca sempre più a favore di quello degli asessuati, o che ’sto cacchio di focolare venga definitivamente spento e ci si rifocilli tutti alle mense aziendali:- ) (Postato lunedì, 16 aprile 2007 alle 9:42 am da Lucio Angelini )

Il giorno dopo, in “DETTAGLI”

http://loredanalipperini.blog.kataweb.it/lipperatura/2007/04/16/dettagli/

Loredana ha aggiunto “qualche dato tratto dal medesimo saggio”:

«Il nostro paese ha il più basso livello di partecipazione femminile al mercato del lavoro tra tutti i 25 stati membri dell’Unione europea, e figura al terzultimo posto tra i 30 paesi aderenti all’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse). Le donne che lavorano a tempo pieno sono 6 milioni e mezzo, pari al 74,4% dell’occupazione femminile; gli uomini sono invece 13 milioni, pari al 95,4% di quella maschile. Le donne che lavorano a tempo parziale sono quasi il 26%, contro appena il 4,6% degli uomini. In Italia, in media, tra le donne di età compresa tra i 30 e i 50 anni il tasso di occupazione sfiora l’84% se sono nubili, scende al 71% se coniugate e si riduce al 50% se sono madri.»

Nei commenti è intervenuta PAT:

“Gentile Sig.ra Lipperini, pochi giorni fa mi sono permessa di dare una mia personale valutazione su due parole dall’enorme valenza ‘pari opportunità’, e sull’anno che dovrebbe celebrarle a livello europeo. Inutile dire lo sconforto, la tristezza che provo di fronte alla realtà. Sono una mamma-lavoratrice, ma per seguire da vicino la mia famiglia ho dovuto rinunciare alla crescita nella professione. Non rimpiango la scelta e mi ritengo fortunata di avere un lavoro. Solo, non venitemi a parlare di ‘pari opportunità’!!” 

Ed ecco balzare fuori GUENDALINA:

“Cara Pat, presto sarà la festa della mamma. Le sembra poco? Una festa tutta per lei, a compenso di tanti sacrifici… Però, se aveva le idee così poco chiare sui suoi desiderata, perché non ha scelto il nubilato? E’ ovvio che nessun uomo potrà mai partorire e allattare al posto della donna: questo tipo di opportunità è loro negato ed è tutto a favore delle donne.”

Pat:

“Sig.ra Guendalina, chiedo venia perchè forse non mi sono espressa bene. Spiace che lei non abbia compreso il mio commento. Fa niente. Mi godrò appieno la festa della mamma, così come ogni giorno apprezzo i miei sacrifici nel mondo del lavoro. La mia vita è piena e completa e ne sono orgogliosa. E la sua?”

Guendalina:

 “Forse lei voleva capra e cavoli. Figli-casa-marito (di cui non occuparsi) più un lavoro in cui essere libera di far carriera. Ma la vita è fatta di scelte. I figli, una volta fatti, hanno a lungo bisogno della mamma. Poiché non è scritto da nessuna parte che ci si debba sposare per forza, ripeto: perché non ha scelto il nubilato? O un marito progressista disposto a condividere al 50% i carichi domestici? Ce ne sono, sa?”

Pat:

“Sig.ra Guendalina, mi permetto di rispondere alla sua arroganza e forse alle sue frustrazioni con una domanda: Com’è la sua vita? Se fosse piena e serena come la mia (e di tante altre donne come me) i suoi toni sarebbero diversi. Non è mai troppo tardi. O si? Chiedo scusa alla sig.ra Lipperini. Questo è il mio ultimo commento. Non mi piacciono le polemiche; tanto meno quelle sterili. Scusi ancora.”

Liber:

“Molto interessante il commento di Guendalina, mostra il vero male del nostro paese. Le donne devono ‘scegliere’ fra lavoro e famiglia e se pretendono entrambe le cose sbagliano. I figli sono una faccenda delle donne (e non della famiglia e della società, come nei paesi un pochino più progrediti), e le donne devono ‘scegliere’ fra l’autonomia (perchè il lavoro è innanzi tutto autonomia), la soddisfazione (come ci permettiamo a volerne troppa!)… pare che se vogliamo un po’ di soddisfazione lavorativa dobbiamo pagare un prezzo sulla famiglia (neanche i figli si facessero per se stesse). Questa arretratezza culturale ci sta portando ad essere un paese privo di bambini.”

Guendalina:

“Liber, la trovo così veterofemminista.”

Liber:

“Grazie, detto da te è un complimento.”

Guendalina:

“Nubilato! Nubilato! Questa è la nuova frontiera. Che i figli li facciano le donne all’antica, se proprio ne hanno voglia. Alle donne moderne non può fregare di meno di accollarsi simili intralci alla carriera. Ha scritto di recente Galimberti: ‘Sarebbe davvero interessante sapere quante donne e quante femmine animali resterebbero gravide senza la mediazione del piacere sessuale, dal momento che la prole può vivere unicamente grazie al sacrificio degli individui che l’hanno generata, come ogni madre sa sul suo stesso corpo e come ogni padre oggi, sia pure con grave ritardo, incomincia a percepire.’ ”

Ghega:

“Guendalino, smettila, togliti la parrucca e le scarpe di mamma, se vuoi sperimentare del sano travestitismo ci sono ottimi locali in cui puoi essera addirittura la Carrà (Carrà per una notte, wow!).”

Guendalina:

“Ghega, vedo che ha dimestichezza con certi locali. Forse li frequenta lei. La lettera di Pat era chiarissima: ‘Inutile dire lo sconforto, la tristezza che provo di fronte alla realtà. Sono una mamma-lavoratrice, ma per seguire da vicino la mia famiglia ho dovuto rinunciare alla crescita nella professione.’ Ripeto: ‘Nubilato! Nubilato!’ E’ il solo rimedio allo sconforto e alla tristezza di fronte alla realtà dei sacrifici professionali comportati dalla prole.”

Lipperini:

Guendalina/o si diverte. Purtroppo il mio senso dell’umorismo, stamattina, è basso.

Valentina 2:

“Nubilato, Nubilato… il solo rimedio?… mah… invece di fare un serio tentativo di far valere i diritti delle donne affinchè siano considerate TOTALMENTE pari agli uomini… le donne si difendono così… proponendo un nubilato… Va ben, se le donne non sono le prime a far valere i propri diritti… la nostra situazione non cambierà mai.”

Guendalina:

“Ultimo intervento: le nostre nonne erano allevate nel terrore di restare ‘zitelle’, per cui si affrettavano a ‘sistemarsi’ il più in fretta possibile e a farsi trombare ‘non per piacer mio ma per piacere a Dio’. La rivoluzione consisterà nello scegliere, guarda caso, lo status un tempo così abborrito. Nubilato! Nubilato! Carriera! Carriera! Volete mettere la soddisfazione di avanzare senza intralci nella carriera anziché occuparsi di fagotti urlanti, spisciolanti e scagazzanti?”

Valentina 2:

“Quindi riassumiamo alcuni stereotipi:

STEREOTIPO DONNA 1 Donna=sposa=madre=allattare=crescerefigli=casa=pulizie=donna classica casalinga, o moglie, che sta a casa a preparare la cena al marito e a crescere i figli, nonchè a fare le pulizie con i bigodini in testa.

STEREOTIPO DONNA 2 Donna=carriera=zittella=nietefigli= donna isterica perchè zittella= lavoratrice ma mai pari agli uomini= finchè in questa società ci sono tante donne che criticano le amancipate, che criticano le donne in carriera, che criticano chi si è ralizzato (invidia?), ci sarà sempre discriminazione. Non dico che necessariamente una donna deve anche lavorare, ma è un DIRITTO SACROSANTO il poter scegliere di lavorare ed avere figli, o di lavorare non avere figli, o di avere figli e stare a casa. Non riduciamo le nostre scelte a ciò che è meglio per l’uomo, perchè i figli si fanno in 2!!!”

Guendalina:

“Valentina2, la invito ad aggiungere agli stereotipi 1 e 2 questa terza alternativa, da me additata a Pat: ‘Poiché non è scritto da nessuna parte che ci si debba sposare per forza, perché non ha scelto il nubilato o un marito progressista disposto a condividere al 50% i carichi domestici? Ce ne sono, sa?’ Però, se fossi un bimbo in mano a dei genitori che anteponessero le loro carriere a me, li manderei dritti affanculo e ricorderei loro: ‘Chi vi ha chiesto di mettermi al mondo? Non certo io, che non c’ero ancora’.”

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15 maggio 2007

Scrive Loredana Lipperini qui: http://loredanalipperini.blog.kataweb.it/lipperatura/2007/05/15/five/

FIVE

Babsi mi coinvolge sui cinque buoni motivi per tenere un blog. In genere sono recalcitrante per quanto riguarda le catene di Santa Rete, ma questa volta accetto. Ecco.

1. Guardarsi intorno. Incontrarsi e scontrarsi con persone che difficilmente si sarebbero conosciute nel proprio ambiente.
2. Scrivere tutti i giorni (almeno per me): ovvero, tenere fede ad un impegno con se stessi e contemporaneamente dotare di nuovi strumenti quella che Stephen King chiama “la cassetta degli attrezzi”.
3. Usare uno stile di  scrittura diverso da quello destinato alla carta. Lasciarsi andare. Tornare a divertirsi con le parole.
4. Backstage: cosa c’è prima, dietro, intorno ad un progetto di scrittura (libro, articolo, saggio). Double gift: si offre e si riceve (consigli, suggerimenti, critiche [ah ah ah!!! n.d.r.] , approfondimenti).
5. Approfondire: temi, idee, narrazioni. Proprie e altrui. In tempi e modi che su carta sarebbero impossibili. Infatti lo sono: a chi non è capitato di pensare “ancora?” leggendo o ascoltando di argomenti già lungamente dibattuti in rete?

Commenti:

Benissimo. Belle risposte. Io tengo il blog ‘Cazzeggi Letterari’ soprattutto come forma di volontariato culturale. Cioè cazzeggio “a gratis” a beneficio dell’umanità. Pensa che, a volte, ho come interlocutori persino degli psichiatri:- ) (Postato martedì, 15 maggio 2007 alle 11:23 am da Lucio Angelini)

Lucio: però mancano gli altri quattro buoni motivi, non barare… (Postato martedì, 15 maggio 2007 alle 12:04 pm da La Lipperini )

Ok. Integro:

2° motivo: spero segretamente che Orietta Fatucci mi legga, si penta di avermi cacciato da El-Emme-Einaudi Ragazzi e autorizzi il FUMER tutto (Fronte Unito Megere Editoria per Ragazzi) a riaprirmi i cancelli editoriali;

3° motivo: spero segretamente che qualche editore per adulti, affascinato dal mio blog, mormori tra sé e sé: “Ma quale scrittore per ragazzi! Questo è un fior di scrittore per adulti! Mo’ me lo metto sotto contratto.”

4° motivo: intrattenere con i miei cazzeggi un po’ anche me stesso, oltre che l’umanità blogghica in generale;

5° e ultimo motivo: affascinare sia Babsi Jones nella speranza che mi coopti per i suoi giochini (ma quella non mi fila manco per il caz… ehm, manco per caso:- ), sia Luca Di Meo aka WM3 (che fin adesso ha sintetizzato le sue impressioni su di me nel poco incoraggiante gemito: “povero Angelini, davvero povero povero!” (in realtà un po’ lo capisco, adesso che ha fatto i soldi con Manituana):- ) (Postato martedì, 15 maggio 2007 alle 12:41 pm da Lucio Angelini )

Lucio, “affascinare” è un termine impegnativo, e i “giochini” non so cosa siano. Però mi sei simpatico, e non è poco, conoscendo la mia scarsa propensione a socializzare :) (Postato martedì, 15 maggio 2007 alle 1:19 pm da Babsi )

@Babsi. Hai ragione. Se “affascinare” significa “raccogliere in fascine” (per poi opportunamente legare) ovvero, in senso lato: legare qualcuno [a sé] come se fosse una fascina, meglio accontentarsi di una più generica e disimpegnata simpatia. Non ho ancora voglia di andare a fare legna nel bosco, benché “vecchierel”:- ) (Postato martedì, 15 maggio 2007 alle 1:51 pm da Lucio Angelini )

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Venerdì, novembre 23, 2007 

GIOIELLERIA BARBARICA: BEOWULF

 

«Il monumento più importante della letteratura anglosassone, e al tempo stesso il più antico poema epico tramandatoci nelle letterature germaniche, è BEOWULF (composto alla metà dell’VIII sec. da un anglo, trascritto, per la copia che possediamo – MS Cotton Vitellius A XV, dell’ultima parte del X sec. – da amanuensi del Wessex), che allude ad avvenimenti del V e del VI secolo: l’Inghilterra non vi è nominata affatto. Scandinavo per contenuto, il poema è però caratterizzato da quell’attenuazione dei lati più violenti della saga che è tipica dei rimaneggiamenti anglosassoni dovuti a ecclesiastici. Il tono prevalentemente malinconico, il colorito crepuscolare, circonfondono d’un vago pessimismo la gesta eroica, quasi a mostrare la vanità d’ogni cosa terrena. Il poema, in poco più di tremila versi di cospicua magnificenza barbarica (la cui tecnica è a suo modo raffinata come quella della gioielleria anglosassone dell’epoca) narra come Beowulf, nipote del re dei Goti, venisse in aiuto del re di Danimarca, la cui reggia era infestata dal mostro Grendel, uccidesse il mostro e sua madre; come cinquant’anni dopo, in un simile conflitto con un drago, l’eroe, pur vittorioso, perdesse la vita. Il punto culminante del poema è la decapitazione di Grendel e la discesa di Beowulf alla caverna dei mostri; la battaglia col drago non appartiene al nucleo originario del racconto; il tema essenziale della seconda parte è un’elegia per la morte d’un eroe. Delle inserzioni di materiale non pertinente, la più dannosa all’economia del poema è quella che contiene l’episodio di Finn, ma certe contraddizioni e variazioni di stile sono insufficienti a giustificar la teoria che l’autore del poema fosse un mero compilatore. È pure da escludersi (per la forma dei nomi propri e pel carattere cupo e solenne della narrazione) che si tratti di versione dall’antico norvegese, né si può affermare che certe vaghe simiglianze di trattamento con l’Eneide implichino necessariamente conoscenza e tanto meno deliberata imitazione del poema virgiliano. Più preciso è l’influsso dell’epos classico sulla Battaglia di Maldon, poema della fine del sec. X, che per il soggetto (la morte del prode guerriero Byrhtnoth nella battaglia contro i Danesi a Malton nell’Essex, nel 991) ha un’aria di famiglia con la Chanson de Roland, benché da questa si distingua per l’assenza di trasfigurazione leggendaria. Paragonato con Beowulf, questo poema ci mostra quanta strada avessero fatto nel frattempo i sentimenti cristiani; mentre Beowulf in punto di morte si rallegra di non aver mai commesso tradimento e di non esser mai venuto meno al suo popolo, Byrhtnoth si raccomanda alla mercé di Dio, senza pensare ai propri meriti.» (Da “Storia della letteratura inglese“, di Mario Praz, Sansoni editore 1968, pp. 10-11) 

Scriveva ieri Loredana Lipperini in Lipperatura

http://loredanalipperini.blog.kataweb.it/lipperatura/2007/11/22/pillole/

«La domanda del giorno viene da un ragazzo intorno ai diciassette:

“Va bene tutto: ma perchè non volete più mettere la minigonna dopo aver tanto lottato per poterla indossare?”»

Non ho resistito alla tentazione di commentare:

«Anche la tenuta di Angelina Jolie in Beowulf di Zemeckis non è male, malgrado sia la cattiva della situazione (cfr. il detto del tempo degli eroi in Danimarca: “Chi dice donna, dice danno”:-) )»

Ovviamente il film Beowulf ha ben poco a che spartire con il poema dell’VIII secolo, ma visto con gli occhialetti 3D ha un suo innegabile appeal:- )

Volete risentirne la musica? Visitate il sito ufficiale:

http://www.beowulfmovie.com/

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Martedì, novembre 20, 2007 

LETTERATURA PER POLLASTRELLE

 

«Il mercato italiano dei libri per ragazzi è stato nell’ultimo decennio un filone fecondo, da arare avidamente anche se, come spesso avviene, con poca accortezza. Mentre basta sfogliare i libri di testo delle elementari per scoprire che tutto è rimasto come quarant’anni fa: e che mentre fior di intellettuali ci rassicuravano sul fatto che le donne sono ricche e vincenti come le amiche di Sex and the City, nella maggior parte dei casi le figure femminili proposte a bambine e bambini continuano a essere maestre, segretarie, infermiere. Non conta, si dirà. Non conta, si diceva trent’anni fa, quando si sottolineava che, senza l’azione sul mito e sui simboli, una stagione di riflessioni, di battaglie, di entusiasmi, sarebbe rifluita via come l’acqua. E infatti, anche se non si usano più i grembiulini, è ancora ROSA il mondo delle bambine. Rosa la loro Playstation, i loro telefonini, le copertine dei loro magazine, i capelli delle Ninja dei cartoni animai, rosa i blog delle dodicenni, rosa la letteratura usa e getta delle sorelle appena più grandi (anche se ora utilizza, certo giocosamente, la definizione di chick lit, letteratura per pollastrelle). Da quelle piccole esperienze quotidiane si è distolto lo sguardo: e al loro interno sono riaffiorati gioiosamente gli stereotipi e i pregiudizi.» (Loredana Lipperini, Ancora dalla parte delle bambine, Feltrinelli, pag. 57)

Peccato solo che l’editoria giovanile italiana degli ultimi anni sia stata quasi tutta gestita da donne (Orietta Fatucci, Margherita Forestan, Laura Panini, Beatrice Masini, Valeria Raimondi, Donatella Ziliotto, Maria Chiara Bettazzi e via discorrendo)…

E per passare dal generale al personale, ricordo che il mio piccolo, ironico contributo femminista:

deliziosamente illustrato da Federico Maggioni, finì quasi subito fuori catalogo, ad opera di una delle maggiori esponenti del FUMER (Fronte Unito Megere Editoria per Ragazzi):- )

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Da http://librimoltospeciali.wordpress.com/

“L’INCREDIBILE STORIA DELLA FATA FATUCCIA E DELLA STREGA FORESTANA

Orchi, streghe e fate, come gli scrittori per ragazzi sanno perfettamente (cfr. Roald Dahl, “Le streghe”) esistono davvero e popolano ogni tipo di mondo. Sono, inoltre, capaci di assumere le vesti più impensate, comprese quelle di critici letterari o direttori (e direttrici) di collane giovanili… La storia è un affettuoso, divertito omaggio a due note direttrici italiane di collane per ragazzi: Margherita Forestan (Mondadori Ragazzi) e Orietta Fatucci (Einaudi Ragazzi).

“THE INCREDIBLE STORY OF FATUCCIA THE FAIRY AND FORESTANA THE WITCH” [Red alert on children’s literature] (“L’INCREDIBILE STORIA DELLA FATA FATUCCIA E DELLA STREGA FORESTANA”)

Ogres, witches and fairies, as almost every writer of children’s books knows perfectly well (see Roald Dahl “The witches”) really do exist and populate their imagination. They can also appear in the most unthinkable disguises, including those of literary critics or editors of juvenile series…The story is a loving, ironical tribute to the two existing Italian editors MARGHERITA FORESTAN (Mondadori Ragazzi), and ORIETTA FATUCCI (Einaudi Ragazzi).

Red Alert on Children's Literature: the incredible story of Fatuccia the Fairy and Forestana the Witch

Red Alert on Children’s Literature: the incredible story of Fatuccia the Fairy and Forestana the Witch [Kindle Edition]

Lucio Angelini (Author)

 

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15 MARZO 2012

LOREDANA LIPPERINI PRESA A SERINATE

Esbat (Italian Edition)

(La copertina di “Me nE SBATto”, attribuito a Loredana Lipperini)

Nei giorni scorsi Facebook ha regalato più di un brivido. Prima è circolata la notizia dell’arresto di Gian Paolo Serino per ricatto sessuale nei confronti di una finanziatrice  pentita della sua rivista ( o sganci 5000 euro o pubblico le foto dei nostri amplessi), poi, ieri, l’accusa di Serino a Loredana Lipperini di essere Lara Manni, un’autrice di cui a me personalmente non frega una sega (odio il fantasy), ma che la Lipperini ha più volte raccomandato nel proprio blog. Se la notizia fosse vera, saremmo alle solite: dai tempi in cui lei e i wuming si facevano chiamare Luther Blissett non hanno mai smesso di architettare e divulgare bufale (tra le ultime: VMO,  New Italian Epic, Steve Workers), anche se con crescente insuccesso. Molti hanno reagito alla serinata di ieri con un semplice “yawn”.

Altri con un ”Ah, però, la boccoluta!”.

Morgan Palmas, che in genere tende ai buoni rapporti con tutti quelli che potrebbero fargli comodo per la sua agenzia letteraria, si è sbilanciato in un: “Se è vero, mi alleo con tutti coloro che me ne parlano male da anni”, poi ha ulteriormente precisato: “Se è vero, scateno contro di lei il delirio. Non scherzo. E poi chiami i wuminChi che vuole a difenderla. Il rischio è che magari dopo tanti anni mi trovo d’accordo con Lucio Angelini, il mondo non ha più le mezze stagioni.”  (Era incazzatissimo per la mancata partecipazione della Lippa al Klit (oris) festival che sta organizando a Thiene).

Helena Janeczek ha preferito la formula amletica: 

 ”A nessuno sorge il dubbio che l’attacco di Gian Paolo Serino a Loredana Lipperini sia da qualificarsi come diffamazione? Non aggiungo altri dettagli per non spalmare merda mio malgrado.”

Le ho ricordato il mio pezzo:

http://lucioangelini.wordpress.com/2008/06/03/lipperini-o-della-malafede/

e commentato:  “… Se poi venisse fuori che pubblica anche come Lara Manni, in fondo non ci vedo nessuna aggravante. Sono il suo vizietto della censura e gli atteggiamenti da maestrina della penna rossa a renderla un po’ patetica.”

Infine Ex Novevolt Collana ha dichiarato:

“Se davvero Loredana ha creato negli anni un alter del genere – e *di genere* – diventa la mia eroina. über alles. se questo non è vero, e Loredana e Lara Manni si sentono, a qualsiasi titolo diffamate, faranno bene ad adire a vie legali, o a fare qualsiasi altra cosa riterranno giusto fare… fra l’altro: mi piacerebbe se la questione restasse irrisolta – se rimanessimo tutti nel dubbio.”

a cui Marco Rovelli ha reagito così:

“Ex novevolt, bello avere un’eroina nella vita! :-)

Come non dargli ragione? Ciascuno ha l’eroina che si merita, meglio se a cavallo (di due editori, nel suo caso: Fazi e Feltrinelli).

Dello scandaletto, ovviamente, non potrà che gioire Elido Fazi, l’editore di Esbat (contrazione  per  “Me ne sbatto le palle”?), un patito dei colpi di spazzola pubblicitari…

[Questo il link per l’articolo di Serino:

http://www.satisfiction.me/loredana-lipperini-a-marchette-da-anni-recensisce-se-stessa-con-un-altro-nome/ ]

Commenti

Luan Dice:
30 giugno 2012 alle 05:33

Copio-incollo da Lipperatura:

“martedì, 9 giugno 2009
LIBRI DI E SULLE (DONNE)

Dopo aver tirato un piccolo respiro di sollievo (al paesello marchigiano la giunta di sinistra è passata per cinque voti), la vostra eccetera torna alle segnalazioni libresche.”

Di Giorgio Falco mi occuperò diffusamente domani: L’ubicazione del bene è un libro molto bello. Offre però diversi spunti su cui riflettere (sì, uno riguarda anche la questione di genere: ma dal momento che non voglio passare per fissata, vorrei rifletterci a lungo).

Torno, invece, su un romanzo cui era già stato fatto cenno, qui e su Carmilla, nei mesi scorsi: si tratta di Esbat di Lara Manni, appena uscito per Feltrinelli. Romanzo che ha la già sottolineata particolarità di provenire dal mondo delle fan fiction: del resto, il passaggio dal fandom alla carta stampata comincia a divenire frequente in altri paesi.

L’altra particolarità di Esbat, però, è che si tratta di un horror al femminile, scritto da una donna e con donne protagoniste: caratteristica piuttosto rara, soprattutto in Italia.”

E nel blog di Lori-Lara cui si rimanda:

“1. Cos’è Esbat
Cos’è

Esbat nasce come una fan fiction, ovvero come storia di fan liberamente ispirata, nel caso, a un manga (un fumetto giapponese), e poi sviluppata in modo autonomo.

Il primo capitolo di Esbat viene pubblicato su alcuni siti di fan fiction italiani, il 20 giugno 2007, l’ultimo – il ventesimo – l’8 ottobre dello stesso anno. La pubblicazione è avvenuta a puntate come gli antichi feuilletton: un capitolo a settimana.

La storia, in breve.

Ha cinquant’anni, disegna manga, non ha altro nome che quello di Sensei, maestra, con cui i fan di tutto il mondo la onorano. Inventa storie piene di buoni sentimenti ambientate in mondi fantastici. Ma una notte, proprio mentre sta per mettere la parola fine al suo manga più celebre, qualcuno entra dalla sua finestra. Qualcuno che viene da un altro luogo. Qualcuno che viene dalla stessa storia che lei racconta, e che in realtà esiste davvero. Qualcuno che rivendica un finale diverso. Qualcuno che grazie al rito dell’Esbat può attraversare i mondi.
Una donna, un Demone, un duello che cambierà profondamente entrambi. Attorno a loro, non soltanto creature fantastiche, ma il mondo dei fan e degli adolescenti, con le loro passioni, le loro paure, le loro manie. Un horror ambientato fra Italia e Giappone: ma anche la storia del mutamento femminile, e del doppio passaggio che porta dall’adolescenza all’età adulta. E dall’età adulta alla morte.

Esbat esce per Feltrinelli il 4 giugno 2009

Esbat è la prima parte di una trilogia: il secondo episodio della storia, Sopdet, è stato pubblicato in rete fra gennaio e settembre 2008. Il terzo, Tanit, fra gennaio e maggio 2009.

Luoghi della rete

Tre i principali: la pagina sul sito di Feltrinelli, una pagina su Facebook e una scheda su aNobii. Su aNobii esiste anche un topic nel gruppo Fantasytalia.
Qui, lo speciale de La Feltrinelli.it.
Qui, la pagina di Ibs.

Curiosità.

La “colonna sonora” di Esbat, ovvero la musica citata nel libro, è elencata in questo post, insieme a quella del secondo libro, Sopdet. Qui, invece, quella del terzo, Tanit.

Qui, qualche spiegazione sulla scelta dei nomi.

Il saggio e l’antologia

Alla fine della pubblicazione di Esbat in rete, Angelo Scotto ha scritto un piccolo saggio, Esbat e il New Italian Epic, con riferimento alla teoria letteraria dei Wu Ming.

Di Esbat ha parlato anche Giovanna Cosenza nell’antologia «Narrazioni in rete», in R. Fedi e M. Francini, I sentieri delle parole. Verso la letteratura, Zanichelli, Bologna, 2009, pp. 310-317. Qui il file.”

con le giubilazioni di WM4 nei commenti:

“Wu Ming 4 Dice:

luglio 24, 2010 alle 11:01 am |
Non so se devo postarlo qui. Boh, ci provo. E’ scritto a caldo, anzi caldissimo (ma col ventilatore).

La prima cosa che mi è venuta in mente quando ho finito di leggere Esbat è che si tratta di una profonda riflessione narrativa sulla narrazione stessa.
Poi mi è venuto in mente Arthur Conan Doyle e il primo caso conosciuto in cui un personaggio letterario ha messo in discussione l’autorità del proprio autore.
Sherlock Holmes iniziò abbastanza presto a vivere di vita propria. Come si sa, il 221B di Baker Street non esisteva alla fine del XIX secolo. Ciononostante parecchia gente iniziò a scrivere a quell’indirizzo lettere che chiedevano l’ingaggio del celebre investigatore privato per risolvere casi reali. Oggi il numero civico esiste davvero, dal momento che ci hanno costruito una casa museo piuttosto trash, e la fermata della metropolitana di Baker Street è piastrellata con il profilo inconfondibile di Holmes.
Anche Conan Doyle, come la Sensei di Esbat, a un certo punto decise di fare finire in gloria il proprio personaggio, ovvero di farlo precipitare giù da una cascata nell’abbraccio mortale con il suo acerrimo nemico, il professor James Moriarty. Anche lui non immaginava che ne sarebbe seguita una rivolta dei fan. Il giornale su cui venivano pubblicate le avventure di Holmes, lo “Strand Magazine”, venne sommerso di lettere di protesta. Tanto scrissero e tanto fecero che Conan Doyle fu costretto a far resuscitare il proprio eroe e a motivarne l’assenza triennale con un espediente improbabile. Conan Doyle immaginò che Holmes, salvatosi dall’affogamento, avesse intrapreso un viaggio verso Oriente (fino in Tibet!) e fosse poi tornato in Inghilterra per condurre vita ritirata. Quando poi, ormai in là con gli anni, scrisse le ultime avventure di Holmes (questa volta davvero), decise di collocarlo in un buen retiro nel sud dell’Inghilterra, ad allevare api.
Ecco, il primo tema che Esbat affronta e sviscera (letteralmente, in certi casi…) è la relazione tra autore e personaggio. Un personaggio seriale può diventare un’ossessione per il proprio autore, una specie di condanna, senz’altro il fulcro di una relazione di amore e odio. Solo che spesso non si tratta di una relazione a due, bensì multipla, perché coinvolge anche i fan.
Il secondo tema del romanzo infatti è senz’altro il fandom. Al centro di questo rapporto complesso c’è la passione, che a volte può trasformarsi in ossessione insana, altre volte può servire a fare delle cose utili per la propria vita. Ci sono due personaggi speculari nel romanzo: il webmaster Sasaki, autorecluso nel mondo virtuale della rete, e l’adolescente in crisi d’identità Ivy. Uno soccombe alla propria ossessione, compiendo la vendetta contro il tradimento della comunità da parte dell’autrice e realizzando così il contrappasso dovuto; l’altra reagisce alla cattiveria del mondo circostante proprio attraverso la messa in discussione dell’autorità autoriale e rivendicandone una parte per sé, cioè proseguendo la storia con altri mezzi. Dio (anzi la Dea) salvi la fan fiction che salva gli autori da se stessi.
Divagazione. Ieri sera ho visto la puntata di CSI in cui la scientifica di Las Vegas indagava sul fandom di Star Trek (trasformato in “Astro Quest” per ovvie ragioni di copyright). Il caso verteva sull’omicidio di un giovane regista indipendente che aveva provato a resuscitare la serie aggiornandola alla sensibilità contemporanea. I fan si ribellavano all’inserimento nella serie di scene ultra-violente ed eroi piagnucolosi. Indagando sul caso, due poliziotti della squadra, entrambi fan di Astro Quest, proprio grazie al medium della passione comune riuscivano a portare alla luce l’attrazione reciproca rimasta latente per anni. Fine della divagazione (che però avrà una ripresa alla fine).
Il rapporto tra vita reale e fiction ricalca quello tra storia umana e mito (racconto), antico quanto il mondo. Esbat ce lo racconta agganciando il tema al dipanarsi serrato della trama. Ed è qui che entra in campo la Dea, evocata a più riprese, ma mai presente, ancorché incarnata dai personaggi femminili che dominano il racconto. Al centro della trama c’è la lotta/accoppiamento del demone maschile Hyoutsuki, bello e terribile come Apollo, con la Signora della Storia, l’Autrice, la Sensei, che finirà per assumere il terzo volto della Dea, quello mortifero e sanguinario.
Da “gravesiano” non posso non apprezzare la scelta di mettere in scena non già l’idealizzata Gilania (pure evocata da alcuni personaggi), ma la crudezza inesorabile del divino femminile, portatore di vita e di morte, cioè custode della ciclicità e del divenire, che poco o nulla ha a che fare con il mito di un fantomatico egualitarismo femmineo delle origini. La forza di Esbat è quella di far incontrare questo femminile arcaico con le dinamiche contemporanee che coinvolgono le donne di ogni età: in menopausa e non, nostalgiche dell’amplesso o spaventate dal primo rapporto sessuale, senza sangue lunare e imenaico o alle prese con lo stesso (l’intera narrazione, infatti, è scandita dai cicli lunari/mestruali). La Dea quindi c’è ma non si vede, perché agisce attraverso i personaggi stessi. Belli, tra l’altro, nient’affatto scontati (eccetto forse uno, non irrealistico ma senz’altro un po’ stereotipato: la madre di Ivy, “puttanesca” e in guerra contro il tempo).
Proprio il sangue – l’elemento chiave di Esbat, insieme alla luce della Luna che continua a rifrangersi sui capelli candidi del demone – mi riporta all’episodio di C.S.I. visto ieri sera. Alla fine si scopre che le cause dell’omicidio non andavano cercate nella delusione e nella sete di vendetta dei fan di Astro Quest, ma nell’avidità, cioè nelle dinamiche di profitto (e di copyright) capitalistiche. Qualcosa su cui meditare, credo. Così come dà da pensare il dialogo tra i due agenti della scientifica a proposito del “genere”. A un certo punto uno dei due sostiene che “Francis il mulo parlante” è una serie di fantascienza, perché si svolge in un piano temporale parallelo in cui gli equini hanno sviluppato una laringe e un cervello in grado di farli ragionare e parlare. Il collega ribatte che al massimo si potrebbe definire un serial “fantastico”. Non necessariamente, replica l’altro: Asimov aveva ipotizzato un futuro in cui altre specie animali avrebbero potuto sviluppare le stesse abilità umane in forme diverse. Quindi “Francis” può rientrare nel genere ucronico-fantascientifico.
Ecco, forse Esbat potrebbe essere definito un romanzo fantastico, cioè un romanzo di attraversamento tra due mondi, due piani di realtà. Ma è poi così importante scegliere come etichettarlo? Ed è poi così “irrealistico” che l’altro mondo, quello delle narrazioni, viva un tempo proprio, parallelo e saltuariamente intersecato al nostro? Andatelo a dire alla buon’anima di Sir Arthur Conan Doyle (che – per inciso – trascorse gli ultimi anni della propria vita occupandosi di spiritismo, cioè di comunicazioni intra-mondi…). Dov’è stato Holmes in quei tre anni durante i quali il suo autore lo ha perso di vista? Cos’ha fatto il celebre detective dopo che il suo autore lo ha pensionato?
Per saperlo basta rivolgersi alla fan fiction e leggere due romanzi: il geniale “Il Mandala di Sherlock Holmes” di Jamyang Norbu (Instar Libri, 2002) e il meno bello, ma altrettanto interessante per la collisione creativa tra il misogino Holmes e una protagonista femminile, “L’allieva e l’apicultore” di Laurie K. King (Neri Pozza, 2006).
Be’, tutto questo divagare per dire: complimenti Lara.”

Segue il gridolino di gioia di Lori Lara:

“Lara Manni Dice:

luglio 24, 2010 alle 11:05 am |
Sono senza parole, Wu Ming 4. E’ come se dallo specchio venisse fuori il cuore di quel che volevo dire. Grazie. Un milione di grazie. Mi permetto di farne un post autonomo.”

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16 MARZO 2012

LARA’S THEME: “LA SENSEI” CALCATA SU “LA LIPPERINI”? 

A parziale rettifica del post di ieri [15 marzo 2012], che curiosamente mi ha fatto schizzare le visite oltre il migliaio  (la mia media giornaliera è di 400 circa), preciso che ESBAT uscì per Feltrinelli, mentre solo  il secondo e terzo volume della trilogia fanno capo al marpione Elido Fazi:-)

Confesso di aver dovuto cercare su wikipedia la definizione di fan fiction, una delle menate con cui la Nostra adora sentirsi aggiornatissima e sempre  di qualche spanna più all’avanguardia (letteraria) degli altri:

Fanfiction o fan fiction (abbreviato comunemente in fanfic, FF o fic) è il termine utilizzato per indicare tutte quelle opere scritte dai fan (da qui il nome), prendendo come spunto le storie o i personaggi di un lavoro originale”.

Inutile aggiungere quanto il tema dei fan (e degli “sfan”)  sia centrale negli interessi dei bufalari consorziati. Penso, in particolare, a quando Wu Ming 1 sollecitava tutto lo spin off possibile per Manituana. Erano i tempi in cui non disdegnava di richiamarsi epicamente prima a Leonida, poi addirittura a Omero.

Comunque, leggendo la trama di Esbat su the angelsbook blog (gestito da una cazzara che scrive “il pseudonimo”)

http://the-angelsbook.blogspot.com/2011/03/recensione-esbat-di-lara-manni.html

viene fuori:

“La Sensei ha cinquant’anni… è una donna superba che gestisce il proprio successo con orgoglio e sapienza: poche apparizioni pubbliche la avvolgono in un’aura di mistero e le permettono di non entrare in contatto coi propri lettori che disprezza profondamente…  Dopo essersi tranciata alcune dita di una mano e di un piede, la Sensei decide di “sacrificare” i propri fan, che attira a casa con la promessa di un disegno autografo”.

Lasciatemelo dire: ci ho visto il ritratto sputato di Madame Lippa, a cui – secondo me – non frega una beata mazza dei propri commentatori, in particolare quelli a cui intuisce di non apparire sufficientemente taumaturga e che si affretta a degradare a troll. Prima di bannarli senza pietà tra gli schiamazzi di giubilo delle solite ochette del  Campidoglio, naturalmente.

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17 marzo 2012

LORI E LARA: LA DOPPIA VITA DI MIA CUGINA LOREDANA LIPPERINI

(Anfibio Lara Manni, da:

http://www.ioshoes.com/calzature-risultati.php?id_marca=44&label=Lara+Manni )

Secondo Gian Paolo Serino, mia cugina laLipperini ha una doppia vita: blogger sussiegosa e pasionaria del femminismo da un lato, autrice di romanzetti di fanfiction firmati Lara Manni dall’altro:

“Loredana Lipperini è nota per le sue rigorose posizioni di correttezza e pacatezza. Dietro questa apparenza si cela una granda violenza e un’abile farsa. Non sono solito attaccare il personale, e non lo faccio certo ora, ma quello che fann…o. Loredana Lipperini, il tempio umano della correttezza ventilata, in realtà, oltre a cercare di muoversi come corsivista de “la repubblica” e a parlare dai microfoni di RadioRai3, è anche scrittrice ma sempre di se stessa. Non a caso pubblica libri, per Fazi e Feltrinelli, con lo pseudonimo Lara manni. Peccato che la Regina dell’integralismo re…censorio in reaktà per molti molti anni abbia recensito se stesso. Come attesta questo link ma anche tantissimi altri (basta cercare su Google: Lipperini e Lara Manni). In un Paese serio Loredana Lipperini, che condanna l’uso del corpo delle Donne ma intanto fa marchette a se stessa, cioè al suo alter ego Lara Manni, andrebbe licenziata in tronco. Ma si sa, non siamo in un Paese serio.
Meglio (d)enunciare chi fa critica rock piuttosto che chi, profetandosi paladina delle ingiustizie continuando a fare marchette (letterarie), manda la letteratura, quella vera, a puttane. L’ho saputo adesso, con prove inoppugnabili, e invito Loredana Lipperini, la Signorina Rottermayer della critica italiana, a denunciarmi se questo scritto non corrisponde al vero. Ma dato che non può, perché ciò che scrivo è vero, inizierà la sua solita e subdola campagna di denigrazione nei confronti di CHIUNQUE cerchi di smascherare I FURBETTI DELL’INCHIOSTRINO e la mafia editoriale di chi trasforma ln letteratura in una associazione a delinquere di stampo immaginario

Gian Paolo Serino “

C’è chi sospetta ci sia lei anche dietro l’enigmatica figura di Sigismondo Barillacqua della Verdesca, il famigerato autore di “Un romanzo d’altri tempi“,  in vendita su Amazon.com

Vedi anche:

http://www.satisfiction.me/loredana-lipperini-a-marchette-da-anni-recensisce-se-stessa-con-un-altro-nome/

e:

http://lucioangelini.wordpress.com/2012/03/15/loredana-lipperini-presa-a-serinate/

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9 GIUGNO 2012

LOREDANA LIPPERINI È LARA MANNI

Scrive laPeperini in laPeperini’s blog:

http://lapeperini.wordpress.com/2012/06/09/loredana-lipperini-e-lara-manni/

“Lo dicevo io che Loredanuccia è la regina dei troll, diavolo di una cugina!

Qui le prove:

http://eliaspallanzanivive.wordpress.com/2012/06/08/sotto-gli-occhi/

http://eliaspallanzanivive.wordpress.com/2012/06/09/tutto-il-faccendone-aka-per-chi-non-ne-avesse-abbastanza/

Collusa con lei, ovviamente, è Giovanna Cosenza che l’ha antologizzata per gli studenti  scrivendo un sacco di

                                      fando(m)ie 

sulla “giovane” cultrice di fanfiction.

Commenta Maria Pia Gemelli in Facebook:

“Che Lippa pubblichi storie sotto pseudonimo non è di interesse per nessuno. La “magagna” sta nell’ aver fatto credere all’ingenuo target dei lettori di fanfiction che una ragazza qualunque, Lara Manni, scrivendo fan fiction, ha pubblicato… le sue storie con alle spalle il più influente agente letterario italiano; aver dichiarato nelle interviste fatte a Lara Manni di essere reale: rispondendo alla precisa domanda “è uno pseudonimo?” “No è il mio vero nome”; la cosa deontologicamente scorretta è tenere un blog parallelo sotto falsa identità atteaverso cui, nel suo piccolo, ma spalleggiata ad es. dai wu ming, condurre battaglie ideologiche parallele a quelle di lipperatura.
Parliamo dell’ onestà intellettuale di partecipare alle stesse discussioni aNobiiane con la vera identità e con quella del fake Manni? È corretto avere un account facebook falso con “amici” che ti credono una trentenne reale e interagiscono con te del più e del meno? Una bacheca facebook non una pagina promozionale, come è d’uso per i promuovere i libri o un autore: è il fingersi reali, il farlo credere a ignari lettori, la continuità e la metodicità ossessiva nel delineare una vita fittizia al fake, che è disturbante, a mio avviso, non lo pseudonimo o i romanzi in sé. È deontologicamente corretto che Giovanna Cosenza, guarda caso, segnali proprio Lara Manni in una scheda di una antologia destinata al biennio delle superiori? Cioè far credere che scrivendo fanfiction si può essere pubblicati e diventare scrittori? Che il fandom sia cosa buona e giusta? È tutto il contorno che sta dietro lo pseudonimo di Lara Manni che è dark[ly], a mio avviso… “
 

Io c’ho paura che ci carcerano.

paolo f Dice:
giugno 10, 2012 alle 4:50 pm

E’ un’esperienza anche quella, tutto sommato…;-)

pirulix Dice:
giugno 10, 2012 alle 7:34 pm

dia’, sì: nella stessa cella io tu e loredana lipperini che nelle notti di luna piena si trasforma in Laramannara ;-)

Lucio Angelini Dice:
giugno 11, 2012 alle 5:40 am | Replica   modifica

ah ah ah . Loredana Lipperini che nelle notti di luna piena si trasforma in laramannara… troppo forte! ah ah ah

pirulix Dice:
giugno 14, 2012 alle 7:41 am | Replica   modifica

La mia sensazione è che la Lippa (e i Wu Ming) fa P A U R A.
In rete si teme che “toccarli” possa essere pericoloso (saranno velenosi?), come se la loro influenza e le loro “vendette” possano ritorcersi nel campo lavorativo di chi li contrasta. E il fatto che la Lipperini sia in qualche modo influente è dimostrato dal fatto che molti commentatori intelligenti, Lucio incluso, ambiscano a postare nel suo salottino virtuale anche a costo di essere maltrattati.

Hai ri-ragionissima, Maria Pia. Io stessa credo di aver chiesto a Lucio – nell’altro blog – perché accettasse di farsi trattare così. E lo stesso vale per Binaghi, che pure è molto preparato e intelligente. Nel commentarium facevo il tifo per hommequirit. Non so chi fosse, ma rispondeva sul punto, documentatissimo, soprattutto in ambito statistico (come venivano lette le statistiche lì, era da ridere…) finché è durato… Anche broncobilly era incisivo, e sorprendentemente in-censurato. Forse perché non usa mai toni eccessivi in un senso o nell’altro. O perché LL preferisce, con lui, usare la strategia dell’ignoro. Anche se per lei un “liberista” equivale all’arcidiavolo.

Lucio Angelini Dice:
giugno 14, 2012 alle 9:21 am

@pirulix e diait. in realtà il mio rapporto (virtuale) con il lit blog Lipperatura ha attraversato due fasi. nella prima ero pieno di sincera ammirazione per Loredana, che ho incontrato due volte de visu a venezia in occasione di convegni; nella seconda (iniziata con la scoperta del suo vizietto censorio e della sua totale dipendenza dal guru che sappiamo) ho dovuto rivedere il mio giudizio su di lei. penso di aver restituito a sufficienza i “maltrattamenti” subiti. se mi sono incaponito in una sorta di gioco “al gatto e al topo”, è stato proprio per la mia ribellione a farmi strapazzare pesantemente per futili motivi (chiusura di due blog, rimozione di un volume satirico da ilmiolibro.it eccetera)*-°

pirulix Dice:
giugno 21, 2012 alle 3:48 pm

http://www.satisfiction.me/loredana-lipperini-e-lara-manni-la-nuova-lipperaturina/
Dopo tre mesi si rifà vivo Serino… col solito bollino! @.@
Ma caccolix, non poteva renderlo noto da subito?
(secondo me non ci aveva pensato neanche lui… )
Ha lanciato l’esca e ha atteso…

Lucio Angelini Dice:
giugno 21, 2012 alle 6:54 pm |

E’ evidente che ha consultato il blog di Spallanzani:-)

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Sabato, marzo 08, 2008 

8 MARZO. DALLA PARTE DELLE PERSONE

 

Chiedevo giorni fa a Loredana Lipperini qui:.
 
 

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Giovedì, aprile 17, 2008 

LIPPERINI CATTIVA MAESTRA

Caro diario, ieri la maestra Loredana mi ha sgridato senza motivo e io ci sono rimasto male, ma forse aveva solo le paturnie. Si sa che le maestre sono imprevedibili. Ti racconto come sono andate le cose… Dunque, lei aveva chiesto alla classe di commentare un testo di Franco Bifo Berardi sulle elezioni, e l’aveva intitolato “ORIZZONTE“:

http://loredanalipperini.blog.kataweb.it/lipperatura/2008/04/16/lorizzonte/

Io l’ho letto e mi è sembrato un po’ troppo catastrofista. Per esempio iniziava così: 

“Non c’è di che rallegrarsi. Il Novecento fu un secolo tremendo di violenza e di guerra, ma aveva per lo meno un orizzonte al quale guardare, una speranza da coltivare. Oggi non vi è più nessun orizzonte, solo paura dell’altro e disprezzo di sé…”

e allora mi sono permesso di commentare (in assoluto candore, lo giuro):

“Per carità, delusissimo anch’io, ma col catastrofismo ci si fa poco…”

Un altro ragazzo, Torgul, ha subito osservato:

“Lucio, lungi da me contraddirti, che sappiamo tutti come reagisci, ma a me sembrava che il catastrofismo non c’entrasse un cazzo, qui, anzi, sembrava ben più una chiamata all’azione, ma evidentemente sono io che sono vecchio…”

E la maestra Loredana, di rincalzo:

“Torqul mi precede di un istante… ad interpellare Lucio, con il quale mi sembra che il commentarium dimostri una pazienza infinita, che non sempre viene ricambiata.”

Ho provato a reagire:

“1) Lippa, fammi un esempio di pazienza ***infinita*** (???) dimostrata dal commentarium nei miei confronti. Mi pare che chi ha voluto attaccarmi, ha sempre potuto farlo senza problemi e senza tante cerimonie.
2) Semplicemente, davanti a frasi del tipo “Il Novecento fu un secolo tremendo di violenza e di guerra, ma aveva ***per lo meno*** un orizzonte al quale guardare, una ***speranza*** da coltivare. Oggi non vi è più nessun orizzonte, solo paura dell’altro e disprezzo di sé”, resto basito. O devo pensare per forza che ogni speranza è morta?”

E la maestra Loredana:

“Lucio, potrei fartene tremila. Penso a tutte le volte che posti solo per invitare a guardare il tuo blog: sei l’unica persona che lo fa, e l’unico a non essere stato mandato a quel paese per questo [non è vero da almeno moltissimi mesi; l’avviso solo in pvt se ho qualche post che potrebbe interessarle, n.d.r.]. Ma la chiudo qui, e non intendo proseguire su questo punto. E sono seria. Per quanto riguarda Bifo: le frasi con cui conclude il suo intervento sono le frasi chiave. Il territorio della ricostruzione culturale e della dissoluzione delle illusioni di questi anni è quello in cui occorre muoversi. È difficile quanto indispensabile: e non vedo traccia di catastrofismo su questo punto.”

Io:

“1) Sono molti di più i casi in cui dal mio blog dirotto i miei lettori qui da te, ***se c’è vicinanza di argomenti***. Anche tu dirotti quasi quotidianamente i tuoi lettori ad altri blog. E allora?
2) Tra le frasi da te indicate come chiave, mi inquieta: “Non possiamo combattere quella guerra sul piano della violenza, ***per la semplice ragione che la perderemmo***. Gli altri generici inviti finali contraddicono l’inequivocabile (mi astengo dall’usare l’aggettivo “neo-epico”) catastrofismo della prima parte.”

Poi Torgul mi ha invitato pubblicamente a visitare il suo blog (senza che la maestra gli dicesse niente) e io gli ho risposto:

“@Torgul. Sfido le ire della Lippa (che la mena con ’sta vecchia storia della pubblicità parassitaria SOLO quando la contraddico) e vengo a visitarti. Però qui non siamo ancora alla feroce dittatura birmana, se permetti… qualche spazietto per rifarci di una fastidiosa batosta elettorale dovremmo ancora trovarlo, con un po’ di pazienza, senza gridare “Pietà l’è morta” o rimpiangere il secolo delle due guerre mondiali.”

A quel punto è intervenuto Nautilus, un altro ragazzo pettegolo:

“Ha ragione la Lipperini, personalmente ho una pazienza infinita con Lucio: è spesso acuto e sempre simpatico, perchè non dovremmo averla?”

Io:

“Per me la pazienza puoi anche finirla. Poco mi cambia.”

Nautilus:

“Cazzo, aveva ragione la Lipperini ! E io ci ho ironizzato su… e invece… se non li conosce lei i suoi polli… “

Io:

“Nautilus, hai la condiscendenza di Calderoli quando parla degli zingari. Va’ a cagare.” [COMMENTO CANCELLATO]

Lipperini:

“Ho cancellato un commento perchè, come mi pare di aver precisato più volte, non ammetto gli insulti personali. E mi pareva anche di aver detto che le questioni personali erano da considerarsi inadatte a questa discussione. Grazie.”

Mio replay:

“Nautilus. Hai la condiscendenza di Calderoli quando parla degli zingari. Va’ dove ti porta il cuore (versione edulcorata della precedente, rimossa).”

Un certo Luca:

“Non si possono dipingere questi scenari e poi meravigliarsi se i ragazzi muoiono perchè si fanno qualsiasi cosa passi sotto il loro naso, o si rincoglioniscono su myspace/facebook, o se si vendono via webcam, o se si schiantano in macchina al sabato sera. Mi sembra che il risultato di queste elezioni abbia autorizzato tutti a fare proclami catastrofici, a dipingere scenari apocalittici, a dire che l’Italia è fottuta, che finiremo tutti in mezzo a una strada, che fra un po’ si useranno gli zingari e gli albanesi come bersagli al poligono di tiro, che saremo governati dalla mafia… L’intervento di Bifo Belardi sembra preso da 1984… “

(Come dire che ANCHE LUI ci vedeva del catastrofismo, ma la Lippa non lo ha sgridato. Lei sgrida solo me. Non è giusto, non è giusto. Lei ce l’ha solo con me. Ih ih ih ih ih ih. Cattiva maestra! Cattiva maestra!)

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Venerdì, aprile 18, 2008 

LA SINISTRA COME PIPPA BACCA

 

Non vorrei sembrare irriverente, ma la sconfitta della sinistra mi ha ricordato da vicino quella di Pippa Bacca, la performer milanese che voleva attraversare territori pericolosi armata semplicemente di un abito da sposa, di un sorriso e di fiducia nel prossimo. Nobilissimi ideali, squisita forma d’arte, peccato solo che, a volte, l’arte resti pura arte, e la realtà, appunto, realtà.

Quando l’arte di governare, per esempio, si riduce a una mera enunciazione di princìpi da sogno, senza fattivamente contribuire al miglioramento della realtà, alla lunga la gente si disamora… “Artistico” e non concreto deve essere parso a molti elettori, in qualche modo, l’atteggiamento della sinistra riguardo ai gravi e non lunari problemi del paese (il bisogno di sicurezza, lo sfascio della giustizia, la mancanza di case-lavoro-prospettive per i giovani, l’euro passato dal valore iniziale di 2000 lire a quello di 200 lire [con un euro oggi ci si va a pisciare in un gabinetto pubblico, n.d.r.], le porte del paese spalancate a chiunque, benintenzionati e malintenzionati… e via discorrendo). Il boom del voto alla lega, a mio avviso, va letto proprio come espressione di questo tipo di esasperazione. Ha scritto Giacomo Brunoro, ieri, nei commenti al post sulla Lippa:

“Ci risiamo: il lupo perde il pelo ma non il vizio. I commenti della Lipperini e il testo di Berardi sono l’ennesima dimostrazione che questa sinistra è incapace di prendere coscienza della realtà. Inutile, neanche ‘sta volta hanno capito: lo scenario più verosimile è quello di restare all’opposizione per altri 200 anni (e già sono buono, visto che per ora neanche all’opposizione sono…). Eppure questa volta era tutto chiaro, palese, cristallino. Ma loro niente, dritti per la loro strada. Evidentemente non gli basta toccare il fondo, hanno voglia di iniziare a scavare…”

Nel suo blog  http://zonasansiro.blogspot.com/  Giacomo ha riportato il commento di MURMUR al pezzo di Filippo Facci apparso su Macchianera: “Perché non mi voti, razzista di merda?”:

Lo riproduco anch’io per il suo valore di sfogo, benché lo condivida solo in parte:

«Questa sinistra non ha perso perchè Berlusconi ha berlusconizzato gli italiani.
Questa sinistra non ha perso perchè tutti vogliono fare i tronisti e le veline.
Questa sinistra non ha perso per Vespa, Mentana, Mimun e tutti gli altri.
Questa sinistra non ha perso perchè gli Italiani son tutti evasori.
Questa sinistra non ha perso per i Calearo, i Colaninno e i Del Vecchio.

Questa sinistra ha perso perchè per pensare agli ultimi si è dimenticata di penultimi e terzultimi.
Questa sinistra ha perso perchè il diritto di un barbone di stendersi sul marciapiede non deve valere di più del diritto di una non vedente a non inciamparci su.
Questa sinistra ha perso perchè se io antiberlusconiano ho il quartiere pieno di zingari, o se il mio paese sembra Tirana, e tu mi dai del razzista, io ho tutte le ragioni per incazzarmi di brutto e votare Borghezio.
Questa sinistra ha perso perchè più ricchezza per pochi e magari disonesti, è meglio che più miseria per tutti.
Questa sinistra ha perso perchè la contessina Borromeo si sente abbastanza tranquilla la sera tardi alla stazione di Milano.
Questa sinistra ha perso perchè, checchè se ne dica, Berlusconi dice che gli italiani son coglioni senza pensarlo, ma da quell’altra parte lo si pensa senza dirlo.
Questa sinistra ha perso perchè La Russa e Bondi non si possono sentire, ma Luxuria e Caruso non si possono neanche vedere.
Questa sinistra ha perso perchè a nessuno frega di TAV, VAT e della base di Vicenza.
Questa sinistra ha perso perchè le leggi ad personam fanno schifo, ma la spazzatura in strada fa molto più schifo.
Questa sinistra ha perso perchè se un italiano stupra o uccide qualcuno è altrettanto grave che se lo faccia un rom, ma in quest’ultimo caso il culo mi rode inevitabilmente di più.
Questa sinistra ha perso perchè Berlusconi ha il sorriso fisso e dall’altra parte, da Veltroni a Diliberto, sembra che abbiano tutti delle emorroidi perenni.
Questa sinistra ha perso perchè fa continua autocritica senza mai fare vera autocritica.
Questa sinistra ha perso perchè tutti loro, a partire dai marcotravaglio, dalle sabinaguzzanti, dai michelesantoro, dai danieleluttazzi, dalle biancaberlinguer, vivono sulla luna e fanno discorsi iperuranici.
Questa sinistra ha perso perchè stìca Jovanotti, stìca Totti, stìca Clooney, stìca Virzì.
Questa sinistra ha perso perchè “loro sono la meglio Italia e gli altri nun sono un cazzo”.
Questa sinistra ha perso perchè cinque anni di stronzi sono meglio di due anni di teste di cazzo.»

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Venerdì, settembre 19, 2008 

SBARCHI CLANDESTINI

Se posto commenti come Lucio Angelini in Lipperatura, la Lipperì li cancella lipperlì, da quando il master bolognese ha ordinato ai suoi slave di considerarmi una sorta di Rom della rete (lui, il sedicente difensore dei diritti degli ultimi della società). Allora io, di tanto in tanto, mi diverto a sbarcare sull’isola lipperiniana come clandestino senza documenti e così rianimo un po’ lo stracco dibattito di un commentarium in cui, dalla Giovanna Cosenza in su, paiono essere tutti sempre d’accordo su tutto. Per esempio ieri la Lippa ha raccontato del PROF di grafica di sua figlia Carlotta che, in classe, avrebbe PROFerito (una sola effe, mi raccomando!) la giovanilistica e, si sottintendeva, vituperabile frase: “La grafica mi fa schifo”.

Travestito da straccione (= nickname “DOCENTE“) ho commentato:

«Posso dirti che è un errore clamoroso, da parte di un genitore, prendere per oro colato tutto ciò che un figlio racconta dei propri insegnanti e solidarizzare immediatamente con lui contro di loro?»

Sono seguiti vari interventi a mio sostegno, ma anche la seguente precisazione della Lippa:

«Allora: numero uno. Nel caso della primogenita, per quel che posso conoscerla, non ci sono motivi di raccontare palle a proposito dell’insegnante. Numero due: non sto angariando proprio nessuno. Ho scritto un raccontino. Numero tre: un giudizio sul valore del medesimo lo riservo a quando ne farò la conoscenza. E comunque non ne parlerò mai male davanti a mia figlia. Numero quattro: qualora le cose fossero andate in questo modo, eh no, non esiste assoluzione.»

A mia volta:

«Un’unica osservazione. Immagino che i compagni e gli insegnanti della figlia della Lipperini, oltre che Carlotta stessa, possano talvolta sentirsi tentati di curiosare nel blog della madre. Vedendo questo post il prof. sarà facilmente identificato e potrebbero comunque nascere zizzanie di vario genere. Raccontino per raccontino, sarebbe stato meglio evitare indizi così scoperti.»

E la Lippa: 

«No, caro Docente. Nessuno sa che mia figlia è mia figlia, visto che il cognome è un altro. E ti assicuro che i suoi compagni hanno ben altro da guardare, in rete… » (Ma Carlotta stessa si è affacciata più volte nel blog della madre, n.d.r.).

Il cazzone Girolamo ha commentato: 

«Da docente a Docente: posso dire che un collega che facesse un discorso come quello di cui sopra a ora di cena sarebbe un cazzone? Raccontino per raccontino, eh?»

A quel punto, raccontino per raccontino, ho chiosato:

«Mettiamo che a scuola si sappia che Carlotta è figlia di una giornalista di Repubblica che tiene un blog letterario. Mettiamo che qualche genitore lo legga. Mettiamo che lo riferisca al preside. Mettiamo che, di bocca in bocca, il racconto arrivi alla Gelmini. Mettiamo che Gelmini e Brunetta licenzino in tronco il povero prof. Mettiamo che il povero prof si suicidi. Mettiamo che il figlio del prof suicida si vendichi contro Carlotta… Pupi Avati insegna.»

Allora anche Guglielmo Pispisa l’ha buttata sul surreale:

«E io che scrivo solo per soldi ma la scrittura mi fa schifo e invece vorrei fare il professore?»

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Sabato, marzo 07, 2009 

CARLA BENEDETTI E LA SUA “STRONCATURA EPICA” 

A differenza di Loredana Lipp’Erinni , sempre meno capace di distinguere una bufala da un bufalo, Carla Benedetti non si è lasciata infinocchiare dalle fumisterie autopromozionali di Wu Ming 1. Lucida, coraggiosa, indipendente, la docente di Letteratura Italiana Moderna e Contemporanea ha finalmente sciolto le riserve intorno al NISE (New Italian Self Essay, saggio scritto da se stessi su se stessi) sul settimanale L’Espresso, che alle pagine 118-119 del numero del 12 marzo 2009 riporta il suo articolo “STRONCATURA EPICA”.

Stralcio qua e là:

«L’epica è parola non nuova ma euforica: evoca vastità d’orizzonti, grandezza di scrittura. Soprattutto accende un’idea di letteratura potente. E infatti il collettivo Wu Ming parla di opere ‘ambiziose’, ‘eccentriche’, di ‘sguardo obliquo’, ‘azzardo’ e ritrovata ‘fiducia nel potere della parola’… Penso ai libri che più ho ammirato negli ultimi anni, diversi ma tutti carichi di azzardo e di fiducia nel potere della parola… di tutti quei libri non c’è traccia, come se fossero tutti dentro quel postmodernismo stanco a cui i Wu Ming dicono di opporsi… Ma la delusione più grande è scoprire, dietro all’apparenza di un manifesto teorico, il volto repressivo del canone. Perché è questo che ci viene proposto: un canone con tanto di requisiti che un libro deve possedere per rientrarvi. Un canone piccolo, e su misura, tarato sul tipo di libro che scrivono i Wu Ming stessi. Un grappolo di quattro opere, due loro, una di Giancarlo De Cataldo e una di Evangelisti ne formano il cuore, poi allargato ai libri di Massimo Carlotto, Carlo Lucarelli, Andrea Camilleri e altri scrittori che hanno praticato la genre fiction per ‘andare oltre’… infine vengono gli ‘oggetti narrativi non identificati’, che si rivelano una furbizia: una categoria ombrello dove prendere dentro quando è il caso un po’ del restante – e il caso è quando si tratta di libri che possono portare prestigio al catalogo, come ‘Gomorra’, un libro straordinario, la cui forza sta anche nel non essere un ‘romanzo criminale’ alla De Cataldo, non ha forzato il noir, l’ha scartato, instaurando col lettore un patto inusuale che nessuno dei libri canonizzati condivide… »

Eccetera.

P.S. Sono più o meno le stesse cose che vado ripetendo da mesi, e per le quali sono stato ripudiato simultaneamente da Genna, Bui e Lipperini. Vedi:

http://lucioangelini.wordpress.com/2008/05/09/neo-epiche-reazioni-al-post-di-ieri/

(Immagine da http://www.sindacatoscrittori.net/comunicazione/news5/benedetti.jpg )

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Venerdì, ottobre 17, 2008 

ANGELINOCCHIO E LA FATA LIPPERINA

 

«Ora immaginatevi voi quale fu la sua maraviglia quando, aprendo il blog della Fata Lipperina, Angelinocchio si accorse che il suo ultimo commento non era stato cancellato. Dunque non era più considerato un troll di legno? Dunque era stato riammesso al dibattito al pari di tutti gli altri? Andò a guardarsi allo specchio e vide l’immagine vispa e intelligente di un signore coi capelli rasati, cogli occhi verdognoli e un’aria allegra e festosa come una pasqua di rose. In mezzo a tutte queste meraviglie, che si succedevano le une alle altre, Angelinocchio non sapeva più nemmeno lui se era desto davvero o se sognava sempre a occhi aperti.

– E il vecchio troll di legno dove si sarà nascosto?

– Eccolo là, – rispose la vocina di Iannozzi; e gli accennò un grosso burattino appoggiato a una seggiola, col capo girato sur una parte, con le braccia ciondoloni e con le gambe incrocicchiate e ripiegate a mezzo, da parere un miracolo se stava ritto.

Angelinocchio si voltò a guardarlo; e dopo che l’ebbe guardato un poco, disse dentro di sé con grandissima compiacenza: “Com’ero buffo, quand’ero considerato un troll di legno!… e come ora son contento di essere stato di nuovo scambiato per un commentatore perbene!»(1)

(1) Nuntio vobis gaudium magnum: l’ultimo commento di Lucio Angelini in Lipperatura, forse perché sotto il nick “Labuttolì”, non è stato (ancora) censurato*-°

http://loredanalipperini.blog.kataweb.it/lipperatura/2008/10/15/le-parole-degli-altri/#comments

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kinglear Dice:
17 ottobre 2008 alle 07:52   

Che buona che è stata la fata lipperina. :-D DD Però sta attento, può darsi che semplicemente non le funzionava il topolino, cioè il mouse. :-) E poi, tu lo sai meglio di me, a mezzanotte ogni favola che si rispetti finisce. :-)

Lioa Dice:
17 ottobre 2008 alle 15:15 Come avrai notato, tendo a trasformare i miei interlocutori in personaggi da blog, spesso allontanandomi dalla dura o più banale realtà*-°

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venerdì, dicembre 04, 2009 

CITATO DALLA IANNUZZI (E NON DA IANNOZZI:-) )

Avete presente il saggio di Giulia Iannuzzi sui blog letterari?

http://www.biblionedizioni.it/L-informazione-letteraria-nel-web

Well, vi sono citato ben dieci volte, giusto riconoscimento dopo quattro anni di onorata bloggheria (un giorno, magari, Tornatore girerà sull’argomento il film Bloaarìa… ).

A dire la verità la Iannuzzi non è stata audacissima. Per esempio a pag. 159 dice:

“Con un’ultima annotazione vogliamo verificare la risonanza [e te credo, ormai la Lippa è considerata il megafono ufficiale dei Wu Ming su Repubblica e in rete!, n.d.r.] che su Lipperatura ha avuto, nel 2008, il dibattito sul saggio di Wu Ming 1 ‘New Italian Epic’… In coda all’articolo, tra i commenti interveniva anche Wu Ming 1, interloquendo con Lucio Angelini e altri lettori sul tema delle traduzioni da altre lingue in lingua inglese e sul concetto di ispirazione… oltre a Lucio Angelini, ***i cui toni polemici vanno inasprendosi nonostante le ammonizioni di Lipperini***… Lipperini interviene… ***in un caso anche censurando un intervento***, evidentemente ritenuto offensivo o irrispettoso della discussione…”

La realtà è un’altra: la Lipperini non sopporta di essere contraddetta soprattutto quando indossa le ali di ‘angelo del ciclostile’ dei Bolognesi: – )

Non poteva immaginare, inoltre, la povera Iannuzzi, che gli interventi censurati dalla immoderata moderatrice assommavano a svariate centinaia o che la titolare di Lipperatura sarebbe presto arrivata alla DEFENESTRAZIONE DEFINITIVA E PERPETUA del più irriducibile denunciatore della BUFALA del New Italian Epic:

http://lucioangelini.wordpress.com/2009/03/18/la-beffa-a-castelvecchi-editore-e-la-beffa-a-einaudi-stile-libero/

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Sabato, ottobre 08, 2011

NEW ITALIAN MINCULPOP CONTRO STEVE JOBS

Hanno diligentemente aspettato che Steve Jobs morisse di cancro per gridarsi l’un l’altro quanto fosse impuro rispetto al nitore della loro passione proletaria. Chi?  I soliti Lipperini, Wu Ming 1, Girolamo De Michele, Kaizen… e il piccolo gruppo di feticisti dello stalinismo da cartolina che segue Giap

“Nessuno dei miei amici e colleghi di lavoro, in queste ore, ha accettato che nella commemorazione ci fosse la minima incrinatura”, si lagnava ieri Loredana Lipperini nel suo blog. Meno male che lei non si è lasciata intimorire e, spronata dal fuoco della venerazione per il Vate di Bologna, ha suonato la grancassa per propagandarne il giornalino (c’era un articolo fresco fresco su un argomento ormai stantio: il feticismo verso la merce). Ci sono momenti in cui la Lipperini fa davvero pensare alla Carfagna quando si fa scrivere i discorsi da Bocchino, se posso arrischiare una battutaccia da cattiva satira. Fatto sta che Loredana non ha trovato la forza di sopportare un commento quale il seguente, che è stato prontamente CENSURATO e RIMOSSO:

Lipperini, Banda dei Quattro, Girolamo, Kaizen e gli altri neo-minculpopisti : grazie a Steve Jobs per i doni che ci ha lasciato. Ovviamente “est modus in rebus”, non servono le pippe di wuming1 per scoprire l’acqua calda, ovvero che un coltello, utilissimo in sé, può diventare uno strumento criticabile quando lo si adoperi per tagliare la lingua ai dissenzienti…

Postato venerdì, 7 ottobre 2011 alle 8:58 pm da Libertario di Sinistra

Mamma mia quanto li invidio. Come faranno a essere sempre così duri e puri?  

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16 dicembre 2011

UCCIDERE GIULIO MOZZI

http://lucioangelini.wordpress.com/2011/12/16/uccidere-giulio-mozzi/

Anche Giulio Mozzi usa spesso Facebook per invitare i faccialibrini a visitare il suo blog Vibrisse Bollettino. Uno degli ultimi specchietti recitava:

“Giulio Mozzi nota che in breve tempo si sono accumulate (nei commenti) un sacco di domande; e cerca di dare un po’ di risposte.”

Tutte le cose che un autore alle prime armi deve sapere sul conto degli editori 

Mi sono divertito a commentare:

“Leggo su un quotidiano: ‘Raffaele Sollecito firma per un libro negli Usa. Dopo l’assoluzione ha cominciato a scrivere le sue memorie’. Insomma la scorciatoia migliore per impressionare gli editori pare sia quella di restare coinvolti (a torto o a ragione) in qualche delitto importante. Quanto ad Amanda Knox si è accontentata dello stesso agente di Obama. Domanda ucronica: ‘Ma se io uccidessi Giulio Mozzi, poi l’Orietta Fatucci di Einaudi Ragazzi mi rimetterebbe in catalogo?’*-° 

Allora lui, che ogni tanto si abbandona a facili psicofichismi, ha osservato: 

“No, Lucio: tu devi uccidere Orietta Fatucci. Così il tuo Edipo si libererebbe. In altri termini: se smetterai di pensare a lei come al Male Assoluto Che Ti Ha Rovinato La Carriera, diventerai adulto. Se no, no.” 

Non ho resistito alla tentazione di abbandonarmi a mia volta a facili sentimentalismi: 

“Caro Giulio, per mia fortuna la carriera vera (quella da insegnante, che mi ha assicurato una pensione) non è dipesa né da Fatucci né da altre megere che infestano l’ambiente dell’editoria giovanile. Per le altre ambizioni, sì, certo, ho sofferto per la cessazione di opportunità valide, ma amen, non si può avere tutto nella vita. Ho comunque pubblicato sei libri come autore e quasi 150 come traduttore. Ma soprattutto ho due figli che adoro, vivo nella più bella città del mondo, frequento le più belle montagne del mondo, mi sento comunque adulto e se di tanto in tanto mando in visione qualche nuovo lavoro letterario a qualcuno, lo faccio con lo stesso spirito con cui può capitarmi di giocare al WinForLife: se va, va, se no pazienza. Con tre quarti di mondo alle prese quotidiane con il problema della fame, mi sento fortunato così come sono. Inoltre – contrariamente a quanto tu pensi – non devo più crescere, alla mia età, ma solo decrescere. Soprattutto di peso: da 90 vorrei scendere a 70. Ci riuscirò mai? Trovi che siano pretese esagerate? Un abbraccio.” 

Lui non è riuscito a trattenere le lacrime: 

“E dunque, Lucio: con tante belle cose che ci hai nella vita, sempre della Fatucci vieni a parlare? Pàrlaci dei figli che adori, della città più bella del mondo, delle montagne più belle del mondo, eccetera eccetera. Perché da queste parti, Lucio, ti si vuol bene.” 

Mia ultima replica: 

“Sempre? Penso di aver dato prova di una certa varietà di spunti nel blog che aggiorno dal lontano aprile 2005. Senza contare che Fatucci, Forestan, Lipperini, Wu Ming 1 e via discorrendo sono ormai personaggi di un mio divertito teatrino, più che esseri reali.”-°

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7 DICEMBRE 2005 

EDITORIA E CENSURA

 

Mario Infelise, ex-direttore del dipartimento di studi storici dell’Università di Venezia e docente di storia dell’editoria, ieri pomeriggio all’Ateneo Veneto ci ha piacevolmente intrattenuti sul tema “Editoria e censura a Venezia nel Cinquecento”. Sintetizzo per voi. 

Nei primi decenni successivi all’invenzione della stampa (metà del Quattrocento), nessuno si preoccupò del fatto che insieme ai libri camminassero anche le idee. L’editoria era libera, ognuno poteva aprirsi una stamperia senza bisogno di particolari permessi. Non c’erano provvedimenti o istituzioni limitativi della libertà di stampa (libertà, peraltro, ancora perfettamente “inconsapevole”). Tale libertà era anche “di movimento”: i grandi editori veneziani venivano quasi tutti dal di fuori (si pensi all’attività di Aldo Manuzio, ideatore dei caratteri tipografici da lui detti ‘aldini’). 

La grande novità che fece sorgere il problema della censura (o meglio del controllo) dei testi in circolazione fu la predicazione di Lutero, con lo spavento prodotto dai suoi effetti: rivolte contadine, minaccia al potere della Chiesa e quant’altro. Va precisato che le opere di Lutero ebbero subito un’ampia e capillare diffusione. Nel 1520 a Venezia erano regolarmente in vendita tre trattati di Lutero. Il clima generale cambiò bruscamente. Già nel gennaio 1515, poche settimane prima di morire, Aldo Manuzio, in una prefazione al “De rerum natura”, si era sentito in dovere di precisare che Lucrezio, benché grande, era in contrasto con gli insegnamenti della Chiesa, e andava quindi considerato “autore falso e menzognero” (dopodiché, fino al 700, Lucrezio non sarebbe stato ristampato più). L’effetto-Lutero, insomma, generò la consapevolezza della potenza delle opere a stampa rispetto ai manoscritti. È del 1515 una prima bolla  con cui Leone X auspicò un preventivo controllo pontificio sull’editoria. Nel 1527 la stessa repubblica si pose il problema da un’angolatura politica. Il  famoso volume “Beneficio di Christo” venne edito a Venezia dallo stampatore Bernardino de Bindonis nel 1543, uscendo in una forma anonima (alcuni riformatori conoscevano bene l’identità dell’autore e del revisore, ma solo nel 1566, sotto tortura, Pietro Carnesecchi confessò all’Inquisizione che l’autore era Benedetto Fontanini da Mantova.), ed ebbe un successo clamoroso: venne ristampato più volte e, secondo Pier Paolo Vergerio in sei anni ne furono prodotte almeno 40.000 copie (secondo altre fonti fino a 80.000 copie). [Si veda anche:

http://www.wumingfoundation.com/italiano/outtakes/c.html ]. 

Il salto di qualità avvenne nel 1559 con l’apparizione dell’ Index librorum prohibitorum, che vietò addirittura la lettura della Bibbia in volgare, oltre che le opere di vari autori come Rabelais, Boccaccio, Erasmo eccetera. Nel 1564 un Nuovo Indice (“Tridentino”, frutto del Concilio di Trento) mitigò gli atteggiamenti censori riammettendo alla stampa diversi libri purché EXPURGATI (cambiati o persino riscritti). Il Decameron, ridotto a 28 novelle ritoccate, fu “assassinato” per l’occasione dal Salviati. Nel 1571 fu istituita la Congregazione dell’Indice, che discusse se proibire persino Ludovico Ariosto. Alla fine del Cinquecento la convinzione della necessità della censura era ormai ampiamente condivisa. Nel 1596 Botero, nel suo “Della ragion di stato”, dichiarò che la religione era il miglior collante per un buon governo. Paolo Sarpi fu il peggior nemico del controllo ecclesiastico sull’editoria, ma solo per tirare l’acqua verso il mulino del controllo statale (1613, “Sopra l’officio dell’Inquisizione”). Nei primi anni del Seicento la scure si sarebbe poi abbattuta sulle opere di scienza (Copernico, Galileo eccetera).

Fin qui Infelise.

Adesso a me gli occhi. Passiamo alla “voglia di censura” elettronica:- )  

… di fase in fase, il problema è arrivato fino ai giorni nostri, in cui alle forme tradizionali di censura si è aggiunta anche quella commerciale (ciò che è poco vendibile, non si stampi!). Naturalmente, dopo gli altri media, il problema del controllo ha investito anche la RETE. In essa – e in particolare all’interno di certi forum e lit-blog NON MODERATI – qualcuno si è cominciato a chiedere se sia il caso di garantire il diritto di parola proprio a tutti (odio quel che dici ma… eccetera) o se non sia preferibile filtrare una parte degli interventi. Vediamo un breve dibattito avvenuto in it.cultura.libri tempo fa:  

Federico Platania l’8 febbraio 2002 

Tira una brutta aria su ICL. Monica si becca turpiloqui vergognosi (per chi li fa, non per lei), Alfio molla, altri tentennano. Beh, dico la mia. Non saranno quegli stronzi che ultimamente galleggiano su ICL a farci andare via. Noi siamo migliori di loro e più forti di loro. Ma sono contro la **moderazione**, termine che da solo mi mette i brividi. È una forma di censura per decerebrati. Io non ho bisogno di essere moderato da nessuno e non ho bisogno di moderare nessuno. Qualcuno ha detto che la censura non va applicata perché “un cattivo libro non si combatte bruciandolo. Si combatte scrivendo un buon libro“. Ebbene. I cattivi partecipanti non si combattono censurandoli, si combattono essendo dei buoni partecipanti. Se pensate che io me ne vada per colpa degli stronzi avete capito male. Gli stronzi, in quanto tali, si puniscono da soli. C’è un sacco di roba meravigliosa di cui parlare. Dove eravamo rimasti?   

A lui il mitico p.bianchi 

> Non saranno quegli stronzi che ultimamente galleggiano su ICL a farci andare via. Noi siamo migliori di loro e più forti di loro.

1/3 dei post sono di troll, 1/3 solo gli utenti che si parlano addosso fra di loro, a parlare di libri ne resta 1/3.  

> Ma sono contro la **moderazione**, termine che da solo mi mette i brividi. È una forma di censura per decerebrati 

Ma per favore, la mia esperienza è che una  moderazione appena decente può fare solo bene. Se la vedi solo nei termini del maestro che dalla cattedra ti accorda benevolmente la parola, certo è frustrante. Ma  quella non è la moderazione come è intesa nel senso telematico, è la conduzione del
dibattito marxista (una cosa pilotata). La moderazione telematica sono solo filtri umani che confrontano il messaggio col manifesto e tagliano via spammer, trolloni, quotatori pazzi (100 righe e poi sotto: “sono d’accordo”) e offtopari incalliti. Tutto il resto passa, senza entrare nel merito. Si tratta solo di mettere giù una policy (o manifesto) chiaro e scegliere moderatori che hanno tempo da buttare. Il limite è il fattore umano, il msg arriva al moderatore che lo deve accettare. Si possono fare dei robot che rigettano i messaggi tecnicamente malfatti (es. troppi quote), si possono fare delle white list, si può fare un pool di moderatori intercambiabili, tutti autorizzati a valutare la lista dei msg. in attesa e autorizzarli. Poi ci saranno sempre e comunque gli scazzi, tipo la valutazione di se, quando e quanto accettare messaggi offtopic. Ci saranno sempre i malumori e le accuse ai mod di essere una cricca esaltata dal potere. Ma almeno internet permette a tutti di farsi dei ng paralleli, chi si sente maliziosamente escluso ha facoltà di coagulare consensi e fondare il suo ng concorrente alla cricca, così si vede quale è più bello.
  

> Ebbene. I cattivi partecipanti non si combattono censurandoli, si combattono essendo dei buoni partecipanti. 

Non è vero. Al tuo whishful thinking oppongo la legge del Bertolazzo che dice che “il messaggio cattivo scaccia quello buono”. Uno attacca la deriva offtopara, e tutti dietro, perché il vizio è più divertente della virtù. L’offtoparo da quel momento offtoperà sempre  più spesso, pur di esserci e conseguire una sua riconoscibilità. Non parliamo di spammer e troll e flamewaristi, che esistono apposta ed esclusivamente per cercare di demolire i gruppi. Certo bisogna tenere i nervi saldi e filtrare, skippare, razionalizzare, ignorare e così via. Ma c’è sempre chi non riesce, chi gli saltano i nervi, chi quota, e anche se non vedi la merda, la puzza finisce che aleggia lo stesso e impregna. Quanto credi che si possa resistere? In guerra, sei impavido e resisti da eroe al primo, al secondo, al terzo bombardamento. Al decimo impazzisci anche tu. Qui, meno cruentemente: dopo un po’ che legge solo ed esclusivamente cazzate, uno molla e si dedica ad altro. Normalissimo, il PC è un elettrodomestico, si stacca la spina.  

> C’è un sacco di roba meravigliosa di cui parlare. Dove eravamo rimasti? 

Non sottovalutare il problema, non è dando una rosa al barbiere che ti ricresce la gamba 

Lucangel:-)  a p. bianchi  

> Non sottovalutare il problema, non è dando una rosa al barbiere che ti ricresce la gamba.  

Ti sei dimenticato di spendere due righe su chi debba controllare i controllori: una volta consegnata la delega, sarà poi facile farsela restituire?

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LA LIPPERINI E L’INDEX POSTATORUM PROHIBITORUM

11 ottobre 2008

Ispirandosi al famigerato Index Librorum Prohibitorum, LOREDANA LIPPERINI, ragazza sandwich della ditta Genna & Bui, insiste nel purificare il  commentarium del proprio blog da qualsiasi osservazione contraria al NIE.

Lo scorso 8 ottobre, per esempio, non ha mancato di riverberare dalla propria postazione blogghica il «lungo intervento diWu Ming 1 alla conferenza  londinese “The Italian Perspective on Metahistorical Fiction: The New Italian Epic” e di aggiungere che “il racconto iniziale Su Carmilla è di una forza emotiva rara, di questi tempi”», ma quando mi sono permesso di contestare i sette pilastri della saggezza wuminghiana, ha subito cancellato l’intervento…

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COME CENSURARE ANGELINI E VIVERE FELICI

Novembre 30, 2009

“Ancora Angelini? Come censurare i commenti e vivere felici”

E’  il titolo di un saggio citato qui:

http://www.cabaretbisanzio.com/2009/03/31/alcune-cose/

La frase più divertente del post riguarda una considerazione di Loreppina/Lipperini:

Poi chiedo a Wu Ming 1 COSA NE PENSO e vi dico“.

(Immagine tratta dal blog ‘Cabaretbisanzio’)

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11 GIUGNO 2010

LOREDANA LIPPERINI E LA SILENZIAZIONE DEL DISSENSO

(Roberto Bui, alias Wu Ming 1)

Ieri il blog di mia cugina si occupava di Luttazzi, fan, sfan, stalking e via discorrendo. Grande spazio al solito Wu Ming 1, che ogni tanto si affaccia in rete e svuota  nel commentarium della sua principale fan decine di commenti a comprovare che è ancora vivo e ha un grande cuore rosso.

http://loredanalipperini.blog.kataweb.it/lipperatura/2010/06/10/divertimenti2-su-daniele-luttazzi/

Mi sono permesso di esprimere il seguente pensiero:

“Dunque. Per chiunque svolga un lavoro “artistico” (cantante, scrittore, comico e via discorrendo) il fan è semplicemente un “utile idiota”, lo “sfan” un pernicioso essere da silenziare (sì, è vero, Wu Ming 1 lo sa molto bene), magari con l’aiuto di chi fa beotamente squadra con lui nella speranza di cavarne qualche vantaggio o qualche riflesso di lustro.”

Il commento è resistito qualche minuto, poi è stato rimosso. (Ahi ahi, come predicano bene certi Soloni e Solonesse dall’anima nascostamente nera*-°)

In compenso è apparsa la RISPOSTA di tale Amelia (sempre Wu Ming 1?) al suddetto commento:

“Il fan, in quanto ‘fanatico’ è una persona che ha scelto di amare qualcuno o qualcosa eleggendolo a simulacro di perfezione, reputandolo irrazionalmente un modello ideale a partire unicamente da alcune sue qualità positive (es. “Mi fa ridere, è contro berlusconi, ergo rappresenta il Giusto”), se il fan è uno che si inventa un mito di purezza che si incrina inevitabilmente al primo errore, se il fan è quello che non può perdonare al suo simbolo di aver macchiato la sua infantile rappresentazione, e allora sceglie una lapidazione purificatrice, se è tutte queste cose, allora il fan è senza dubbio un idiota, ma di sicuro non è utile. La folla dei discepoli è la folla inferocita che insegue l’indegno maestro col forcone. Il fan è quello che ama, e l’amore non perdona il tradimento. Il fan sceglie irrazionalmente e mette tutti nella merda. Avete presente quelli che amano Berlusconi?”

Ho tentato invano di ribattere:

“@Amelia. Non hai capito. Finchè il fan contribuisce a diffondere il nome e i prodotti del suo idolo, gli è certamente “utile”. Quando poi si stufa, magari perché ne ha intuito la nascosta miseria, allora non lo è più. Di qui le interessate carinerie di molti idoli ai propri fanclub (mailing list, epifanie… ) per tenerseli buoni.” 
 
Invano, perché la replica è stata bloccata. Lì in Lipperatura hanno diritto a commentare solo i ragazzi e le ragazze del clan.

BOCL N. 45 (ALTRI RAGAZZINI DELLA LETTERATURA)

 

[One of the coolest remixes that anyone’s done of my books has been the speed reader that Trevor Smith put together, which flashes the books one word at a time, at high speed, inside a Java applet. Though the words fly past so fast that they practically flicker, they are still readable — there’s some heretofore unsuspected talent buried in our brains for parsing sentences when rendered as rapid-fire flashcards. ]

Lunedì, gennaio 02, 2006

Spazzatura.bmp

Scrive Paolo Brunetti su carmillaonline di oggi 2 gennaio 2006:  

http://www.carmillaonline.com/archives/2006/01/001622.html#001622

“Prendiamo l’esempio della industria editoriale. Il presupposto della sua esistenza, oltre che del suo sviluppo, è la possibilità di produrre e vendere sempre di più, ma perché ciò sia possibile occorre che solo una minuscola minoranza di coloro che comprano libri e riviste li leggano, perché se leggessero tutto quello che comprano, la velocità di acquisto calerebbe fino a provocare il tracollo del settore. Provate a riflettere sulla lettura dei giornali. Ogni acquirente dedica alla scorsa dei giornali dai dieci ai venti minuti al giorno, a meno che non si tratti di qualcuno che non ha nient’altro da fare. Per mantenere la tiratura i giornali devono non informare, ma creare nel cliente il desiderio di comprare il giornale che ovviamente non avrà tempo di leggere. Per vendere bisogna creare una relazione identitaria con il ‘non lettore’ che comprerà l’idea che il giornale gli ha fornito di se stesso (vedi ‘La Repubblica’) e poiché anche questo non basta più il giornale porta libri, videocassette, cd, dvd ed altri ammennicoli. Ci sono nelle case degli italiani, dei tedeschi, degli inglesi, dei turchi ecc. decine e decine di libri, videofilm e chissà altro che nessuno avrà mai il tempo di leggere o di vedere. Ci sono persone che hanno accumulato qualche centinaio di film, per vedere i quali dovrebbero stare otto ore al giorno davanti al monitor, per più di un mese. In Italia si stampano ogni anno circa 50.000 libri, quasi centocinquanta al giorno comprese le domeniche e le festività. Di questi più della metà non arrivano nemmeno nelle librerie, ma finiscono direttamente al macero per dar vita alla stampa di nuovi libri. Degli altri qualche migliaio hanno effettivamente mercato, in maggioranza vendono qualche centinaio di copie, gli altri restano sugli scaffali da pochi giorni a qualche mese per essere ritirati e ricominciare da capo il ciclo ‘produttivo’.” 

È stato inevitabile pensare a Luca Tassinari di http://letturalenta.net/2005/11/pagare-per-esistere/

(vd post seguente)

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Giovedì, dicembre 01, 2005 

PAGARE PER ESISTERE

Il 28 novembre u.s. Luca Tassinari di www.letturalenta.net  pubblicò l’interessante articolo che ripropongo qui sotto. Bart Di Monaco commentò: “Sarebbe simpatico farlo circolare“. E Luca: “Bart, io ci ho provato a farlo circolare, ma il layout di ‘sto blog è irrimediabilmente rettangolare.”

Così ho deciso di tentare io la cerchiatura del quadrato.

Ecco il pezzo:

“Gli editori lamentano le poche copie vendute; i librai soffrono l’assottigliamento dei margini economici; gli autori rinnovano in mille modi l’antico aforisma: carmina non dant panem; i traduttori denunciano la scarsa visibilità del loro lavoro; i critici criticano la scarsa attenzione alla critica. Nella gran macchina della produzione letteraria tutti si considerano sottostimati, sottovalutati, sottopagati. No, dico, va bene che l’erba del vicino è sempre più verde, che l’uomo è pessimista per natura, che il mondo è crudele, ma allora io – il lettore – cosa dovrei dire?

Insomma, dico, dovrei sempre stare zitto e buono ad ascoltare le lamentele altrui? Eh no, cavolo, per una volta mi lamento io. Voglio gustare anch’io, e fino in fondo, l’universale panica esperienza del piagnisteo letterario.

Io – il lettore – esisto, sì, ma solo in quanto numeretto in coda per acquistare, spendere, consumare, mentre le mie maravigliose e indiscutibili doti creative sono completamente ignorate. All’editore e all’autore interesso solo come fonte potenzialmente inesauribile di vile pecunia. Che legga o non legga per loro è perfettamente indifferente, purché io compri. Lo si vede da quello che fanno: pubblicano decine, centinaia di nuovi titoli ogni mese. Roba che per leggerne un decimo toccherebbe avere due scanner ad alta velocità al posto degli occhi.

Me lasso! Vago confuso per luoghi ormai più simili a gran bazar che a librerie, circondato da pile e pile di libri-fuffa a loro volta circondate da gadgettini e puttanatine d’ogni specie: calendari, magliette, agende, giochi di società: trovare un libro vero là in mezzo è un’impresa disperata. A volte mi avvicino timidamente a un commesso, chiedo informazioni, ma solo per essere guardato in tralice come un povero mentecatto o spedito come una biglia da un reparto all’altro, senza metodo, senza cortesia: La novella del grasso legnaiuolo, dice? Provi un po’ al reparto hobby e tempo libero.

Ahi sorte ria! ahi mondo ingrato! Già, la gratitudine.

L’altro giorno sul domenicale del Sole ho letto un articolo di Stefano Salis che satireggiava sulla moda di mettere i ringraziamenti in coda ai libri: grazie alla mamma per avermi allattato, alla moglie o al marito avermi sopportato, all’editor per avermi editato, all’editore per avermi pubblicato, e via così. Poteva essere un bell’articolino, spiritoso e simpatico, se non fosse stato per un sottotitolo a dir poco offensivo: Da Egger a Baricco infuria l’omaggio a editor, agenti e persino lettori. A parte il fatto che qualcuno dovrebbe spiegarglielo, al titolista, che Dave Eggers si chiama Eggers e non Egger, a parte questo dico, come sarebbe a dire persino lettori? Ma chi sono io? il figlio della serva? Ringraziare gli altri è comico, mentre ringraziare me è scandaloso?

Ecco come mi trattano tutti. Io – il lettore – considerato alla stregua di un paria! Il lettore, dico, ovvero la colonna portante della letteratura mondiale di tutti i tempi. Perché hai voglia tu a scrivere, autorevole autore; hai voglia a pubblicare, pubblicano d’un editore; hai voglia a tradurre, o transeunte traduttore; hai voglia a esporre la tua merce, libresco libraio, ma se io non leggessi andreste tutti a pelare patate! In cambusa! altro che gloria letteraria!

Ma questo sarebbe niente, o lettore che mi leggi (sia pure talvolta – va detto – con deprecabile guizzo velocista), condividendo così la mia infelice sorte per la durata di questo post. Questo sarebbe niente. In fondo alle avversità si fa il callo, come natura vuole, grazie alla formidabile capacità di adattamento alle avversità propria dell’umano genere. Ma come posso tollerare le lamentele altrui sulla scarsa redditività del loro ruolo? Non ci danno una lira, lamentano i traduttori; non ci caviamo manco le spese, ribattono i librai; vendiamo troppo poco, incalzano gli editori; di scrittura non si vive, aggiungono gli autori.

Ma io, santa pazienza, cosa dovrei dire? Cosa dovremmo dire noi lettori di tutto il mondo? Noi, i pilastri della letteratura, dobbiamo addirittura pagare per esistere!” (LUCA TASSINARI)

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19 marzo 2007

VANITÀ DI LIBRITÀ. TUTTO È NOVITÀ

“Ogni giorno in Italia vengono pubblicati 170 nuovi titoli, ma il 35% della tiratura è destinato alla carta straccia, come in una gigantesca discarica di parole e pensieri. E in libreria di loro non resta traccia, non importa se belli o brutti, la legge è ormai questa, fare spazio sugli scaffali per le ‘novità’, così i libri di oggi divorano quelli di ieri, e sempre più frequentamente accade che sperduti tra chilometri di romanzi e saggi, tra migliaia di proposte e offerte, non si riesca a trovare quell’unico volume che stavamo cercando… “

“Migliaia di titoli vengono cannibalizzati da altri titoli, basti pensare che dal 1996 al 2005 sono usciti dalla circolazione 373.787 libri, e che ogni anno finiscono fuori catalogo oltre 40 mila volumi. Uscire fuori catalogo vuol dire scomparire, missing, perché per librai grandi e piccoli ormai il deposito è diventato un costo morto, una voce in perenne passivo”(Giuliano Vigini, esperto di editoria)

“La verità è che c’è un’invasione di novità insostenibili, e che spesso non vendono nemmeno una copia. A volte con una battuta dico che gli UNICI A FARE UN PO’ DI SOLDI IN QUESTA INVASIONE DI LIBRI SONO SOLTANTO GLI AUTOTRASPORTATORI. GUADAGNANO INFATTI CONSEGNANDO I LIBRI, E GUADAGNANO DI NUOVO PORTANDO INDIETRO QUEI TITOLI COME RESA…” (Luca Nicolini, libraio e uno degli organizzatori del Festival della Letteratura di Mantova)

(Tutti e tre i passi sono tratti dall’articolo “Alla ricerca dei libri perduti. Quaranta giorni e sono già da buttare“, di Maria Novella De Luca, pubblicato su ‘la Repubblica’ di giovedì 15 marzo scorso)

[Immagine da http://www.sertudine.it/macero.gif ]

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Sabato, febbraio 11, 2006

 

(Carla Benedetti)

BENEDETTI SCATENATA

CONTRO LA SCRITTURA

COLLETTIVA

Brontola, infatti, su L’Espresso del 9 febbraio 2006:

“Di sicuro Proust non avrebbe mai scritto un romanzo a più mani con altri narratori del tempo. Ma se lo avesse fatto (immaginiamolo alle prese con Gide, Rolland, Dujardin) che ne sarebbe stato di quel suo lento, stupefacente, periodare asmatico? Come minimo gli avrebbero chiesto di scorciare le frasi. La scrittura collettiva, che oggi viene spesso presentata come la frontiera più avanzata della narrativa, è in realtà un livellatore di differenze che piega le voci di ognuno verso uno standard comune, e quindi reprime ogni forma di insubordinazione allo spirito del tempo. Perciò piace alle dittature d’ogni stagione, compresa l’odierna “dittatura del mercato”. Piacque al Duce il collettivo di scrittura formato nel ’29 da Marinetti, Bontempelli, Varaldo, e altri sette all’epoca celebri e oggi dimenticati. Sovvenzionati dal governo, i “Dieci” composero a 20 mani un romanzo d’avventura, Lo Zar non è morto, che ora Sironi ripubblica con la prefazione di Giulio Mozzi… [cut]… Se all’epoca l’operazione dei Dieci, che pure non nascondeva i propri intenti commerciali (Pirandello la definì una “gaglioffata”), poteva spiazzare qualcuno, oggi operazioni simili (Mozzi ricorda i Wu Ming e i Babette Factory, ma ve ne sono molti altri casi) appaiono del tutto pacifiche, perfettamente in linea con ciò che chiedono lo “spirito” del tempo e le sue macchine. Per l’industria dell’intrattenimento va molto bene se chi scrive è un artigiano della narrazione disposto a spogliarsi della propria diversità espressiva e di pensiero. Meglio voci docili che si lasciano disciplinare dal “collettivo” che non singolarità imprevedibili! Meglio una scrittura sterilizzata che una piena.”

In una vecchia intervista apparsa in www.girodivite.it Wu Ming1 ribatte:

“E ‘sti cazzi? Punto fondamentale del progetto Wu Ming è la progressiva smaterializzazione del culto della personalità dell’artista. Tant’è che wu ming nel dialetto mandarino della lingua cinese significa proprio ‘nessun nome’. Eppure sembra inconcepibile, date quelle che sono le nostre basi culturali, non pensare alla funzione dell’autore come ci è stata insegnata. Anche solo pensando al lavoro di elaborazione mentale che esso svolge. Di scelte di materiali, di stile, di forme, di contenuti etc etc . Il punto è che non è (non dovrebbe concepirsi in quanto) Autore. In quella maiuscola reverenziale (che c’è e pesa anche se non la si scrive e non la si può pronunciare) risiede il problema. E’ la stessa maiuscola che stabilisce d’arbitrio la differenza tra le arti e l’Arte, tra l’artista e l’artigiano. Sostanzialmente, gli autori dovrebbero tirarsela di meno, e capire che non sono affatto esseri fuori del comune, anzi, sono ‘dentro il comune’, nel regno di ciò che è condiviso da una società. Come ha scritto Stewart Home: ‘Si comincia con l’Autore, e si finisce con l’Autorità’. Noi pensiamo che partendo dagli autori (al plurale e senza la maiuscola) si arrivi tutt’al più all’autorevolezza, quel punto in cui esiste sì un ‘valore aggiunto’ (quello di un lavoro fatto bene) ma non c’è alcun tipo di imposizione né di coercizione.”

A chi dare ragione? Mah. La mia impressione è che scrittura individuale e scrittura collettiva possano coesistere tranquillamente come già avviene per le diverse religioni… ehm… Voglio, però, raccontarvi la mia particolare esperienza di scrittura collettiva. Un giorno, quand’ero insegnante, in una prima media assegnai il seguente esercizio: ogni alunno avrebbe dovuto scrivere cinque frasi tutte inizianti con “Io, quando… “, poi le avremmo lette e commentate insieme. Trovai le frasi raccolte così originali e divertenti che qualche tempo dopo, all’insaputa dei ragazzi, ne approfittai per ricavarne un magnifico racconto griffato Lucio Angelini: “IO A ME“.  Il racconto, che forse vi posterò DOMANI, da allora ha sempre portato la mia firma, ma devo confessare che gli spunti migliori mi erano stati forniti da quegli adorabili scavezzacollo.

A proposito di scuole, molti maligni sostengono che anche un noto conduttore di corsi di scrittura attinga a piene mani, per i suoi libri, ai materiali prodotti dai corsisti…

Invece Laura Lepri, un giorno, a Mestre, invitata alla scuola di scrittura creativa dell’Annalisa Bruni, riferì che “Va’ dove ti porta il cuore” era stato scritto, sì, da Susanna Tamaro, ma che a rimaneggiare profondamente il testo aveva provveduto lei (il famoso “editing”). Insomma un caso di scrittura a due:-)

Io, però, in linea di massima, le seghe letterarie preferisco farmele da solo in santa pace nella mia stanzetta, piuttosto che tra i vapori di una sauna affollata di individui “senza nome”, così poi magari un giorno Carla Benedetti potrà disquisire sull’Espresso della mia IMPREVEDIBILE SINGOLARITA’ :-/

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[Ecco il racconto “IO A ME”:                                                  

Il primo giorno di scuola la maestra, dolcissima, salutò la classe e propose:

“Adesso, tanto per conoscerci un po’, ognuno di voi scriverà su un foglietto una frase che cominci con ‘Io quando‘…. Poi le leggeremo insieme.”

Katia lesse per prima la propria frase: “‘Io, quando vado in montagna, mi viene sempre voglia di buttarmi da uno strapiombo, ma non ho mai provato'”.

La maestra sorrise: “Non è corretto dire ‘Io mi viene’. Bisogna dire ‘A me, quando vado in montagna, viene sempre voglia di buttarmi da uno strapiombo.’ Che tu non abbia mai provato a farlo, poi, è abbastanza ovvio. Altrimenti non saresti qui. Sentiamo Gianluca, adesso.”

Gianluca si alzò in piedi e lesse: ” ‘Io…’, mi scusi, volevo dire ‘a me‘. ‘A me, quando mi alzo la mattina, bevo sempre un po’ di coca-cola, poi vado a svegliare mia sorella e le mollo un rutto in faccia’”.

“Non ci siamo, Gianluca. ‘Io… bevo‘, non ‘a me… bevo’.

“È così che avevo scritto, infatti. Poi lei mi ha fatto venire un dubbio.”

Chi è che ti ha fatto venire un dubbio?”

“Lei.”

“Brutto impertinente! Come ti permetti di rivolgere un’accusa del genere alla tua insegnante? E tu, Anna, che cosa hai scritto?”

“‘Io’,” lesse Anna, “‘quando mi guardo i denti allo specchio, mi sembra di essere il conte Dracula, perché ho i canini all’infuori come lui’.”

La maestra tamburellò con le dita sulla cattedra: “‘A me, quando mi guardo i denti allo specchio, sembra di essere il conte Dracula’. O anche: ‘Quando mi guardo i denti allo specchio, mi sembra di essere il conte Dracula’. Intesi? Tu, Marco, che cosa hai scritto?”

Marco: “‘A me, quando ero piccolo, ho mangiato una scatola di supposte'”.

‘Io!!!’,” tuonò la maestra. “‘Io ho mangiato… eccetera’. Asinaccio! Sentiamo Sandrino.”

Sandro: “‘Io, quando vado in bicicletta, mi piace che l’aria mi venga tutta sul viso, perché mi sento chissà chi’.”

‘Io… mi piace‘? Ma che cosa avete in quelle orrende testacce? Segatura? No, no, no. Non ci siamo. Proprio non ci siamo. Si dice ‘A me, quando vado in bicicletta, piace… eccetera’. E tu, Carlo?”

Carlo: “‘A me, quando cado da un albero, non mi faccio male, perché so cadere nel modo giusto’.”

‘A me non mi faccio male’? Ti pare che suoni bene? Sei proprio una zucca di legno! ‘Io! Io non mi faccio male!‘. Adesso aprite bene le orecchie: al prossimo che sbaglia sarò io!… che FARO’ MOLTO MALE. Siete avvertiti.”

Toccava ad Emanuela: “‘Io… a me… io… a me… io, quando mi dicono di apparecchiare la tavola, metto sempre i pattini a rotelle: è la mia specialità’.”

“L’hai scampata bella! Sentiamo Paolo.”

“‘Io, quando piango, piango all’asciutto, cioè senza lacrime’.”

“Ne sei sicuro, Paolo?”

“Be’, a dire il vero… ”

“Su, pensaci bene.”

“Forse suona meglio così: ‘A me, quando piango, piango all’asciutto’.”

“Ci hai pensato a sufficienza, Paolo?”

“Mi ci lasci riflettere ancora un attimo: ‘Io… a me’, anzi… no, no. ‘A me, quando piango’… sì. Così. ‘A me, quando piango, piango all’asciutto’.”

“Lo vedremo!”, urlò la maestra. Con uno scatto felino balzò giù dalla cattedra, si avventò sul piccolo colpevole di lesa grammatica e gli torse a lungo, con voluttà, l’orecchio destro.

A Paolo, dal dolore, veniva da piangere, ma si contenne. O meglio, pianse sì, ma all’asciutto, cioè senza lacrime.] 

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Giovedì, gennaio 11, 2007

UNA POESIA GRIFFATA IANNOZZI

 

(Il tipico sguardo libidinoso di Giuseppe Iannozzi)

Mi ha divertito leggere nei commenti al post  “GLI AUTORI MONDO“, di Christian Raimo, su NAZIONE INDIANA l’8 gennaio u.s.,

http://www.nazioneindiana.com/2007/01/08/gli-autori-mondo/

dapprima il contributo di tale J. Galaxy:

“Iannotz: se la letteratura italiana l’è morta tu che ci stai a fa’, sempre ad abbaiarci intorno? Fai forse il becchino? Tutto ‘sto tempo da perdere ci hai… Non è meglio se fai allora qualcos’altro. Tipo aggiornare il tuo sito? (cioè: grazie. Se mi devo andare a leggere le poesie sulla befana di Iannozzi sul suo sito allora sì, nemmeno la letteratura, ma l’esperienza di scrivere è cadavere…)
Siccome oggi sono stronzo, riporto a pubblico ludibrio. Ecco Iannozzi, l’annichilatore di Trevi, Scarpa e Foster Wallace. Oh yeah…

La prima volta che ti ho incontrata
l’ho capito dal tuo sguardo
che eri una strega: tacchi alti
e occhi neri e nudi, lucenti sì
ma d’una luce nera presa dall’inferno

La prima volta che ti ho regalato una rosa
non hai battuto ciglio, l’hai presa in mano
poi m’hai guardato strano; in quel momento
ho capito ch’ero fregato per sempre e di più

La prima volta che ho tentato di baciarti
mi hai fatto volare lontano dal tuo seno
con uno schiaffo: cinque petali di fuoco
riposano ancora sulla mia guancia
Però le mie labbra ardenti non hanno perso
né il vizio né il desiderio d’incontrare
almeno per una volta sola la tua lingua

poi il contributo di tale Iannozzo Giuseppi, che copio-incollo, sperando che il quasi omonimo Giuseppe Iannozzi non ne abbia a male:-)

La poesia di Giuseppe Iannozzi qui riportata non è tra le più rappresentative della sua torrenziale produzione versificatoria. Ripesco e propongo quest’altra, del 2004:

DERRIDA

Se sei brutto ti tirano le pietre
e ogni tua riga è tutto il diario di Anna Frank,
bastardi!
Guardali, la loro vita
è solo incisione di pustole
per vedere sprigionarsi la sofferenza
è solo baccano e baccanale
sarcofagia fottuta,
essi sono i nuovi FASCISTI
e mi costringono ad urlare.
Sì, mi piace la figa,
ma questo non c’entra, adesso,
perché sto lottando per vivere
perché sto piantando le unghie nel muro
che arrampico indarno.
Eziandìo, sono vivo! Sono vivo! Sono vivo!
Non sono morto.
Il mio grido è fine del mondo
per questo mi cucio le labbra
perché per quanto schifoso
questo mondo è anche te,
zuzzurellina.
E io amo e ti amo e li odio,
e io rido e ti sorrido e li derido,
loro e i loro filosofi, le loro canzoni:
“Derrida, Derrida, Derrida,
tu falla ridere perché
Derrida, Derrida, Derrida,
ha pianto troppo insieme a me.”
E io piango e mi pungo e li compiango,
e io singhiozzo, Iannozzo,
singhiozzo
perché scivola via quel che facemmo
il 6 marzo 1988
sotto quel sole violento
al parco di Villa Pamphili
in una Roma fino allora solo immaginata.
Pestai una merda, quel giorno,
ma non m’importava,
le svastiche ancora non c’erano,
benché non fossero che dietro l’angolo.
Lo psichiatra gentile evitava di guardarmi,
gli infermieri si davano di gomito
quando, nei corridoi,
fornivo loro sorrisi tristi
di thorazina mai ingollata.
Quando cambiarono direttore
e nominarono Gianni Marucci
lui fece una piccola rivoluzione.
I nuovi dottori mi consigliarono
di aprire un blog dopo l’altro.
Non sarei guarito,
non sarebbero scomparse le svastiche,
ma mi sarei tenuto occupato.
Accadeva non troppo tempo fa
e ho tenuto fede all’impegno.
A volte ti sogno, bricconcina,
sogno di quando me la davi,
o almeno la promettevi,
o comunque alludevi.
Io oggi rido, grido, strido,
non più mi suicido
e sono Potenza pura ed eterna
Sposami, sarai regina
del mondo.
Sposami, mignotta!” 

Immagine da http://newshakespeare.altervista.org/_altervista_ht/iannox_by_Chatterly.jpg

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Giovedì, maggio 10, 2007

 

UN MORSO DI SERPENTE SUL PREPUZIO

Sono gli stessi Wu Ming, nell’ultimo numero di Giap

http://www.wumingfoundation.com/italiano/Giap/giap11_VIIIa.htm

a segnalare il divertente articolo:

http://noantri.splinder.com/post/12081312,

da cui:

“… la cosa veramente figa dell’essere Wu Ming oggi è che se scrivi un libro che si preannuncia monumentale come “Manituana” (e che io, coglione che sono, non leggerò mai, perché l’argomento mi appassiona come un morso di serpente sul prepuzio) te lo recensisce sull’Espresso niente meno che Roberto Saviano.

Il che è il non plus ultra del gggiovanissimo e del frizzante, parliamoci chiaro, Saviano che recensisce i Wu Ming è come sesso sfrenato tra quindicenni: già sei Wu Ming e ci manca poco che Elisabetta Canalis si metta in coda per spompinarti aggratis, in più scrivi un libro, dopo diversi anni dall’ultimo, che si preannuncia un capolavoro, un libro che c’ha tutto un sottotesto che continua su Internet (ora c’è questa grandissima moda che uno scrive un libro che però c’ha tutto un sottotesto che continua su Internet e tu ti puoi collegare a un sito Web che ha il nome del libro e dove ci trovi delle cose fichissime, fantasiosissime, tipo delle musiche, la colonna sonora, il trailer, il TRAILER del libro!, dei bonus track nascosti, oppure il making of dell’opera con foto, sofferenza dell’autore e testi, al punto che il libro non è più soltanto un libro, l’opera letteraria non è più soltanto un’opera letteraria, ma è qualcosa di oltre, una sorta di installazione artistica che fonde diverse aree dello scibile e del creabile, così che tu, miserrimo lettore, quando hai finito di leggere il libro in questione, in realtà, non è che l’hai finito proprio di leggere) e, insomma, fatemi tornare a bomba, dicevo che già sei Wu Ming, già sei fico a tal punto, in più succede che scrivi “Manituana” e, ka-boom!, te lo recensisce il più famoso e bravo scrittore italiano emergente, Roberto Saviano quello-della-prima-puntata-di-Biagi, e dove?, sull’Espresso, l’Espresso, cazzo!, che è di sicuro il miglior settimanale d’inchiesta e approfondimento che ci abbiamo in Italia. Wow, che gran figata!… (eccetera)”

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Giovedì, novembre 08, 2007 

IL MONTANARO, OÉ, COMINCIA A CANTARE

(Tiziano Scarpa e Giovanni Montanaro al teatro Fondamenta Nove)

Titolava ieri il Gazzettino di Venezia: “NARRATORI NORDEST, la carica dei ventenni“. E nel sottotitolo: “Arrivano insieme in libreria ‘Lontano da ogni cosa‘ del rodigino Mattia Signorini (27) e ‘La croce Honninfjord’ del veneziano Giovanni Montanaro (24).

Di Mattia Signorini scriverò un altro giorno [frequentava It.cultura.libri negli anni d’oro e sono certo che si ricorda di me, n.d.r.]. Di Giovanni Montanaro, invece, non sapevo nulla, ma dall’articolo del Gazzettino ho appreso che è stato uno dei finalisti dell’ultimo Premio Calvino, un po’ come anche il nostro bravissimo vibrisselibraio Gianfranco Recchia, con la differenza che a Giovanni ha subito telefonato Jacopo De Michelis (curatore della nuova collana Marsilio X), mentre il povero Gianfranco è ancora lì che attende fiducioso qualche prospettiva concreta per il suo “Signori briganti”. [Della serie ‘Non tutti ce l’hanno’ (il culo, n.d.r.:- )].

Devo confessare, infatti – e qui apro una digressione – che sulle prime mi fa sempre un po’ incazzare leggere che un giovane autore abbia ottenuto, già al primo tentativo, e senza soffrire nemmeno un po’, l’attenzione di un editore importante, mentre altri, magari non meno bravi, debbano penare un’intera vita… però mi placo immediatamente se vedo che il fortunato di turno è anche talentuoso. Hans Christian Andersen ha scritto un romanzo esemplare (‘Il violinista’, n.d.r.) sull’importanza dell’abbinata ‘Fortuna & Talento’. Il talento da solo non basta. Ci vogliono anche le Circostanze Favorevoli…

Torniamo a bomba. Sergio Frigo, nel Gazzettino, ha scritto: “Nel caso di Giovanni Montanaro è prematuro dire che è nato uno scrittore. Possiamo invece dire, senza tema di smentite, che per il momento è nato un avvocato: il 24enne veneziano si è infatti appena laureato in legge a Padova col massimo dei voti. E ha intenzione di provare a fare il legale o il magistrato, più che il letterato. Intanto, però, si gode il successo del suo primo romanzo, ‘La croce Honninfjord’, appena pubblicato da Marsilio (€ 16.50) e già salutato da molte recensioni positive e soprattutto dall’entusiasmo degli amici, che si sono prestati a organizzare insieme a lui lo spettacolo-presentazione di stasera alle 19 al Teatro Fondamenta Nove”.

E alle Fondamenta Nove mi sono appunto recato ieri sera per assistere all’evento sintetizzato in questo comunicato: “Due attori e due musicisti si alternano sulla scena per dare vita alle quattro storie che si intrecciano nella narrazione, in un crescendo di emozioni e colpi di scena, echi musicali e salti cronologici lunghi un millennio. Una mezz’ora di suggestione per affascinarsi a una storia che è fatta di tante storie. Alberto Cucca sarà Bjorn Korning, il protagonista principale. Al suo fianco, Savino Liuzzi impersonerà altri personaggi del libro: il monaco benedettino Nicolas, il musicista Honninfjord-Dervinskij, Nani Fenier. Il violino di Stefano Bruni, la musica di Lorenzo Mason e il misterioso Requiem di Honninfjord-Dervinskij li accompagneranno e intermezzeranno, sottolineandone le parole. A seguire, Tiziano Scarpa presenterà l’autore”.

Mi aspettavo, a dire il vero, uno spettacolino di livello amatorial-parrocchiale, ma ho dovuto ricredermi completamente, di fronte all’assoluta bravura e disinvoltura di tutti. Tiziano Scarpa, poi, nell’incontro con Montanaro che ha costituito la seconda parte dell’evento, è stato addirittura magnifico. A proposito della prima frase pronunciata da Alberto Cucca-Bjorn Korning (“Sono il figlio di un nazista e di una partigiana…”) ha osservato che a volte sono proprio le condizioni più problematiche a far nascere gli esiti più interessanti. Spesso “ci siamo” anche perché le cose non sono andate del tutto bene… Si è poi complimentato con Giovanni per l’invenzione narrativa dell’archivio [quello che nella cittadina norvegese di Ingenting contiene tutta la musica del mondo, n.d.r.]. L’archivio allude alla memoria e alla sua capacità di ritornare sotto forma di accadimento, di far essere il presente. Da un lato la musica già scritta è lì, apparentemente inerte, dall’altro, ogni volta che venga eseguita, fa continuamente succedere cose grandi e nuove. Lo spartito musicale metaforizza il passato che fa cambiare il presente.

Tiziano ha poi chiesto a Giovanni se la polifonia [nell’opera, ricca di salti temporali, il monaco benedettino Hoisbald di Askert, nell’883, sfidando l’ortodossia della Chiesa, dà avvio alla rivoluzione della musica polifonica, destinata a trasformare in profondità il canto gregoriano, n.d.r.] fosse già un suo preciso interesse prima di scrivere il romanzo.

Giovanni ha risposto di no: anzi, proprio a causa del suo pessimo orecchio e della sua crassa ignoranza in campo musicale si è dovuto documentare appositamente, tuttavia divertito dal fatto che lo scrivere lo conducesse a esplorare ambiti lontanissimi dalla sua sfera di esperienze e curiosità. E anche la polifonia, ha ribattuto Scarpa, nel romanzo ha valenza metaforica: allude a un mondo fatto di tante voci diverse, che solo insieme possono produrre barbagli o approssimazioni di verità.

Scarpa ha poi osservato che se, da un lato, Montanaro è indiscutibilmente un “giovane autore”, dall’altro è ora di finirla di associare a tale definizione connotazioni quali “inesperto, di serie B, o ancora incapace di padroneggiare la materia narrativa”. Scrittori a pieno titolo si può essere indipendentemente dall’età, già bravissimi a vent’anni come in altri casi solo a quaranta o sessanta. A differenza di Sergio Frigo, Scarpa non trova affatto prematuro dire che “è nato uno scrittore”. Anzi, ne è convintissimo. “E il libro di Montanaro, peraltro, – ha rimarcato – non è affatto un libro giovanilista, né per tematiche, né per stile”.

Montanaro ha fatto presente che da veneziano innamorato della propria città non ha resistito alla tentazione di utilizzare l’ingrediente Venezia nell’opera d’esordio, ma anche in questo, secondo Scarpa, è stato originale: l’ha fatta raccontare da un norvegese, attraverso i cui occhi straniati e stranianti ha saputo rinnovare lo sguardo su quelle pietre che sono ormai quasi più consunte dalle infinite descrizioni accumulatesi su di esse che dall’usura del tempo:-)

Per quanto mi riguarda: non ho ancora letto il romanzo, ma, a giudicare dall’incontro tenutosi alle Fondamenta Nove, il suo autore mi è sembrato un personaggio di notevole levatura, da tenere senz’altro d’occhio.  E il Montanaro, oé, ha solo iniziato a cantare…  (1)

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(1) Il suo romanzo “Tutti i colori del mondo”, uscito per Feltrinelli, ha già ottenuto il Premio Selezione Campiello 2012

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Lunedì, febbraio 25, 2008 

LA SECONDA VITA DI GIUSEPPE D’EMILIO

(Giuseppe d’Emilio, il primo a sinistra, con Valerio Evangelisti e Lucio  Angelini a Fano l’estate scorsa) 

Premessa. Per chi non sappia cos’è SECOND LIFE, cutto & pasto la spiegazione da www.secondlife-italia.it:

«Second Life è un mondo virtuale 3D costruito e posseduto dai propri abitanti. Una Seconda Vita ricreata nei minimi particolari, da quelli più prettamente fisici, come case, edifici e paesaggi ad aspetti più complessi come la struttura sociale, le regole economiche e via dicendo. Ci affacceremo a questo nuovo mondo attraverso un Avatar, una riproduzione digitale della nostra persona, il quale sarà il primo mezzo di comunicazione con gli altri abitanti di SL. L’Avatar è totalmente modificabile dandoci quindi la possibilità di ricrearci con l’aspetto che più ci aggrada. Come nel mondo reale vi è una valuta, una moneta i Linden Dollars (L$), che può essere sfruttata all’interno del gioco per acquisti e investimenti oppure essere riconvertita in Dollari reali creando di fatto una vera e propria economia. Ormai la struttura di questo mondo è consolidata da anni e questo ha portato a ricreare delle dinamiche economiche e sociali del tutto simili alla realtà e che rendono SL ancor di più interessante e che lo differenziano da tutti gli altri “giochi” virtuali rendendo di fatto un “simulatore di vita“…  [cut]… In ogni caso è molto facile iniziare una seconda vita su Second Life, dove ognuno potrà costruire i propri oggetti per poi metterli in vendita, comprare lotti di terra dove costruire la sua casa o il suo negozio oppure, come già detto, provare a creare una nuova e fruttuosa attività o molto più semplicemente stringere amicizie con persone provenienti da tutto il mondo (Eccetera)

Premesso ciò, cutto & pasto adesso un delizioso micro-racconto  di Giuseppe D’Emilio pubblicato qualche giorno fa da Barbara Garlaschelli nel suo blog. Questo:

“SECONDA VITA”, di Giuseppe D’Emilio  

 

Quando?

Questo è il problema.

Tra siti, blog, email, già passo ore al PC… e poi c’è il dettaglio del lavoro vero, quello che mi permette di pagare l’ADSL…

Non fa per me Second Life; già il nome “seconda vita”… roba da sfigati. 

                                                                               Domenica, ore 6.15 

Da giovane, nei dì di festa mi alzavo a mezzodì. Ormai sono settato per le 6. Mi godo lo strano silenzio della domenica mattina, quando uno pensa che dietro la Duna del rag. Rossi si nasconde un cerbiatto in amore.

Un’occhiata ai quotidiani online… che palle: da dopo le torri gemelle mi pare che non succeda più niente.

Con un ghigno di snobistica sufficienza, installo Second Life e mi scelgo un nick, come dicono gli uomini di mondo. È il mio vero nome: il gioco delle identità fittizie non fa per me…

Mi “parla” una figa mozzafiato (mi piace il concetto di “mozzafiato”, mi ricorda Beatrice che va dicendo all’anima: “sospira”). Sarà un software che accoglie i novellini? Faccio domande manco fossi un cacciatore di androidi. Due tette svettanti e un mandolino rispondono a tono: è un umano. Ma non sarà mica il rag. Rossi?

Già odio le chat con sconosciuti, dove sai bene che “maialinadiciottenne” in realtà è una laida vecchiaccia, ma in Second Life la presenza di un corpo ti spiazza…Non fa per me… fuori da questo secondo mondo, già fa schifo il primo!

Addio, SL

                                                 Un mese dopo, domenica, ore 6.15 

Da giovane, nei dì di festa mi alzavo a mezzodì. Ormai sono settato per le 6. Migodo lo strano silenzio della domenica mattina, quando uno pensa che dietro la Duna del rag. Rossi si nasconde un cerbiatto in amore.

Un’occhiata ai quotidiani online… che palle: da dopo le torri gemelle mi pare che non succeda più niente.

Ed è con un sospiro di snobistica sufficienza che rientro in Second Life.

In Paradiso.

Da Beatrice.

Per sempre.

(Da http://barbara-garlaschelli.splinder.com/post/16019670 )

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Mercoledì, marzo 26, 2008 

“LONTANO DA OGNI COSA”, di MATTIA SIGNORINI (1)

 

(Mattia Signorini) 

Il 5 marzo 2002 alle 23.03 aprii in it.cultura.libri un thread intitolato “IL DEBUTTO DI MATTIA SIGNORINI”. Chi vuole, può controllare qui:

Il debutto di Mattia Signorini

Il post terminava con le parole “In bocca al lupo, Mattia. Sei partito benissimo. Sento che andrai lontano“. Non intendevo “lontano da ogni cosa“, a dire il vero… Comunque, visto che ormai Mattia è approdato alla SALANI, penso di potermi permettere di prenderlo un po’ in giro raccontando a modo mio le tre parti del suo libro:-)

PARTE PRIMA (1)

All’inizio del romanzo siamo a Padova e l’energia che Alberto Lari, il compagno d’università e di appartamento dell’io narrante Stefano Bersani, “sprigiona nell’aria” è tale che “se ne accorgevano le signore che ci passavano accanto e i professionisti con le ventiquattore e gli studenti che ci incrociavano nel giro di qualche metro”, tutti inesorabilmente colpiti dalla sua “presenza scenica”. Alberto Lari  ha, inoltre, “occhi elettrici e spiritati” che a pag. 15 bloccano e schiacciano una commessa di libreria, e a pag. 17 “mandano in proiezione veloce segnali chiari dal cervello”. Anche durante la lezione di marketing lo sguardo di Alberto Lari è “pieno di energia”, mentre la profe, da par suo, cerca di spingere in avanti “l’energia barcollante”. Apprendiamo presto, tuttavia, che Alberto è soggetto a “variazioni d’umore e istintive e del tutto irrazionali passioni” (p.25), e tende a cadere preda di “un’insoddisfazione elettrica” che evidentemente non giova alla conservazione delle suddette risorse energetiche. A un certo punto, infatti, il suo amico Stefano è costretto a chiedersi dove sia nascosta “questa sua energia”, o peggio, a pag.  40, addirittura a dichiarare che “l’energia che aveva in ogni situazione e lo rendeva così magnetico e irresistibile” è ormai “quasi assente”.

 

Flash Back. Tempi del Liceo. Alberto Lari ha idee molto precise su Leopardi e non si perita di manifestarle a un’imbarazzata insegnante di letteratura: “Se Silvia gliela dava non avrebbe scritto quelle cose, allora meglio vivere e restare senza scrivere una sola parola”. 

Attualmente Alberto Lari fotografa alberi con una Pentax, sviluppa i negativi in bagno e ne trae spunto per quadri che però si guarda bene dal completare. Sostiene di non credere negli artisti, ma se appena appena Stefano si permette di criticare le sue opere incompiute subito obietta: “Senti caro mio, chi è dei due l’artista?” (p.33). Un bel giorno, miracolosamente, un quadro viene portato pressoché a termine. Dopo aver commentato: “Questo albero sembra una persona”, Stefano si mette allora alla ricerca di un gallerista che possa valorizzare il talento del suo amico. Gira a lungo e sta quasi ormai per rinunciare all’impresa quando si imbatte in Giovanni Lando, che “aveva QUESTO suo modo di camminare non stabile…” e secondo il quale l’arte non è una definizione, ma una sensazione (p. 51). Il Lando si dichiara interessato alla pittura del Lari e a quel punto, per festeggiare, Chiara Valentini, Stefano Bersani e Alberto Lari si arrotolano una canna sul letto e fanno l’amore a tre su sottofondo musicale di Morissey. A guastare la festa, purtroppo, interviene una triste novità: il nonno di Stefano viene portato all’ospedale (“L’ospedale era QUESTA struttura a somma di parallelepipedi…”, p. 63). La nonna ripete meccanica “Perché proprio a lui?” e a completare il tutto Stefano sente che Alberto Lari è “distante come sta diventando distante tutto il resto delle cose” (p.67). A pag. 69 il nonno di Stefano tira le cuoia e allora Stefano torna in famiglia per i funerali. Una volta lì agguanta una videocamera e riprende scene dalla mesta cerimonia, alle quali nei giorni seguenti aggiunge immagini di “stralci di alberi” catturate in strade di campagna. Il materiale girato viene riversato in una videocassetta intitolata “Natale ’98” e per il momento accantonato lì. Il 31 dicembre Stefano lascia la cupa atmosfera domestica e si porta di nuovo alla stazione. Al bigliettaio che gli chiede dove voglia andare risponde: “A casa” (p.75). Non sa che Chiara e Alberto, nel frattempo, se la sono svignata ad Amsterdam e al povero Stefano non resta che trascorrere la notte di capodanno a casa di Mario Granata, un tizio con cui un tempo aveva seguito un esame di estetica. Anche Mario Granata denota un “entusiasmo elettrico”, ma “diverso e di intensità molto inferiore a quello che aveva Alberto Lari quando era convinto di dover fare una cosa”. Alla fine Stefano si stende sul futon di Mario e si concede una nuova canna, pensando che “se manca un amore allora manca tutto”. La sua elucubrazione è casualmente interrotta dall’ingresso in scena, anzi nella stanza, di Marta Ferro, “ragazza strapiena di visioni positive e non problematiche sul mondo” (p. 84) e Stefano ne approfitta per farci all’amore. Qualche giorno dopo Alberto rientra dall’Olanda, ma è “disattento e lontano” [“da ogni cosa?”, si domanda il lettore]. A detta di Chiara Valentini “ha QUESTO modo odioso di allontanare tutti e di farli sentire completamente sostituibili” (p. 88). Il gallerista Giovanni Lando non ha perso fiducia nel ragazzo e un bel giorno gli annuncia che lo metterà in esposizione alla Fiera dell’Arte, costituita da tre capannoni giganteschi. Alberto, ringalluzzito, si mette a dipingere quadri “sempre più pieni di elettricità”. L’ultimo giorno della Fiera l’importante Giovanni Ruggero Ljegerbach compra tutti e tre i quadri di Alberto e gliene commissiona almeno un’altra decina. Le cose, insomma, paiono volgere al meglio, ma i travagli dell’arte impediscono ad Alberto di essere completamente felice. I suoi  nuovi alberi sono  “esseri vivi in grado di trasformarti, di farti del male” (p.104). Stefano, comunque, ha la vaga sensazione che “l’energia di quei primi lavori così dispersivi e del tutto incompleti rispetto a questi stesse via via sbiadendo” (p.104). Anche il talento di Chiara Valentini riceve un incoraggiamento: dovrà posare per dei cartelloni pubblicitari a Roma e al povero Stefano non resta che osservare: “Tutti che fanno grandi cose eh?”. Forse rosica un po’ per il successo dei suoi amici e nemmeno lui riesce “ad essere completamente felice per Alberto Lari”, anche se il suo “grado di felicità è enorme” (p. 110) [non si capisce l’orgia di corsivi distribuiti per tutto il testo, se posso permettermi l’annotazione, n.d.r.]. Questa volta i tre amici festeggiano con prosecco di Valdobbiadene. Alberto, ormai lanciatissimo, sospende temporaneamente “quell’alternanza insopportabile di umori prima al massimo, e subito dopo completamente a terra” e si trasferisce a Milano, incurante dell’università. Qui finisce la I parte.

[CONTINUA].

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Giovedì, marzo 27, 2008

“LONTANO DA OGNI COSA”, di MATTIA SIGNORINI (2)

 

[Mattia Signorini, dalle belle guance:-)]

PARTE SECONDA 

Passa un anno. Stefano si laurea “con QUESTA sensazione di inutilità e idiozia” (p.117) e l’impressione schifata che “l’università con tutto il suo fagotto [fagotto???, n.d.r.] di professori e studenti rinsecchiti fosse diventata una specie di contenitore vuoto con parentesi rade di divertimento e fasci di energia pulita”. Per consolarsi, va a vivere con Marta Ferro in un alloggetto dietro la stazione. Non ha nessuna intenzione di finire in una fabbrica o in un ufficio o in un qualsiasi posto con un orario stabilito e le sue ricerche di qualcosa di più gratificante lo conducono alla grande officina creativa Armadillo, dove nel dipartimento di fotografia tale Cesare Borromeo ha da poco sostituito l’iperfamoso Fiorenzo Carciofi [si noti l’inventiva di Signorini nell’ideare cognomi, n.d.r.] (p.120). Nell’ambiente razzolano anche due stagiste, Giorgia Paoli e Lavinia Manca. Il Borromeo, purtroppo, si rivela un paraculo & figlio di puttana che fa lavorare gli altri per poi attribuire a se stesso ogni merito dei vari progetti, così Stefano abbandona lo studio e si mette alla ricerca di una nuova opportunità di lavoro: è preso in simpatia da tale Letizia Marechiaro, che lo fa assumere come maschera strappa-biglietti in un cinema della catena Multiflex. Marta, nel frattempo, è diventata barista e ha introdotto surrettiziamente nel loro menage la detestabile gatta Misa. Stefano non tarda a scoprire che “strappare i biglietti e restare fermo ore nella stessa posizione distrugge le cellule del suo cervello”, spegnendole “una dietro l’altra a velocità pazzesca” (p.136), così, guardando “i suoi ventisette anni”, torna a domandarsi “cosa penserebbe di tutto questo il me di qualche anno fa”. Si chiede, inoltre, “dove cazzo” sia finito Alberto Lari. A quest’ultima curiosità risponde Chiara Valentini, che, materializzatasi all’improvviso, lo trascina a Milano con “addosso un misto di emozioni elettriche[elettricità ed energia sono, come ognuno avrà ormai intuito, un po’ i chiodi fissi di Signorini, n.d.r.]: sono stati entrambi invitati, infatti, alla vernice di una mostra di Alberto Lari presso la galleria Ljegerbach. Nel corso dell’evento Alberto Lari risponde con menefreghismo e fastidio ai numerosi giornalisti e fotografi intervenuti. È come se “la sua stessa energia pura e violenta fosse stata rispedita a tutti gli sconosciuti presenti con le stesse velocità e vibrazioni scoperte” (p.151). I suoi quadri hanno raggiunto una perfezione di cui Stefano non l’aveva quasi ritenuto capace: “Non c’è una sola pennellata fuori posto”, è costretto ad ammettere, ma si rifà pensando che “a guardarli bene mancava qualcosa… gli spazi bianchi senza-colore e la difformità di altri spazi troppo pieni”. Alberto, Stefano e Chiara vanno a cena “in QUESTO ristorante con i camerieri in livrea”, ma subito dopo si fiondano a casa di Alberto, impazienti di baloccarsi con due bustine di una sostanza psicotropa chiamata “Mondi paralleli”. Tra le conseguenze, un lungo bacio tra Alberto e Stefano. Durante il viaggio di ritorno in treno, Stefano e Chiara fanno all’amore in uno scompartimento. “Due o tre volte la porta scorrevole viene aperta e richiusa subito dopo”. Stupefacente il loro commento: “Chissà cosa credono stiamo facendo!” (p. 161). Il successo di Alberto mette addosso una compulsiva urgenza di esprimersi anche a Stefano, il quale, tuttavia, per differenziarsi dall’amico, decide di cimentarsi nel campo della sceneggiatura. Tra una trombata e l’altra con Chiara Valentini, il ragazzo si chiede se “le storie sognate, le storie che iniziano con un’energia [aridajjje!, n.d.r.] violenta e un insieme di sensazioni forti e incontrollabili durino per sempre”. [È evidente che non ha letto l’Ecclesiaste, n.d.r.]. Marta Ferro, capìto l’andazzo, gli dà il benservito e si dilegua con un altro a bordo di un furgoncino. Verso la fine di settembre Alberto Lari riappare nell’appartamento padovano di Stefano, ma “il suo baricentro energetico sembrava come imploso nel centro dello stomaco”: insomma ha litigato con Ljeberbach. I due amici riprendono a convivere, Stefano tutto compreso nella propria scrittura, Alberto nella propria pittura. A una festa universitaria Stefano dice a una certa Emma Bini (con “addosso QUESTO cappellino rosso”): “Tu ci credi, nell’energia?” E lei: “Quale energia?”. Stefano: “Non si può spiegare. O la senti o non la senti”. [Si confronti il Quélo di Corrado Guzzanti: “La risposta è dentro di te, solo che è sbajjata!”, n.d.r.] Segue un nuovo episodio di amore a tre.

A un certo punto nel cinema Multiplex viene programmato un ghiotto evento: la presentazione dell’ultimo film del mitico Saverio Fucqa [ma per piacere!, n.d.r.], di cui Stefano conosce a memoria ogni pellicola precedente. Il nuovo capolavoro si intitola “Poche luci a cielo aperto” [forse qualcuna di più a cielo chiuso?, ci si domanda, n.d.r.]. Stefano, purtroppo, ne rimane deluso e lo dice senza tanti peli sulla lingua al regista intervenuto alla serata, aggiungendo che vorrebbe fargli leggere la propria sceneggiatura. Fucqa accetta di esaminarla e – tu guarda la vita! -, la trova “maledettamente fresca”, così anche per Stefano paiono spalancarsi le porte del successo artistico. Per aiutare il destino, il ragazzo lascia non solo il lavoro, ma anche la sonnolenta città di Padova per muovere alla conquista di Roma. “Non sapevo cosa mi preparava il futuro, ma adesso sapevo almeno che ogni spirale in cui ci sentiamo costretti ha sempre una via d’uscita” (p.198). Ce la farà il nostro eroe a entrare nel magico mondo del cinema? Lo sapremo alla prossima puntata… 

[CONTINUA]

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Venerdì, marzo 28, 2008 

“LONTANO DA OGNI COSA”, di MATTIA SIGNORINI (3)

 

PARTE TERZA 

Stefano e Saverio Fucqa lavorano alla sceneggiatura con un accanimento “non frenabile”. Il titolo a cui hanno pensato è Buongiorno Margherite, ma Fucqa, nonostante “quella sua solita energia”, appare sempre più stanco. Il produttore Gualtiero Brighi li va a trovare “con QUESTA Bentley” e l’io narrante puntualizza: “Portava al polso un vistoso orologio, ma tuttora non saprei dire di che marca fosse” [tranquillo, Signorini, della marca del vistoso orologio non frega nulla a nessuno, n.d.r.]. Quelli della Polipo [un’allusione alla Medusa Film?, n.d.r.] non accettano che la vicenda sia ambientata a Padova, a cui preferiscono senz’altro la Grecia. Ed è così che il produttore Gualtiero Brighi e lo sceneggiatore Stefano Bersani sono costretti a fare le valigie e a trasferirsi a Mykonos. Purtroppo hanno idee diverse. Stefano dice: “Dovremmo raccontare quello che vediamo. Questa energia continua e imperfetta. Mostrare come, dopo qualche giorno in questo posto, qualsiasi forma di eternità [???, n.d.r.] e incapacità di fermarsi cominci a trasformarsi in una specie di routine”. Ma Gualtiero Brighi è teso a “voler mischiare pochi tratti di situazioni che succedevano a quintali di altri che scivolavano addosso a liceali del tutto normali; contesti in cui poco o niente era fuori posto” (p. 220). Gualtiero, inoltre, trova incredibile “l’energia che scatena questo posto”, mentre Stefano presto non ne può più di “tutta quella gente inesausta”, senza contare che ormai considera Gualtiero Brighi “incapace di distinguere la luce di una stella cadente da quella di un Boeing” (p. 222). Rientrano in Italia, dove Saverio Fucqa peggiora a vista d’occhio. Le gambe di Chiara Valentini, al contrario, risplendono in bella mostra su cartelloni pubblicitari affissi per tutta Roma. La fanciulla convive adesso con il prestigioso scrittore-attore Liberio Carli, di trentacinque anni più vecchio di lei, ma la cui partecipazione al film potrebbe sbaragliare le perplessità di molti sponsor. Chiara si offre di cercare di convincere Liberio a recitare nel film e ci riesce. Quando Stefano rivede Chiara, le dice pieno di gratitudine: “Energia, Chiara”.

Alberto Lari, intanto, si è spostato a Londra, dove convive con una certa Giulia e un gatto di nome Faith. Ha smesso di dipingere e ripreso a fotografare con la stessa Pentax con cui una volta faceva scatti agli alberi. L’unica differenza è che adesso lo interessa “raccontare il mondo di fuori da come lo vedeva lui dentro”, mentre in passato… pure.

Iniziano le riprese del film, sotto il coordinamento di Elena Fiori che “aveva QUESTO modo involontario e distaccato di percepire il mondo e di dare alle cose la giusta importanza ed era quello che ci voleva” (p. 243). La ragazza ha una peculiarità: ad ogni parola che sente pronunciare, vede mentalmente il numero delle sue lettere costitutive: se, per esempio, le si dice “TRE”, le si accende in testa il numero “3”. A metà delle riprese una lettera di Alberto Lari ne preannuncia l’arrivo su una Citroën scassata. Quando, un mattino, Chiara Valentini si presenta sul set con un occhio pesto, Alberto Lari va a cercare il colpevole (Liberio Carli) e gliele suona di santa ragione, così compromettendo la partecipazione al film dell’importante attore. Gli sponsor se la danno a gambe e anche Alberto torna a Londra, dove, probabilmente a corto di energia naturale, si infila in vena una poltiglia di pastiglie per l’ansia. Se ne vanno, ovviamente, anche Chiara e Liberio.

Il set si sposta a Padova per gli esterni [che la figura di Saverio Fucqa sia ispirata al regista Carlo Mazzacurati?, n.d.r.], ma in dirittura d’arrivo, ovvero appena prima che sia finito il montaggio, il regista muore. Sulla sua tomba Stefano e Gualtiero faranno scrivere: “Credere nell’invisibile, nell’erba, nella poesia”, convinti che adesso Saverio Fucqa vaghi “nel flusso della Grande Energia[Bastaaaaaaaaa!!!!!, n.d.r.], anche se il mondo ha un poeta in meno. Quando il film è pronto, nessuno pare volerlo distribuire. Stefano, sconfortato, trova lavoro come commesso in un negozio di CD “per una paga da schifo”. Di Alberto Lari non sa più nulla. “Non avrei mai pensato – si lagna di nuovo – di ritrovarmi ad avere un lavoro regolare e di finire a letto ogni sera prima di mezzanotte. Pensavo spesso a cosa avrebbe detto il me di qualche anno prima”. Per non restare con le mani in mano, mette mano a una seconda sceneggiatura. Un bel giorno Gualtiero Brighi si rifà vivo per annunciargli che ha finalmente trovato un distributore. Il loro film è entrato nel circuito delle rassegne d’autore e ne hanno parlato persino il Venerdì di Repubblica e Panorama. Stefano lo raggiunge a Roma. Il film, nel frattempo, ha cambiato titolo: non più “Buongiorno Margherite”, ma “Lontano da ogni cosa”, calco italiano dell’ inglese “Away from it all“, di John Cleese. Il circolo si chiude con l’incipit del romanzo che, dopo orge di parole in corsivo e di passati prossimi usati anche per eventi molto lontani nel tempo, diventa l’explicit dello stesso. 

L’opera è dedicata a “tutti quelli che hanno puntato la loro strada, dritta in faccia. E hanno svoltato”. In terza di copertina l’angelico viso dell’angelico Mattia Signorini.

Qui il sito dell’autore:

www.mattiasignorini.com 

P.S.

Ciao, Mattia. Non incazzarti per i miei bonari cazzeggi, ma continua imperterrito a svoltare:- )

[La foto di Mattia è di Maurizio Sabbadin]

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Mercoledì, aprile 16, 2008 

COME CAPITARE PER CASO A PANTELLERIA

 

«Ci eravamo capitati per caso a Pantelleria. In quattro: Momo, Franz, Wallas e io, dopo un “lavoro” a un supermercato. Con diecimila euro in saccoccia, ci pareva il minimo passare un’estate da ricconi. Alla fine saltò fuori un dammuso per quattro persone, tremila euro per quindici giorni. Altri quattrocento a testa di aereo e la vacanza era prenotata. Non conoscevo quell’isola, più Tunisia che Italia per la distanza. Nessuno di noi la conosceva. Sapevamo solo che doveva essere un gran bel posto, specialmente per quattro di Marghera che da troppo tempo vedevano solo il Lido, a quaranta minuti da casa. Alex, purtroppo per lui, sfacchinava in un cantiere quell’estate. Anita e tutto il giro dell’Associazione difesa migranti presidiavano la città, che si sarebbe svuotata di residenti e riempita di viaggiatori senza permesso di soggiorno, come ogni estate. Alla fine eravamo rimasti noi quattro. Prima di partire per Pantelleria consegnammo a Maia, un’inquilina delle case occupate, una busta con un bel po’ di soldi. “Ci avanzano, mettili nella cassa del collettivo”. Partire così, più leggeri di soldi ma contenti, non era male. D’altronde il colpo era andato liscio come l’olio e la fortuna andava sempre ringraziata…»

(Luca Casarini, La parte della fortuna, Mondadori Strade Blu, pp. 35-36)

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Venerdì, maggio 30, 2008

 CHI LEGGE IL FUTURO AI VEGGENTI?

 

«Quando mi chiedono di leggere il futuro, mi trovo in imbarazzo. Non mi piace sentirmi un fenomeno perché so che non ho meriti: è qualcosa che mi piove dall’esterno, passa da me e ritorna in qualche luogo imprecisato. Il procedimento è semplice: mi metto davanti a una Madonna, e prego. Raggiungo un’intensità fuori della norma e sopraggiunge la risposta… »

«… si sa che il destino del veggente è leggere la vita di tutti tranne che la propria. Così quel giorno, sulla strada per Ancona, non avrei mai immaginato che una BMW scura serie sette mi sarebbe corsa incontro come il più nero dei futuri, senza che potessi averne il minimo sentore, né mi piovesse nulla dall’esterno, senza madonne per pregare, né estasi da accogliere o ceri da accendere. Non ricordo nulla dello schianto. So solo che, in questo angolo di eterno, c’è qualcosa di molto più arduo della lettura del domani ed è la riconquista del passato, delle mie radici, di tutto ciò che ha bisogno di tempi eterni per essere guarito.»

Niente male, vero?

Sono rispettivamente l’incipit e l’explicit del racconto “Dialoghi tra la terra e il cielo“, tratto dalla raccolta “GUIDA PRATICA ALL’ETERNITÀ“, Effatà Editrice, 9 euro.

L’autore?

Don Fabrizio Centofanti, sacerdote diocesano a Roma dal 1996.

 

Lo conosce bene chi frequenta LA POESIA E LO SPIRITO

http://lapoesiaelospirito.wordpress.com/

uno dei tanti blog da cui sono stato cacciato:- )

http://lucioangelini.wordpress.com/2008/03/29/un-trombone-si-aggira-per-la-rete/

[La foto di don Fabrizio è tratta da LPELS]

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Giovedì, ottobre 02, 2008 

LO SCRITTORE AUTOBIOGRAFICO

 

«Sono uno scrittore come tanti. Penso in grande, ma quando scrivo divento piccolo. La mia scrittura è sfacciatamente autobiografica, da sempre riesco a scrivere solo di quello che vivo in prima persona, per un innato disinteresse verso i punti di vista altrui. Così, eccomi a inseguire e a vivere fatti e situazioni eccezionali, pronto a trasformarli in inchiostro. Spesso mi capita di rimanere deluso, perché a non inventare ci si rende conto di quanto la nostra esistenza sia meschina e banale nonostante lo sforzo di convincersi del contrario. Mi hanno rubato la fantasia qando ero piccolo, e ora che sono uomo fatto e scrittore di discreto talento, mi rendo conto che la mancanza di immaginazione mi sta condannando a un’esisenza compiaciuta e senza speranza. Cosa posso farci? Dipendesse da me rinascerei fata turchina, ma ognuno di noi è quello che è, a prescindere da ambizioni e desideri.

È il 22 settembre e ormai sono quasi le 18 e 10. Aspetto due telefonate da cui, almeno in questo momento, mi pare dipenda il mio futuro. La prima, oggettivamente più importante, dal Provveditorato, per sapere se anche quest’anno insegnerò. La seconda da una ragazza conosciuta la settimana scorsa e non più rivista. Valentina… »

(David Miliozzi, “Lo scrittore autobiografico”, in NERO MARCHE, Ennepilibri editore, 2008)

(Il libro verrà a presentato a FANO la sera del 10 ottobre alle ore 21 alla Libreria del Teatro)

(Immagine da http://www.new.facebook.com/pages/David-Miliozzi/31712589128 ) 

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Sabato, ottobre 04, 2008

(Foto dei Pelagio D’Afro ripresa col cellulare tenuto in mano… ) 

IL GARBINO E I BARBONI DA SPOMPINARE NEI CESSI

Oggi, come si sa, gli scrittori si dividono in due categorie: quelli individuali e quelli collettivi. Per quanto mi riguarda, sono un obsoleto rappresentante della prima categoria o “vecchia guardia” , ma nella raccolta NERO MARCHE (vedi ieri) che verrà presentata venerdì sera 10 ottobre alla Libreria del Teatro di Fano non mancano un paio di rappresentanti della nuova tendenza alla scrittura a più mani (tipo quella dei Wu Ming, dei Kai Zen ecetera). Per gli scrittori consorziati, infatti, abbiamo il collettivo Paolo Agaraff [Roberto Fogliardi + Gabriele Falcioni + Alessandro Papini] e il collettivo Pelagio D’Afro [Giuseppe D’Emilio, Roberto Fogliardi, Arturo Fabra, Alessandro Papini]. La tendenza alla scrittura di gruppo cresce forse anche in relazione all’aumento della complessità del mondo da rappresentare (cfr. Fellini: “io non voglio DIMOSTRARE, voglio solo MOSTRARE”). Personalmente ho sempre guardato con una punta di perplessità a questo tipo di scrittura, ma ho trovato molto convincente l’apologia che Paolo Agaraff ne fa nella bella intervista rilasciata ad Annalisa Strada e consultabile sul sito di Arcoiris TV:

L’intervista a Paolo Agaraff, a cura di Annalisa Strada (su Arcoiris TV)

A chi volesse accusarmi di credere ancora alla Musa Ispiratrice o Insufflatrice (come dire alla Befana) da invocare prima di sedermi al tavolo di scrittura (cfr. “Cantami o diva del peloso Achille…”, come celiano gli studenti) chiarisco che per Musa intendo solo quella parte del mio cervello in cui si sono accumulati gli spunti, le esperienze, le letture eccetera, insomma i materiali preparatori al parto di una nuova opera, che è comunque sempre un atto fondamentalmente ri-creativo – nel senso di combinatorio – più che creativo. Nemmeno l’amore, ovvero quel PROCESSO per il quale due persone iniziano a sopravvalutarsi a vicenda:- ) , scatta perché Cupido ha scagliato la freccia…

Vi propongo due assaggi della prosa di PELAGIO D’AFRO:

“Nata dal sospiro di un tuareg innamorato o forse dall’urlo terrificante di una fiera africana, la folata malsana di quel vento noto come Garbino passò sopra i tetti di Ancona, portando il suo alito di passione e di morte. Un brivido percorse le chiome dei platani disposti su due file parallele, mentre qualche metro più in là la processione dei mezzi a quaranta all’ora scandiva il frusto rituale del ritorno al focolare.”

“Mentre aspettava il cliente, nel tepore del suo appartamento vicino piazza Diaz, Rosa Sanna, in arte Lorena, pensava alla buona salute del suo conto corrente. Glielo ripeteva spesso, la sua amica Giulia: nel loro lavoro era fondamentale mettere sempre da parte una metà dei soldi guadagnati, altrimenti si rischiava di fare la fine di Maria ‘pocce di gomma’, ridotta a spompinare barboni nei cessi della stazione in cambio di un bicchiere di vinaccio dell’hard discount.”

(Pelagio D’Afro, “In questa mortal marca“, in NERO MARCHE, Ennepilibri Editore, 2008)

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Mercoledì, ottobre 29, 2008 

PAOLO GIORDANO E I GRIMALDELLI DELLA VITA

 

«I numeri primi sono divisibili soltanto per 1 e per se stessi. Se ne stanno al loro posto nell’infinita serie dei numeri naturali, schiacciati come tutti fra due, ma un passo in là rispetto agli altri. Sono numeri sospettosi e solitari e per questo Mattia li trovava meravigliosi… [cut]… In un corso del primo anno Mattia aveva studiato che tra i numeri primi ce ne sono alcuni ancora più speciali. I matematici li chiamano primi gemelli: sono coppie di numeri primi che se ne stanno vicini, anzi quasi vicini, perché fra di loro vi è sempre un numero pari che gli impedisce di toccarsi per davvero. Numeri come l’11 e il 13, come il 17 e il 19, il 41 e il 43. Se si ha la pazienza di andare avanti a contare, si scopre che queste coppie via via si diradano. Ci si imbatte in numeri primi sempre più isolati, smarriti in quello spazio silenzioso e cadenzato fatto solo di cifre e si avverte il presentimento angosciante che le coppie incontrate fino a lì fossero un fatto accidentale, che il vero destino sia quello di rimanere soli… Mattia pensava che lui e Alice erano così, due primi gemelli, soli e perduti, vicini ma non abbastanza per sfiorarsi davvero.»  [pp. 129.130]

«L’amore di Denis per Mattia si era consumato da solo, come una candela dimenticata accesa in una stanza vuota, e aveva lasciato il posto a un’insoddisfazione famelica. A diciannove anni, nell’ultima pagina di un giornale della zona, Denis aveva trovato la pubblicità di un locale gay, l’aveva strappata e aveva conservato il brandello di carta nel portafoglio, per due mesi interi. Di tanto in tanto lo srotolava e rileggeva l’indirizzo che già conosceva a memoria… Una sera che pioveva c’era andato, senza neppure deciderlo sul serio… Si era seduto al bancone, aveva ordinato una birra chiara e l’aveva sorseggiata piano… Un tizio si era avvicinato dopo non molto e Denis aveva deciso che ci sarebbe andato, ancora prima di guardarlo in faccia… Dentro il bagno il tizio gli aveva sollevato la maglietta sulla pancia e si era piegato in avanti per baciarlo, ma Denis l’aveva scansato. Si era inginocchiato e gli aveva sbottonato i pantaloni. L’altro aveva detto accidenti quanto corri, ma poi l’aveva lasciato fare. Denis aveva chiuso gli occhi e aveva cercato di finire in fretta…» [pp.163-164]

«Alice li guardò salire in macchina e Viola le lanciò un’occhiata da dietro il finestrino. Di sicuro avrebbe subito detto a suo marito di lei, di come fosse strano essersela trovata lì. L’avrebbe descritta come l’anoressica della sua classe, quella zoppa, una che lei non aveva mai frequentato. Non gli avrebbe detto della caramella, della festa e di tutto il resto. Alice sorrise al pensiero che quella potesse essere la loro prima mezza verità di sposi, la prima delle minuscole crepe che si formano in un rapporto, dove presto o tardi la vita riesce a infilare un grimaldello e fare leva… » [ p. 197]

Eccetera.

COMMENTI

  1. kinglear Dice:
    29 ottobre 2008 alle 08:09   modificaE basta, è ‘na schifezza infinita.
    Lucio, ma lo fai apposta?
  2. kinglear Dice:
    29 ottobre 2008 alle 08:10   modificaE’ che ti manca qualcuno con cui litigare, ho capito! :-D
  3. Lioa Dice:
    29 ottobre 2008 alle 09:18   modificaNon sono pentito di averlo letto, benché non mi abbia fatto impazzire di orgasmo letterario. Cmq è difficile che io mi lasci influenzare dalle impressioni di chicchessia, comprese le tue:-/
  4. utente anonimo Dice:
    29 ottobre 2008 alle 09:47   modificaKinglear ha ragione: dopo Scarpa ( in quale calzaturificio lo si puo’ trovare?) ci mancava questo.
    Cos’e’ ? il festival della provocazione sui libri inutili?Sergio
  5. Lioa Dice:
    29 ottobre 2008 alle 10:05   modificaA mio avviso, Giordano non è Shakespeare ma nemmeno uno scrittore banale. Anzi, trovo che abbia una notevole sensibilità. Ma non c’è problema: che ciascuno trovi la banalità dove meglio crede. D’altronde il panorama attuale – nel suo complesso – non è che sia molto confortante, malgrado le recenti consorterie promozionali…
  6. utente anonimo Dice:
    29 ottobre 2008 alle 10:55   modificaLe consorterie promozionali lasciano il tempo che trovano. Si hanno orecchie ben ingenue se le si ascoltasse tutte.
    Il problema dell’editoria italiana sta’ proprio nelle cricche di scrittorini vari che imperversano : ogni giorno si alza qualcuno a fondare un movimento che rivendica la paternita’ della letteratura italiana.
    Wu Ming ad esempio.
    Il gruppo Scarpa, per fare un altro esempio.
    Degli scrittori italiani ” giovani” chi vogliamo salvare allora? gli indipendenti o gli eremiti lontani da interessi editoriali?
    La sequela di pubblicazioni inutili, insulse, insignificanti ha qualcosa di cosi’ inverosimile da lasciare intendere due cose: o l’editoria italiana e’ diventata la casa madre di ogni truffa letteraria, o viceversa – e cosa ben piu’ triste – in italia si e’ smesso di leggere bene. I gusti si sono involgariti.
    Ho conosciuto in rete alcuni degli scrittori in voga oggi: dio ce ne scampi! sono talmente incazzati di non sapere scrivere un Guerra e pace moderno, da arrivare a spacciare per letteratura qualsiasi nefandezza che esce dalle loro penne. E allora c’e’ chi scrive di sperma per 40 pagine ininterrotte, chi scrive di sesso come mai era stato scritto prima, chi scrive di una scrittura in movivento o peggio ancora in urgenza, chi s’inventa un commissario ad ogni pie’ sospinto, tanto da arrivare a trovare piu’ poliziotti nelle pagine scritte che nelle strade. E tutto questo – ma si potrebbe continuare all’infinito – lo chiamano letteratura.
    No, si sbagliano e di grosso: tutto questo ha un altro nome e si chiama , non avere niente da dire.
    Ecco perche’ di un Paolo Giordano in piu’ o in meno, non se ne sentiva l’importanza. E’ sparpagliato tra un mazzo cosi’ voluminoso di spaventapasseri narrativi, che di lui tra poco se ne perdera’ ogni traccia, confuso nella moltitudine chiassosa tipica dei mercati rionali.
    (l’editoria e’ un mercato, oramai)Sergio
  7. Lioa Dice:
    29 ottobre 2008 alle 11:34   modificaDunque. L’editoria odierna produce titoli a pioggia nella speranza di incrociare ogni tipo di domanda e colpire ogni possibile target. Sa che non esistono solo lettori dal palato sopraffino (un’infima minoranza), ma anche migliaia di altri cui va benissimo il best-sellerone da viaggio o la stronzatina neo-romantica… Inutile considerare l’editoria un mondo riservato in esclusiva a giganti letterari di razza ariana, dagli occhi azzurri e dai capelli biondi… Chiunque riesca ad agganciare un editore, peraltro, fa qualcosa di assolutamente legittimo, così come ogni editore ha il diritto di scommettere e investire i propri danari su chi vuole. Sta al lettore, se mai, sceverare nel gran mare di titoli in perpetuo avvicendamento il tipo di libro più adatto a lui, dando la caccia agli autori da collocare nel proprio olimpo personale. Certo, sto semplificando al massimo. Ci sono problemi molto grossi per il piccolo o grande editore che voglia puntare esclusivamente sull’alta qualità letteraria… così come c’è il problema di come individuare i supposti grandi talenti sommersi, o di dare visibilità agli autori riconosciuti bravi ma dalla bassa speranza di vendita… Eccetera eccetera eccetera.P.S. Ma tu non sei Garufi, vero?
  8. utente anonimo Dice:
    29 ottobre 2008 alle 11:52   modificaCapisco il tuo modo di vedere le cose: non fa una grinza e in un certo senso lo condivido.
    Ma se passa il principio che tutto e’ giustificabile ( per vendere) , allora passa il principio che vale per tutte le dimensioni odierne: il fumo venduto come oro e incenso. E contro questo, se permetti, bisogna dire di no; bisogna rammentargli ( agli autori) che li si legge perche’ il convento passa quello che passa e infine – dopo averli letti – si puo’ benissimo dire: e’ una schifezza questo libro. Sai che succede in questo caso? apriti cielo! ti rispondono ( magia di internet e della comunicazione diretta) che tu sei un lettore incompetente e forse anche un po’ in malafede.
    Ecco: a furia di autocelebrarsi, nel mondo fatato dell’editoria, hanno perso il senso della loro proporzione letteraria, ma diciamolo pure, in realta’ esclusivamente pubblicitaria.Garufi? non so nemmeno chi sia.Sergio
  9. Lioa Dice:
    29 ottobre 2008 alle 13:25   modificaTranquillo, per un Giordano che vende un milione di copie, ci sono centinaia di altri autori ai quali la tanto sospirata pubblicazione non cambia la vita di una virgola, rispetto a quando erano dei ‘miserabili’ inediti. Io stesso, negli anni Novanta, pubblicai una mezza dozzina di titoli per ragazzi e continuo a vivere unicamente della mia (miserabile pure quella) pensione da insegnante:- )
  10. PaoloFerrucci Dice:
    30 ottobre 2008 alle 21:25   modificaCiao Lucio: mi son permesso di citare il tuo commento #7 in un commento al mio ultimo post.
    Un caro saluto.
  11. Lioa Dice:
    30 ottobre 2008 alle 21:34   modificaAttento, il mio nome non porta bene… tra i ben-pensanti delle lettere°-*
  12. PaoloFerrucci Dice:
    30 ottobre 2008 alle 22:15   modificaLucio, nella mia vita ne ho passate di cotte e di crude (a vent’anni sono pure finito in carcere), per farmi strada ho mentito, grassato, ingannato e subornato, simulato, voltato gabbana e fatto orecchie da mercante. Ormai sono un relitto, che vuoi che mi accada ancora?ps: Però ho anche molto amato, e molto amo ancora.
  13. Lioa Dice:
    31 ottobre 2008 alle 00:16   modificaoh mio dio, tutto genio e sregolatezza. io, invece, tutto regolatezza e valori granitici…

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Lunedì, aprile 12, 2010

ENRICO BRIZZI, IL PELLEGRINO DALLE BRACCIA D’INCHIOSTRO

  

Nel numero di marzo-aprile 2010 de “LA RIVISTA”, bimestrale del Club Alpino Italiano, c’è un’intervista di Stefano Aurighi a Enrico Brizzi, definito lo “scrittore viandante”. E figuriamoci se per me, camminatore ed escursionista indefesso (oltre che, magari, un po’ fesso) non è stata una piacevole sorpresa scoprire questo lato dell’autore di Jack Frusciante è uscito dal gruppo. Dò una compattata all’articolo:

“Nel 2004 ha attraversato a piedi l’Italia dal Tirreno all’Adriarico, partendo dall’Argentario e raggiungendo il Conero dopo 350 chilometri percorsi sulla dorsale appenninica. Nel 2006 è stata la volta della via Francigena, oltre duemila chilometri da Canterbury a Roma, di cui 1500 a piedi e circa 550 in bicicletta, ripercorrendo il tragitto millenario dei pellegrini. Nel 2008, in compagnia di pochi e collaudatissimi compagni di avventura, è partito da Roma, raggiungendo Gerusalemme dopo 1200 chilometri e alcvuni giorni di mavigazione, toccando i porti di Atene, Rodi e Cipro. Il 2009 è stato l’anno della ‘Linea Gotica’, un nuovo “da mare a mare’, lungo i luoghi tristemente noti per le vicende legate al secondo conflitto mondiale. E ora, nel 2010, è il momento di ‘Italica 150′, un itinerario inedito che unisce i punti estremi del Belpaese – la Vetta d’Italia a nord e Capo Passero a sud – da percorrere in vista del 150° anniversario dell’unità d’ Italia”… [cut]…”viaggi per ritrovare ritmi naturali e dare al corpo e alla mente l’occasione per recuperare consuetudini ormai perse, dando poi alle stampe romanzi e diari di viaggio per mantenere viva la memoria su quanto visto e vissuto durante questi pellegrinaggi contemporanei. Al viaggio Tirreno-Adriatico del 2004, ad esempio, è dedicato il romanzo “Nessuno lo saprà“, mentre “Il pellegrino dalle braccia d’inchiostro è nato dall’esperienza reale del viaggio fra Canterbury e Roma…”

D. Perché negli anni 2000, all’insegna della massima velocità, una persona decide che i viaggi li fa a piedi?

R. Proprio per l’accelerazione innaturale a cui siamo sottoposti nella vita di tutti i giorni, a tutti gli allarmi, gli stimoli, le suonerie, i messaggi che arrivano per cinque canali diversi. A un certo punto non riesci più a controllare il flusso delle informazioni, che ti travolgono…

D. Qual è l’essenza del viandante?

R. Consegnarsi completamente alla natura, con il giro del sole che diventa l’unità di misura primaria del tempo… mentre cammini, la mente è libera come il pack polare, bianco, all’infinito, ed è un paradiso. Il pensiero più elaborato che hai è se arriverai al paese o alla vetta o alla sella o al passo prima di mangiarti il panino che hai nello zaino… [cut]… io so che esistono pensieri filosofici molto strutturati e profondi sul camminare, però credo che sia sostanzialmente un po’ un briccone chi non ammette che – al di là di tutto quello che la nostra vita e la nostra coscienza adulta ci dicono – è anche un modo per metterci in contatto con quello che avevamo sognato di fare a sette anni e non ci lasciava fare la mamma, perché se partivi per Canterbury a sette anni erano guai. È la rivendicazione dei sogni di infanzia. C’era qualcuno che a sette anni sognava di andare a fare l’università ad Harvard. Io no, io sognavo di fare l’esploratore.

Questo il sito del nuovo viaggio di Brizzi:

http://www.italica150.org/italica/Home.html

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Mercoledì, giugno 16, 2010

LA SBARBINA GIUSI MARCHETTA

(Giusi Marchetta)

Ebbene sì, lo confesso. Ho partecipato per gioco al contest letterario di http://www.blusubianco.it/ (ideazione di otto racconti a partire dagli otto incipit – uno più cretino dell’altro – proposti dalla sbarbina Giusi Marchetta). Be’, quella gran cazzona non me ne ha ammesso nemmeno uno alla finalissima. Ma quanto è scema? :- )

Ecco il primo incipit:

“La sua camicia è una macchia bianca sul letto. Lei la ignora: infila nel cassetto la biancheria pulita, mette la borsa nuova sul ripiano più alto dell’armadio, apre la finestra e cambia aria alla stanza. Va a sedersi davanti allo specchio. È bella, oggi; sembra quasi che il trucco di ieri sera le sia rimasto addosso. Ora può girarsi, raggiungere il letto. Prima sfiora il colletto e accarezza le maniche, poi se la preme sul naso, sulla bocca. Sorride: che stupida. Va all’armadio e cerca una stampella libera. Si sforza di non guardare il telefono anche se è lì, sul comodino.”

Ed ecco il mio svolgimento:

IN CAMICIA

«… Si sforza di non guardare il telefono anche se è lì, sul comodino. “Squilla, deficiente!”, gli ingiunge mentalmente. Il telefono obbedisce come per magia. Dal call center di Coin una voce petulante le ricorda la promozione in corso delle camicie in lino lavato Luca D’Altieri Life. “I can’t get no satisfaction!”, risponde irritata. E riattacca. Quello che prova adesso è un senso di languore allo stomaco. Si sposta in cucina, apre lo stipetto delle pentole ed estrae una casseruola di 20 centimetri di diametro. La pone sotto il rubinetto e vi lascia cadere almeno quattro dita d’acqua. Per renderla acida, aggiunge uno schizzo d’aceto bianco, infine la sistema sul fornello. Non appena accennerà a bollire, abbasserà la fiamma: l’acqua non deve bollire tumultuosamente, anzi non dovrebbe bollire proprio, ma sobbollire dolcemente… come la sua rabbia, in fondo. Che indelicato, il suo partner della sera prima. “Come diavolo ti sei truccata?” era stato il suo primo commento nel vederla. “Sembri pronta per l’Aida!”. Lei l’aveva guardato perplessa, poi aveva deciso di incassare in silenzio lo sfottò. In attesa che l’acqua si scaldi, torna in camera. La camicia bianca non è più sul letto. Straluna gli occhi, poi ricorda: “Ma certo, è nell’armadio! Che sbadata! L’ho appena appesa alla stampella!”. La estrae di nuovo e la indossa, poi torna a sedersi davanti allo specchio. Sì, sembra quasi che il trucco di ieri sera le sia rimasto addosso. E forse il tizio un po’ di ragione ce l’aveva. Ma chissà se quel cretino, rozzo com’era, sapeva che Ismail Pasha, kedivè d’Egitto, aveva commissionato l’Aida a Verdi per celebrare l’apertura del Canale di Suez. “Il pupo e la secchiona”, scherza mentalmente. Si preme la camicia sul naso, sulla bocca, sotto le ascelle. Il languorino allo stomaco si è fatto insistente. Sfila il libro delle ricette dal cassetto della biancheria pulita. Controlla l’indice, apre la pagina cercata e legge: “Prima di prendere in considerazione la preparazione delle uova in camicia, è opportuno spendere due parole sui fenomeni chimico-fisici alla base di questa preparazione. Le uova sono composte soprattutto da proteine, che coagulano, cioè si aggregano formando un composto solido, sotto l’azione del calore o dell’acidità… ”
“Chissenefrega!” impreca mentalmente, e sposta gli occhi più in basso, verso il paragrafo della preparazione vera e propria. “Il tuorlo non si deve rompere, se questo avviene, bisogna scartare l’uovo. Se immergiamo un uovo col tuorlo rotto, questo si disperderà nell’acqua…”. Sì, il ragazzo era rozzo e un po’ burlone, ma a letto ci aveva saputo davvero fare. Torna in cucina, apre il frigo, estrae un uovo e si sforza di romperlo delicatamente. Il tuorlo si spacca e le schizza sulla camicia bianca. “Vaffanculo!”, reagisce. “Sì, andate tutti e due affanculo. Tu, uovo della malora, e anche tu, che non mi hai ancora telefonato!”.»

P.S. Ovviamente ho scherzato. Rispetto le scelte di Giusi Marchetta, delegata alla selezione dei racconti più meritevoli niente popò di meno che da Alessandro Baricco.

(Foto da http://www.blusubianco.it/images/scuola-holden-giusi-marchetta.jpg )

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Venerdì, luglio 29, 2011

MANCASSOLA CHI ERA COSTUI?

(Marco Mancassola)

A volte mi illudo di essermi fatto almeno un’idea sommaria della nuova letteratura italiana che conta, poi, all’improvviso, scopro di ignorare del tutto autori perfettamente noti ai veri espertoni della materia. Mi è capitato ieri con Marco Mancassola, che – confesso – non avevo mai sentito nominare, malgrado il Gazzettino lo definisse “celeberrimo”.

Copio-incollo dal quotidiano veneziano di ieri:

“Da segnalare anche il primo dei ‘Pomeriggi letterari‘ della rassegna Incontemporanea al Teatro La Fenice, alle 17, a cura di Stefano Spagnolo, con celeberrimi scrittori italiani, che si propone un intreccio tra Veneto letterario e musicale. Apertura con Marco Mancassola (seguiranno domani e sabato rispettivamente Vitaliano Trevisan e Tiziano Scarpa), accompagnato da Sergio Wow Bertin al live-electronics, in “Non saremo confusi per sempre”, sua ultima fatica editoriale per Einaudi, dedicata a famosi casi di cronaca ben stratificati nell’immaginario collettivo.”

Una rapida consultazione del web mi ha fatto scoprire che Mancassola non è nemmeno più di primissimo pelo (38enne!) e che pubblica dal lontano inizio del secolo. Questa la sua scheda in Wikipedia:

«Il suo romanzo giovanile Il mondo senza di me esce nel 2001, pubblicato dalla piccola casa editrice Pequod. Il romanzo viene ripubblicato nel 2003 nella collana Oscar Mondadori. In seguito escono il romanzo Qualcuno ha mentito (Mondadori 2004, collana Strade Blu), il saggio narrativo Last Love Parade- Storia della cultura dance, della musica elettronica e dei miei anni (Mondadori Strade Blu 2005, poi Oscar Mondaori 2006), il racconto Il ventisettesimo anno (Minimun Fax 2005), il romanzo La vita erotica dei superuomini (Rizzoli Editore 2008). Nel 2007 ha scritto la sceneggiatura per il film di Andrea Adriatico All’amore assente. Nel 2010 è uscita in Francia per l’editore Gallimard la trilogia narrativa Les Limbes. Infine, il suo ultimo libro è Non saremo confusi per sempre (Einaudi Editore 2011).

Insomma un curriculum di tutto rispetto.

Mi reco con un senso di colpa alla Fenice, ascolto il reading di Marco Mancassola (due racconti quasi per intero dal recente volume), trovo il tipo sobrio e carino, ma assai deludente l’idea base di “Non saremo confusi per sempre“: partire dalla ricostruzione di eclatanti casi di cronaca (Eluana Englaro, Federico Aldrovandi, Alfredino Rampi…) e poi deviare per la tangente, facendo diventare, per esempio, Federico un fantasmino patetico che si aggira sul luogo in cui è stato massacrato di botte da poliziotti cattivi e che a un certo punto esclama: “Chi l’avrebbe mai detto che l’aldilà sarebbe stato così!” (o qualcosa di simile); o inventando un nuovo epilogo per la vicenda di Alfredino Rampi (già ampiamente sfruttata da Giuseppe Genna nel suo Dies Irae, bisogna dire). Nel racconto di Mancassola Alfredino non muore veramente, ma a un certo punto veleggia orgoglioso verso il centro della terra insieme al capitano Otto Lidenbrock – l’esploratore protagonista del Viaggio al centro della Terra di Jules Verne. Mah. Bah. Che dire?

Sarà pure un “riattraversamento letterario della cronaca“, come ha scritto il TQ Giorgio Vasta su Nazione Indiana, ma a me mi sa che ‘sto libro (per dirla in letterariese puro) proprio non me lo comprerò. Infatti mi cadono le palle già al solo pensiero di ripercorrere daccapo tutta la storia della povera Eluana Englaro, anche se poi, magari, verso la fine, Mancassola non mancherà di trasformare la ragazza – chessò io ? – in una screziata farfalla che svolazza felice di fiore in fiore. Piuttosto assaggio qualcuno dei lavori precedenti, che ‘vve devo da di’?

Però mi levo tanto di cappello davanti a un giovane che fin da subito è riuscito a convincere i più grossi editori a ingaggiarlo… Bravo Marco. In bocca al lupo. Continua così.*-°

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Mercoledì, ottobre 13, 2010 

LA POLONAISE DI VERONICA TOMASSINI

 

Love is a many-splendored thing?

«Sì – pare confermare anche Veronica Tomassini con il suo romanzo d’esordio “Sangue di cane” –, questo amore è splendido, è la cosa più preziosa che possa esistere. Vive d’ombra e dà la luce, tormento e pure pace. Inferno e paradiso d’ogni cuor.»

Eccone qualche assaggio:

«Io avevo i pidocchi… Marcin cagava sangue, stava morendo, beveva e cagava sangue… sboccava sangue e sangue, dalle orecchie, dal naso e da sotto, credo… Justyna vive in una grotta e beve solo vodka, possibilmente. Perciò fa la mignotta… Slawek era un ex barbone di Radom. Slawek stava con un’italiana. Ero io…  Loro avevano le crisi, andavano in epilessia, epilessia da alcolismo… tu mi dicesti: “Mia madre è una puttana”… sulla panca dei giardini rantolava Yurek… Wojciech non aveva età, era solo alcol…  giallo e lercio, solo piscio e vomito… Wojciech cagava in un angolo della stanza, con i materassi a terra e il vomito alle pareti… Gabriella l’eroinomane si faceva una pera al lume di una candela… Wojciech sputava bava… tu per primo con la rogna e poi con i pidocchi e poi con le pustole ai polpacci… Irenka è pesce marcio… Wojciech, prima il delirio, poi la crisi di bava… finimmo in un canile da un’ex sindacalista mezza matta e avanti con gli anni…  Mi hai lasciato con le emorroidi e la soluzione anale sopra il termosifone del bagno… Ti piaceva rincorrermi, ubriaco da fare schifo… la mia arrendevolezza ti dava alla testa. “Kurwa”, puttana, mi ripetevi ansimando… Tu Slawek scopavi sempre. E al parco lo sapevano tutti… Fosti il pasto che non consumai veramente, se non da sola, sul desco della vergogna… la tua rabbia alcolica era dura a smaltire… il tuo alito di vino sulla schiena… mi spiegasti che in Polonia c’è almeno un alcolizzato a famiglia, che la vodka è un pilone sociale, che anche i poliziotti rotolano in strada dopo aver fatto il pieno in una taverna di qualche sozzo sobborgo… nel nostro amore non si sprecavano troppe parole, si faceva sesso, dove capitava, poi ci si sbatteva per rimediare residui di normalità, soldi per le sigarette… Tornavi una maschera di sangue, perché vi battevate da alticci, tra voi connazionali della malora. Tornavi con la camicia a brandelli… Bava e vomito e un piatto di trippa davanti… il tunisino con la brutta tosse, Moktar, era lo stesso che sfregiò il bel volto di Ivona… Klauss sputava verde, l’austriaco con il ventre gonfio. Dormivi sul tuo vomito… Puzzavi di vomito, ti eri fatto addosso… Ivona, denti marci, bel visino, ma denti marci… era la migliore delle puttane. Uno sopra e uno sotto, non si risparmiava, se li passava polacco per polacco, tutti i beoni, pure il bastardo di Klauss, pure Wojciech, pure Jaruzelski, se li spartiva con la madre… Moktar sfregiò Ivona perché non gli voleva dare il culo… »

Eccetera.

[Veronica Tomassini, Sangue di cane, Laurana editore]

 

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Lunedì, dicembre 27, 2010

UN DEBUTTO IMPORTANTE: EMANUELE PETTENER

“… Poi si voltò, e io morii.

E io morii. E morii. Una scossa elettrica, come un artiglio d’acciaio, mi scotennò la schiena, mi penetrò la carne, mi afferrò il cuore e me lo stritolò, e continuavo a morire e non smettevo mai, la morte mi strappava viscere ossa e cervello, una scossa elettrica che mi faceva morire, e quel che era peggio era la coscienza di morire, avvertire il cuore gonfiarsi ed esplodere nei polmoni, il sangue ghiacciarsi via via dalle vene alle arterie ad ogni minimo capillare, e il sangue fiondarsi alla gola, agli occhi, occhi sbarrati ma vedevo: vedevo Angelica afferrare per la coda questo grosso serpente a sonagli, che si contorceva come un epilettico, lo vedevo aprire le fauci per mordere a vuoto, furioso, lo fissavo ipnotizzato e morivo, e Angelica sorrideva come un demonio e i suoi capelli erano altrettanti serpenti, ed io sentii finalmente il cuore spezzarsi, un dolore fortissimo, e vidi l’ultima cosa, il volto di Angelica farsi bianco come la morte, la vidi voltarsi, e poi rivoltarsi e venirmi addosso,  io sentivo la bocca rigida e gli occhi fuori dalle orbite, sentii la voce di Angelica, la sentii afferrarmi sotto le braccia, e poi non vidi nulla – morto.”

(Emanuele Pettener, È sabato mi hai lasciato e sono bellissimo, Corbo Editore, p. 223)

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Mercoledì, dicembre 29, 2010

EMANUELE PETTENER, IL NIZAM DE NOANTRI:- )

(Emanuele Pettener)

Avevo vent’anni. Non permetterò a nessuno di dire che questa è la più bella età della vita”, scrisse Paul Nizan nel 1931, nel celebre incipit di Aden Arabia.

Avevo vent’anni. Vent’anni, a dirla così, sembrano facili. Ma non è vero. Non è così semplice

gli fa eco il mestrino Emanuele Pettener a distanza di parecchi decenni, anzi quasi un secolo dopo, ovvero nel 2009. Ma Pettener, a differenza di Nizan, non sfoga la propria rabbia giovanile fuggendo nel golfo di Aden (magari per scoprire a sua volta, come già Nizan, che “la fuga non paga, che per dare senso ai propri vent’anni – questa età ingrata, insidiosa, piena di promesse vacue, di scelte obbligate – la ribellione deve arrivare fino in fondo, nelle fibre più intime della nostra cultura” (così Maria Agostinelli qui:
 
http://www.railibro.rai.it/articoli.asp?id=114 )
 
Il ventenne Pettener vola più basso, non si iscrive al Partito Comunista francese, non muore a Dunquerque, ma si accontenta di restare semplicemente dov’è, dividendosi tra Mestre, Venezia e il Lido.

Agli inizi del romanzo l’io narrante invidia Rimbaud (che a vent’anni era “già diventato il più grande poeta d’Europa!”) e il duro Paul Newman, al quale si sforza di assomigliare perché capace di essere “uomo” e non “gente”, cioè di elevarsi sulla “moltitudine d’idioti” (p. 9). Nell’attesa di realizzarsi a sua volta scrivendo “il romanzo del secolo”, si barcamena fra “amici e alcune donne”.

Le prime scene del romanzo, a dire il vero, non acchiappano granché. La descrizione di una partita di calcio in spiaggia, sul bagnasciuga del Lido, fa temere una sorta di saga sentimental-parrocchiale, poi, nel capitolo “Luglio” la scrittura di Pettener decolla, richiamando atmosfere cinematografiche quali quelle del vecchio film “La calda vita”(1964) di Florestano Vancini, con una giovanissima Catherine Spaak, Fabrizio Capucci, Jacques Perrin e Gabriele Ferzetti:

“Giorni azzurri/ho vissuto con voi/ e resteranno/ i più belli per me” cantava Catherine.

(Forse Pettener è troppo giovane perché possa aver visto quel film, in cui peraltro c’è un suicidio come nel suo romanzo. Più probabile che abbia letto il romanzo omonimo di Pier Antonio Quarantotti Gambini – del 1958 – da cui il film fu tratto: un dramma sulla gioventù che, all’epoca, aveva fatto scalpore.)

La narrazione procede scandita per mesi: dall’iniziale giugno all’aprile successivo.

Gustosissimo, nel capitolo intitolato “Luglio”, l’episodio dell’imitazione del compagno Niso con lo stratagemma della citazione di versi di Baudelaire per affascinare una cameriera.
 
“Forse essere un poeta maledetto non è la mia strada, ma io non posso accettare tranquillamente, impunemente, senza reagire, di essere nient’altro che un uomo qualunque” (p. 38)
 
Il chiodo dell’io-narrante, al momento, sono le femmine.

“Femmine, vino, caffè, un lungo inverno con gli amici al cinema o al biliardo, femmine”… ma “c’era qualcosa che non tornava, lo sapevo, un insinuante senso d’inutilità, di cose da fare per dimenticare che non c’era nulla da fare, la mancanza di una grande ambizione. Solo le femmine avevano, se non un senso, almeno una concretezza” (pp. 17-18).
 
Per catturarle, Emanuele fa di tutto e si sforza di emanare il massimo di carisma:
 
“Provai un paio di facce allo specchio, lo sguardo innocente e limpido di chi è capitato lì per caso, lo sguardo innocente e ironico che si accende d’inaudita ironia: ero bellissimo” (p. 31).
 
Sorprendenti molte similitudini, per esempio questa:
 
“Tutto era immerso nella calura immobile, tutto era logico nel cielo di luglio, i nostri stessi sensi assolutamente intorpiditi come un grosso gatto arancione in un orto ligure” (p.51) e finalmente, a metà libro, l’esplosione dell’amore per Angelica.
 
Non mancano momenti qoelettiani:
 
“Ogni nostra azione, dalla più piccola alla più solenne, è vanificata dalla nostra finitezza, sicché quanto più diamo importanza a noi stessi e prendiamo sul serio ciò che facciamo, tanto più la morte e l’universo ridacchiano in sottofondo. Solo che noi fingiamo di non sentirli: dare importanza a noi stessi e prenderci sul serio (farsi chiamare dottore, palesare i propri difetti e le proprie virtù, collezionare libri antichi o acquasantiere) è l’unico modo per essere felici. Tragica è l’esistenza di chi non piglia nulla sul serio… momenti in cui le cose ci appaiono in tutta la loro fatuità e per un attimo si rivela tutta l’effimeratezza [vocabolo un po’ forzato, N.d.r.] del nostro faticare a star dietro alla vita, la carriera, i figli, il cenone di Capodanno, il viaggio in India a riscoprire noi stessi, noi stessi, tutto destinato a sparire in un pentolone – ecco, ecco la morte e l’universo che si scompisciano!” (. 58)

La meditazione prosegue considerando che prendersi troppo sul serio, però, è irritante e pericoloso, può condurre al fanatismo e all’integralismo eccetera.
 
Malgrado la diffusa opinione contraria, a pag. 59 Emanuele dichiara:
 
“Mestre era spopolata, deserta e bellissima. Nessuno capisce che Mestre è bellissima.”
 
In agosto affiora la tentazione dell’altrove.
 
“E dove te ne andrai?” chiede Rebecca al giovane Emanuele a pag. 60. Questa la sua risposta:

“Non lo so. Ma me ne devo andare. Magari in America…”  [E appunto in America, per l’esattezza in Florida, vive e lavora oggi Emanuele Pettener].
 
Angelica, la ragazza che l’ha turbato, ha “occhi di tigre color della giada, zigomi fieri da nibelunga, labbra di papavero e seni che immaginavo carnosi e bianchi come il latte, sembrava venire da qualche leggenda indiana della giungla o dalle spume del mare.” (61) Ma la passione per lei si farà ossessiva solo molto più avanti nel libro, dopo “un ruggito nel cervello” e un “La guardai con lo sguardo di Clark Gable”.

A pagina 80 un inatteso episodio di pissing con la ragazza Ledina, che ha accettato di fargli un pompino.
 
“Appena percepivo la schiuma della sua bocca… fatto sta che il whisky cominciò a fare i suoi effetti e mi scappò da pisciare, e pisciai. Lei ristette per due secondi (due secondi lunghissimi), con tutto il piscio che le traboccava dalla bocca, incredula, come se non si rendesse conto, si strofinò violentemente la bocca con la mano e se la portò al naso quasi non volesse crederci, poi mi fissò inorridita: ‘Ma tu sei pazzo!?!’ .”
 
L’estate finisce, Emanuele e i suoi amici si iscrivono in massa all’università Ca’ Foscari di Venezia, Emanuele a Lettere Moderne, dove “c’erano più femmine che altrove”.
 
“L’unica cosa degna di rilievo nella vita mi sembrava il sesso”, ribadisce a pag. 105, come se non lo si fosse capito da un pezzo.
 
A pag. 107 un curioso errore topografico:
 
“Attraversammo la calle che congiunge San Sebastiano… a Campo San Geremia” [ma la Chiesa di San Geremia è a Cannaregio!, N.d.r.]
 
“Del resto era una gran bella vita, e bisognava nasconderlo: gli esami sarebbero cominciati solo a febbraio, tra un’ora di lezione e l’altra si passavano quattro o cinque ore in panciolle, far lezione consisteva solo nel trascrivere le quattro chiacchiere del professore (azione perfettamente inutile perché erano le stesse chiacchiere stampate sul suo libro, primo della lista da portare all’esame) e l’aspetto più impegnativo era manifestare un acceso interesse per le scemenze su cui discettava” (p. 111)
 
A pagina 117, in un flash back sul protagonista ai tempi delle scuole medie, poi del ginnasio, vengono liquidati con eccessiva disinvoltura capolavori di Calvino, Elsa Morante, Alberto Moravia, Alessandro Manzoni, Pierpaolo Pasolini, che avrebbero dovuto risultare decisamente meno tediosi alla sensibilità di chi, a vent’anni, si sarebbe poi emozionato per l’Oscar Wilde di “L’importanza di chiamarsi Ernesto” a tal punto da scoprire d’incanto la propria formidabile vocazione di scrittore.
 
A pag. 149 una svista grammaticale:

“La vita non mi sembra tollerabile se non GLI do un po’ d’importanza” (così come a pag 181 si parla di unghia “incarnata” anziché “incarnita”), poi un interessante momento religioso:
 
“Lacrime calde cominciarono a scendere, calde e confortevoli: forse Dio era davvero l’essenza. Mi vergognavo un po’ a piangere davanti a Lui, ho sempre detestato le crisi mistiche e sin da piccolo ho cercato d’instaurare con Dio un rapporto virile e razionale, ma la dolcezza della Sua presenza mi squagliava il petto, Lui era lì e mi carezzava la testa come a Marcellino pane e vino.” (p. 150)
 
Quando l’amico Niso è sconvolto perché Angelica l’ha lasciato, Emanuele gli dice “di gran cuore”:

“Tornerai bellissimo!”, ed intuisce che “il momento di maggior sofferenza coincideva con il primo momento di consolazione” (in questo passo c’è forse la chiave per la spiegazione del titolo, in cui il superlativo “bellissimo” significa evidentemente “grintosissimo”).
 
Ma anche Emanuele è in crisi, non riesce a studiare:
 
“Girovagavo come un disadattato, mani nelle tasche del mio lungo cappotto nero…”, finché, un giorno, Angelica non gli si siede accanto su una panchina di legno “con la leggerezza di una piuma”.
 
Dopo chiacchiere più o meno svagate, lei gli propone di passare una notte a ubriacarsi al cimitero.
 
E lo sventurato rispose.
 
Non vi racconto altro. Comprate il libro. Scoprirete che “È sabato mi hai lasciato e sono bellissimo” di Emanuele Pettener, malgrado alcune sequenze non del tutto convincenti (per esempio quella dell’incontro tra il neo-commediografo e il cavalier Guglielminetti) è un romanzo capace di forti suggestioni (interessante l’utilizzo narrativo dei serpenti) e che merita a pieno titolo la vostra attenzione.

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21 giugno 2011

LE IMPROBABILI BRIGATE ROSSE DI GAJA CENCIARELLI

(Gaja Cenciarelli, autrice di “Sangue del suo sangue”)

Nel confusissimo prologo (che essendo datato 9 aprile 2006 in realtà anticipa l’epilogo della vicenda) un improbabile drappello di quattro BR fuori tempo massimo ammazza la scorta del politico Chialastri, e forse anche il politico stesso (non si capisce ancora bene). Sono presenti in scena tale Margherita Scarabosio, figlia di un generale trucidato da brigatisti di migliore annata nel secolo precedente (il 12 gennaio 1986, come si preciserà più avanti) e suo fratello Massimiliano…

Un bel salto indietro nel tempo e inizia il romanzo. La studentessa Margherita fa i compiti anche per l’amato compagno di banco Pierfrancesco, che a detta della madre ricorda Marlon Brando da giovane (Cfr. “Ogni scarrafone è ‘bbello a mamma soia”). Più tardi, nel  parco del Valentino, Pierfrancesco ficca la lingua in bocca a Margherita, ma il preliminare è interrotto dall’arrivo di Massimiliano, che prima divide gli incauti limonatori a suon di pugni, poi grida a sua sorella:  “E tu, troia, vieni a casa con me”. Pierfrancesco torna a casa sanguinante, allunga la mano sul comodino e afferra – manco fosse il giovane Pierferdi Casini – una Bibbia. Boh.

Un salto ancora più indietro nel tempo e si viene a sapere che Massimiliano, da piccolo, era stato scoraggiato dal dedicarsi alla lettura dei libri a suon di calci nello stomaco. Da chi? Proprio da suo padre,  il generale Rodolfo Scarabosio, futura vittima delle BR. Costui  intendeva piuttosto educarlo a un virile disprezzo per le donne, che a suo dire occorreva “far rigare dritto”. Insomma una povera macchietta maschilista priva di sfumature. Massimiliano introietta l’idea di doversi allenare a far rigare dritto le donne infliggendo brutalità a sua sorella.

“Dopo la morte del padre, al liceo la guardavano tutti [Margherita] con una sorta di timore” (p. 32), ma Massimiliano continua imperterrito a chiamarla “brutta troia” e a seviziarla nottetempo con un coltello [Nottetempo è anche il nome della casa editrice, N.d.r.], per dissuaderla dalla frequentazione di “quel pezzo di merda”. Essere presa a calci nei fianchi o alle costole diventa per lei una triste routine notturna. Boh.

Il 30 luglio 1986 gli inquietanti fratelli Scarabosio restano orfani anche della madre, investita da un tram in via Po. “Mamma mia!”, esclama il lettore. “Che altro può succedere?”.  Succede che Massimiliano inizia a lavorare come rappresentante di articoli odontotecnici, senza  per questo desistere dall’angariare sua sorella. Nel frattempo, il giovane Marlon Brando si trasferisce a Roma per l’università.

A p. 46 entra in scena Milla Baravelli, nativa di Senigallia, che si trapianta a sua volta a Roma per lavorare presso la Inter Pares. [“Inter Pares” fa venire in mente “Extra Omnes”, titolo di un precedente romanzo della Cenciarelli, N.d.r.]. L’azienda gestisce tre call center ed è amministrata da Bruno Chialastri, uno squallido intrallazzatore con il pallino della politica. Il Chialastri imposta la propria campagna elettorale su demagogiche promesse stereotipate (“certezza della pena”, “meno tasse per tutti” e via discorrendo) ma ha l’accortezza di appuntarsi all’occhiello il fiore di un Comitato di Sostegno ai Famigliari delle Vittime delle BR [nel 2006???].  Milla, guarda caso, si è  laureata in lettere proprio con una tesi sulla letteratura italiana negli anni di piombo [letteratura notoriamente inesistente, o quantomeno di nessun peso, checché ne dica Demetrio Paolin nel saggio “Una tragedia negata” citato nei ringraziamenti, N.d.r.].

Alla Inter Pares Milla si sente sempre più demotivata, finché conosce Antonio, che la introduce in una cerchia di motivatissimi ammiratori delle BR d’antan/nemici giurati del politico Chialastri. Anche Pierfrancesco, dopo l’università, trova lavoro alla Inter Pares, dove convince Chialastri ad assumere come presidentessa del Comitato per il Sostegno ai Famigliari delle Vittime delle BR proprio la sua ex compagna di banco Margherita, particolarmente adatta al ruolo in quanto figlia di un generale rimasto vittima delle BR. Ed è così che anche Margherita – tu guarda i casi della vita! – confluisce a Roma. Il suo crudele fratello ci resta di merda e si sfoga picchiando il proprio partner sessuale, un “frocio” che per dileggio chiama “Ritina” (vezzeggiativo di  Margherita). Tutti i personaggi partecipano alla sarabanda finale dell’assalto al Chialastri e alla sua scorta…

Mi fermo qui. Confesso che voglio molto bene a Gaja Cenciarelli, con cui ho condiviso l’elettrizzante (almeno per un po’) esperienza di Vibrisselibri (lei era caporedattrice, io coordinatore del comitato di lettura), ma devo dire che questa sua nuova opera mi ha lasciato imbarazzantemente perplesso. Dirò di più: mi è suonata terribilmente phoney (falsa) e persino un tantino ridicola. Mi spiace per Demetrio Paolin, ma la stagione degli anni di piombo ha perso una nuova occasione per essere cantata a dovere. La quarta di copertina recita: “Sangue del suo sangue rovescia i luoghi comuni sul terrorismo…”. Secondo me non rovescia un bel niente, anzi aggiunge confusione a confusione. Boh.

Per fortuna di Gaja, tuttavia, questa è solo la mia humble opinion, che non conta davvero nulla e potrà essere contraddetta da chiunque in qualsiasi momento, a Fahrenheit come a Timbuctù. *-°

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BOCL N. 44 (CANDIDA COME TE)

Il risvolto di copertina recita: “La mania per l’alfabeto è un romanzo drammatico e paradossale, frutto di un ***genio*** che trabocca di storie”. 
“Me cojjoni!” esclama subito il lettore. “Speriamo non se lo sia detto da solo.”
E inizia a scorrere le pagine. Il primo interrogativo che lo squassa è come faccia il narratore onnisciente ad appuntare testi così lunghi nello spazio notoriamente ristretto dei foglietti chiamati post-it (nel romanzo, peraltro, meticolosamente numerati da 1 a 158).
La situazione iniziale, comunque, è questa: il suddetto osservatore annota in singoli post-it non solo ciò che fanno, ma, essendo onnisciente, anche ciò che pensano il venticinquenne Michele e la sua compagna Savemi [C’è forse un richiamo all’invocazione inglese “Save me!”, “Salvami!”? Mah. Bah. Chissà. N.d.r.]
Vediamo nello specifico:
Michele si è messo in testa di scrivere non già “un” libro, ma “il” libro (il libro per antonomasia, si suppone), mentre Savemi proprio non ce la fa ad adorarlo in silenzio per tutto il tempo. Così accade che, mentre Michele sugge avidamente il latte della sua immaginaria Musa, già nel secondo post.it  il narratore onnisciente annoti: “Quasi sempre Savemi si addormenta per il ticchettio regolare delle dita di Michele sulla tastiera”.
Nel terzo post.it la tastiera viene chiamata senza mezzi termini “lei” (in corsivo), anziché “essa”: “davanti a lei gli oggetti intorno [compresa l’altra “lei”, la compagna-oggetto Savemi, evidentemente, n.d.r.] non ci sono più”.
Si tratta, per farla breve, di un cupo caso di grafomania compulsiva. Michele, infatti, non ha in testa alcuna storia da raccontare. Gli basta ammucchiare noiosissimi dettagli sul proprio ombelico, sulla durata cronometrica dei propri gesti, anche i più banali, con tanto di relativi grafici, e così via. E quando proprio non sa più che pesci pigliare, attinge a piene mani da pensierini registrati in vecchi quaderni di scuola, da  lettere alla mamma (“Per te, mamma, vorrei scalare la montagna più alta…”), da mail inviate per accertare quali regali di Natale sarebbero più graditi, da altre mail inviate per avere conferma che i regali elargiti siano stati effettivamente molto graditi, da un brogliaccio con abbozzi di idee da sviluppare in futuri racconti, eccetera.
Nel quarto post-it il narratore annota: “In certe occasioni Savemi considera Michele come un malato da assecondare”. Il tredicesimo post-it spazza via ogni residuo dubbio:  “Savemi ha imparato che… Michele è ossessionato da un fantasma – che Michele chiama il libro.”
Nel quattordicesimo post-it  leggiamo che Savemi “sa che Michele possiede una parte bianca e una parte nera… la parte bianca è l’angelo, la parte nera [ovviamente, n.d.r.] il diavolo”. Come dire che, malgrado tutto, anche in lui c’è del buono e del cattivo.
Nel diciassettesimo post-it Michele vede uscire dalla bocca di Salemi “sempre pietre preziose, diademi e stoffe di seta come alla fanciulla nella favola di Perrault”.
Su come dovrà essere il libro alla cui composizione Michele dedica tante energie troviamo cocenti interrogativi alle pgg. 28-29:
“Dovrà essere di duecentodieci pagine o di trecentoquindici? Centodiciassette o quattrocentonovanta? Settecentoventi? O milleduecentotrentasei? E dovrà avere capitoli e sottocapitoli? Oppure nessun capitolo? E se avrà capitoli, quanti capitoli? Dieci capitoli? Dodici capitoli? Oppure centoventi capitoletti? (… detto fuori dai denti non ho mai capito il senso dei capitoletti…)? E se nessun capitolo, dovrà esserci una riga bianca tra un non-capitolo e l’altro, e se sì quanto frequenti queste righe bianche? E le frasi dovranno essere lunghe oppure corte?…” Eccetera (le domande proseguono imperterrite per svariate pagine).
Nel ventitreesimo post-it Savemi capisce che “la loro storia non può continuare.” [E ‘tte credo!, n.d.r.]
Nel venticinquesimo post-it il ménage precipita: “Da almeno due mesi Michele e Savemi non vanno da nessuna parte: stanno a casa oppure vanno al cinema.” (Andare al cinema, evidentemente, è equiparato al non andare da nessuna parte, con buona pace del Mereghetti). 
Nel trentaquattresimo post-it si afferma che “il macrolinguaggio è la lingua condivisa da tutti gli scrittori e da tutti i poeti in ogni tempo, è la lingua condivisa dagli scrittori ottimi e dagli scrittori mediocri in ogni tempo…” e più giù: “Saper scrivere è conoscere il macrolinguaggio”. Fa niente, quindi, se si è scrittori mediocri. Tanto sempre di macrolinguaggio si tratta.
A pagina 125 Savemi dice a Michele: “Non riesci neanche a concludere una serata come questa: figurati una cosa complessa come un romanzo o un libro di racconti!”
(L’identificazione del lettore in Savemi, a quel punto, è totale.)
A pag. 133 si legge la considerazione: “Quando la persona amata ci lascia, muore. Naturalmente la persona amata non muore, ma per noi e per il nostro mondo la persona amata è morta”. Ma nel cinquantaseiesimo post-it Michele dice a Savemi che lasciarlo “significa sgretolare tutta la sua vita”. Si deduce che, in realtà, a morire sarà lui.
La prima parte del romanzo si conclude con Savemi che ammonisce il fidanzato, ormai irrecuperabilmente affetto da sì grave forma di tabe pseudo-letteraria, con le parole: “La scrittura, sono certa, ti causerà anche altri problemi: non solo me che ti lascio”.
Michele alza uno sguardo supplice [come a dirle: “Save me! Save me!”, n.d.r.], ma questa volta le vede uscire di bocca “pietre nere, aghi arrugginiti, fazzoletti di carta bagnati”.
Nulla, ormai, fa più immaginare che Savemi salverà Michele…
(Continua) 
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24 MAGGIO 2007

 LA MANIA PER L’ALFABETO (2)

(Marco Candida).
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La seconda parte di La mania per l’alfabeto si intitola “IL LAVORO” e comprende i post-it dal 57° al 128°, se si vuole continuare a chiamarli così, trattandosi in realtà, come ormai si è ampiamente intuito, di normalissimi paragrafi: è un po’ come la storia degli spazzini diventati improvvisamente “operatori ecologici”:-)
 
Ma è subito flash-back. Ci viene rivelato che il 5 novembre 2002 (Candida, chissà perché, preferisce la formulazione “al 5 novembre 2002”) Michele era stato assunto come impiegato di terzo livello a tempo determinato, ovvero fino al 4/11/2003, dalla Stradesicure S.p.A.
A questo punto, per dare polpa al libro, l’autore inserisce vari materiali: l’intero contratto di lavoro, l’organigramma aziendale, la lista delle commesse commerciali attive in data 30 settembre 2004 [un deferente omaggio all’omerico Catalogo delle Navi nel II libro dell’Iliade? Mah. Bah. Chissà. N.d.r.], eccetera. Il lettore, ovviamente, salta a piedi pari tutto ciò.
La ditta che ha cooptato Michele produce conglomerato bituminoso, also known as “asfalto”. Vengono descritti vari colleghi di lavoro. Non succede granché fino al 102° post-it, in cui leggiamo: “Se ogni Ufficio della ditta è un Mondo, e se ogni Impiegato è l’Abitante di un Mondo, allora Michele in questo momento viene squadrato da Fantini come un Invasore, come un Alieno proveniente da un Altro Mondo”.
La situazione peggiora nel 108° post-it, che puntualizza: “Michele, che è la persona solitaria e silenziosa delle serate con Savemi, è per questo il candidato ideale a essere il bersaglio de La Ditta”. Viene, infatti, presto considerato frocio (“non omosessuale, no, proprio frocio”) e soprannominato Michele Rick (da “ricchione”, si immagina), poi sospettato di essere, con un rovesciamento di prospettive, “chiavatore oppure grande scopatore”, instancabile stallone, poi ancora “un genio o una mente superiore”, infine, con pari esagerazione, un ritardato. Di tanto in tanto (Candida dice “ogni qualche volta”) a Michele cadono di tasca dei foglietti e il post-it n. 125 ne riporta uno per intero contenente “IL RACCONTO DEL FOGLIETTO CADUTO” (appunto). Sono circa una decina di pagine [all’anima del foglietto!, n.d.r.] di copia-incolla di una lunga recensione tratta da Internet, grazie alla quale Candida doppia elegantemente il traguardo di pagina 200 e si porta in tal modo a un solo terzo dalla fine.
Il 128° post ci regala un’interessante convinzione di Michele, che adesso parla e si espone in prima persona, rinunciando alle prestazioni del narratore onnisciente, mandato improvvisamente in ferie:
 
“Penso che il libro verrà quando avrò sofferto abbastanza e avrò trovato il modo di esprimere questa sofferenza. Quando si scrive bisogna dar voce a una diversità, e la diversità, molto spesso, sta sprofondata nella sofferenza. Bene, se è così allora mi chiedo: io sono in grado di dar voce a una nuova diversità?… È la scrittura la sofferenza: è la scrittura la diversità.”
 
Subito dopo viene inserito un nuovo racconto: “Il FOGLIO”, frutto di un seminario sulla narratologia alla Facoltà di Lettere, seguito da tre interrogativi:
 
1)      Perché allora scrivere se scrivere è diversità, sofferenza, solitudine?
2)      Perché scrivere se scrivere è fornire una rappresentazione infettata?
3)      Perché scrivere se scrivere è pretendere di curarsi con la propria malattia?
 
ai quali Candida-Michele dà la seguente risposta:
“Perché la scrittura è un demone e davanti a un demone non si può fare molto”.
 
 
Ovviamente siamo molto lontani da dichiarazioni wuminghiane del tipo: “Di ‘biopic’ sui Grandi e Grandissimi Artisti, la loro Ispirazione, la loro Superiore Sensibilità, il Titanismo, l’Ego che si espande fino a invadere ogni spazio, il loro essere maudits /incompresi/ribelli/irregolari/martiri della creazione, vissi d’arte vissi d’amore, live fast die young ecc. ce ne sono già fin troppi. Si potrebbe scrivere un romanzo in cui la Musa, stanca di essere tirata per la giacchetta di questo mondo, manda l’eroico Autore a fare in culo”. (http://www.ilpostodeilibri.it/joyce_31.htm )
 
 
E a proposito di pena e sofferenza, nella stessa intervista chiesero a Wu Ming 1:
 
“Per voi scrivere un libro non è mai un piacere, quindi? C’è sempre una buona dose di fatica, di ‘pena’ . Si può dire, così?”
 
La risposta fu:  
No. La vera fatica è quella del minatore, di chi spalma il catrame sulle strade [Wu Ming 1 prefigurava i conglomerati bituminosi di Candida? n.d.r.], raccoglie i pomodori, lega gli innesti alle piante, tira il risciò, scarica i camion, passa le giornate sulle impalcature, ha i piedi gonfi per aver passato undici ore al semaforo proponendosi per lavare i parabrezza. Non bisogna credere a chi esalta troppo i Tormenti del Creare, il Peso dell’Arte ecc.. Raccontare una storia, limare un verso, far suonare la lingua e le parole è senz’altro più divertente che spalare la neve all’alba a metà gennaio per conto del Comune. Però, anche scrivere è un lavoro, con strumenti, tecniche, tempo da dedicare, routines da eseguire, parametri da verificare, collaborazioni da rodare.” .
 
 
(Continua)
 
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. 
 
La terza parte del romanzo di Candida si intitola “LA FAMIGLIA”. Dapprima vi si rivanga la fanciullezza di Michele, che “ha cominciato a scrivere con continuità dai dodici anni circa”, senza aver preso da nessuno. E qui segnalo una contraddizione. Precisa, infatti il 130° post-it (p. 223): “Nessuno in famiglia (sua madre, suo padre o suo fratello, maggiore di due anni) legge libri (e tanto di meno li scrive)”. L’affermazione è subito smentita dal post-it successivo (il 131°) in cui Michele attribuisce proprio alla visione fascinatrice di sua madre che legge l’attrazione per i libri: “La madre di Michele si sedeva su una di queste panchine [del parco del Castello di Tortona, n.d.r.] e mentre Michele e il fratello di Michele[,] [virgola errata. n.d.r.] tiravano fuori un pallone da calcio plastificato… lei tirava fuori dalla borsetta (molle; e di color verde acido) un libricino Selezione… Michele, però, ogni tanto, mentre giocava, si fermava e osservava leggere sua madre. Sua madre reggeva il libricino bianco con le tre dita della destra con le unghie smaltate di rosso… Perché sua madre rivolgeva la sua attenzione – la sua bellezza – al libro? Che cosa ci stava dentro?… forse per un atto di imitazione – si imita solo quel che si ama (non si può imitare, pensa Michele, senza amare l’oggetto che si sta imitando) -, Michele ha cominciato a curiosare dentro i libri, per vedere se per un caso non riuscisse a scoprire – o almeno così a lui piace pensare – che cosa, in quei pomeriggi, sul Castello, avesse catturato tanto l’attenzione – e la bellezza – di sua madre.”
Nel 137° post-it si ribadisce che “la famiglia non ha mai accettato fino in fondo che Michele si chiudesse nella sua stanza e si concentrasse sui libri per leggerli o per scriverli”. Seguono vari racconti, inseriti con pretesti ad hoc. Se, per esempio, Michele estrae un plico di fogli dal penultimo cassetto, subito dopo, inesorabile, appare il “RACCONTO NEL PENULTIMO CASSETTO” (che ci ragguaglia su varie fanciulle amate in successione da Michele prima di Savemi, al ritmo di una tira l’altra).
Nel 143° post-it Michele pensa che “è per causa della scrittura se sta lì inscatolato nella sua stanza: la scrittura ha non allargato ma amputato il suo mondo, il mondo del fantasma, come Savemi lo chiama, e il fantasma adesso esce da tutti i cassetti, si allunga per tutta la casa, si è insediato anche nell’ultimo cassetto della scrivania del suo ufficio: è il fantasma che gli ha fatto perdere il lavoro…”
Il racconto più suggestivo si intitola “Gli insetti grossi. Psicotrauma”, quello meno accattivante “Il racconto in sei lingue”, dove, peraltro, l’aggettivo “incredibile” viene erroneamente tradotto in inglese come unbeliveable [la grafia corretta è “unbelievable”, n.d.r.]. Un terzo racconto, “Desideria si chiede”, parla di una sorta di Zelig in gonnella che osserva, introietta e riproduce senza sosta comportamenti altrui.
E intanto, tra un inserto e l’altro, siamo arrivati a pag. 272, dove inizia la tirata secondo me più bella del romanzo, con la splendida invenzione del fantasma che si materializza: e qui devo assolutamente complimentarmi con Marco Candida. Il 29 ottobre 2004 Savemi se ne va. Il giorno dopo Michele svita la torretta del computer ed ecco che, nemmeno avesse scoperchiato il vaso di Pandora, dalla torretta cominciano a fuoriuscire e a sparpagliarsi per tutta la casa frotte di “esserini ritorti e gommosi, particolarissimi, grandi un pollice” [viene in mente il film “Gremlins“, n.d.r.]. Seguono varie pagine di acrobazie dei suddetti esserini finché… accade il prodigio, sul quale non mi effondo ulteriormente per non spoilerizzare del tutto la lettura di questa magnifica trovata.
“Dopo tanti anni”, sospira Michele [di nuovo in prima persona, anziché per interposto narratore onnisciente, n.d.r.], “se non altro dopo tanti anni che mi sentivo dire che i miei scritti non avrebbero dato forma a niente, adesso, adesso che si erano incastrati e avevano dato forma a qualcosa, a una cosa, sia pure anche solo quella cosa, e anche se sospettavo che dietro quella cosa non ci fosse proprio niente, questo, comunque, mi faceva soddisfazione… Poi, però, come dicevo, mi è venuta la paura… Che cosa era quello se non il mio fantasma? Che cos’era se non una cosa che aveva preso forma, e proprio davanti ai miei occhi, attraverso cose che io avevo fabbricato, sia pure indegnamente?”. Ripeto: invenzione narrativa di prim’ordine. Bello anche l’avverbio “indegnamente”.
Il romanzo si chiude con la mamma che dice a Michele: “E cerca di capire che nessuno qui in casa ti tocca le tue cose e che nessuno ce l’ha con te e che puoi fare tutto quello che vuoi, basta che lavori, e che pensi al tuo futuro… sennò ci tocca mantenerti per tutta la vita, e questo non lo vogliamo, cioè fosse per noi, lo vorremmo anche, ma noi lo diciamo per te, perché siamo i tuoi genitori, Michele, e ti vogliamo bene, e adès… ‘sta sità”.
Nel terzultimo post-it Michele riprende a lavorare, nel penultimo assistiamo al rientro in pista di Savemi, The Saviour🙂 mentre nell’ultimo, appena prima di congedarsi da noi, il protagonista ripete lo stesso identico gesto di 157 post-it prima, ovvero quello con cui si apriva il romanzo, affinché il circolo narrativo si chiuda… 
 
Ciao, Marco. Sono contento che tu non te la sia presa per i miei bonari cazzeggi. Ti ho già spiegato che Madre Natura, purtroppo, mi ha condannato a essere un critico solo semiserio. Posso comunque dirti che, nel complesso, il tuo romanzo d’esordio non mi è dispiaciuto, a parte qualche tediosità. Giuro che mi aspettavo mooolto, ma mooolto peggio:- )))
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..G
(
(Giuseppe Iannozzi)
 
28 MAGGIO 2007 
Giuseppe Iannozzi, autore dell’utilissimo “Amanti nel buio di una stanza“, Editrice Nuovi Autori, 1994, ha definito “inutile” – nel suo blog http://www.biogiannozzi.splinder.com/ – l’esordio letterario di Marco Candida:- ) 
 
“Comunque è così [= attraverso contatti e invii di testi on line, n.d.r.] che ho conosciuto i miei unici interlocutori possibili – così chiamo le persone che scrivono e hanno prodotto testi interessanti e che parlano il macrolinguaggio della scrittura. Li ho anche invitati qui, dove vivo, a Tortona, per conferenze o corsi di narrazione, e, senza volere, ma trovandomici poco per volta, ho cominciato a osservarli, e li ho sempre osservati, tutti quanti, devo dire, come piccole divinità. Quando si dice che una persona che scrive crea un mondo si usa la stessa espressione che si usa anche per il divino. Soltanto il divino può //creare un mondo// e se si dice che una persona che scrive crea un mondo, allora, almeno quando crea il mondo, si sta dicendo anche che è una piccola divinità.

Ma: come sono queste piccole divinità? Sono arruffate, malconce, particolarissime. Tutte le piccole divinità che ho osservato, comunque sia, mi sono sembrate fuori misura; o troppo basse o troppo alte o troppo simpatiche o troppo antipatiche: sempre, però, con qualcosa di troppo. Dico queste cose perché non sto parlando di uomini, ma di divinità, anche se piccole, e una divinità si tende a rappresentarla bella e della giusta misura (direi: della bellezza e della misura esemplari): un incanto. Quando leggiamo il libro di un autore, la sua voce ci incanta, e quando vediamo la fotografia dell’uomo che ha la voce che ci ha incantati per il tempo della lettura del libro, rimaniamo quasi sempre delusi: pensiamo – parlo al plurale perché penso questa un’esperienza comune – che il suo viso non si addica alla sua voce (come quando parliamo al telefono con una persona senza averla incontrata prima e, quando la incontriamo, la persona ci dice: “Dalla voce ti immaginavo più bello”). Quando alle presentazioni dei libri o durante un’intervista vediamo l’autore, di solito rimaniamo delusi dal suo comportamento schivo e straniante. Noi lo osserviamo, come una piccola divinità, che ha scavato la forma di un mondo, e ci immaginiamo che abbia il viso sfolgorante e gli occhi penetranti – ci diciamo, in un secondo momento, che no, che non può essere così, che quello è solo un uomo, e noi lo sappiamo, lo abbiamo sempre saputo, e che non siamo degli ingenui, ci aspettavamo un uomo e questo abbiamo trovato: un uomo; ma, in un primo momento, in un angolo irrazionale, il pensiero di incontrare una piccola divinità, e con tutte le sembianze della piccola divinità, quel pensiero, in fondo, noi lo facciamo… “

(Marco Candida, La mania per l’alfabeto, Sironi editore, pp. 213-14)

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21 GENNAIO 2010

DIALOGHETTO AL VELENO CON MARCO CANDIDA

 

Nell’articolo “Senso e significatività 
 
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Marco Candida blatera di una  “bolla dorata d’autorialità” che lo accompagnerebbe ovunque vada privandolo del piacere di un rapporto alla pari con l’interlocutore,  e aggiunge che, per uscire da detta bolla e mettere a proprio agio l’interlocutore, ultimamente si premura di tacere della propria opera omnia per circoscriversi ad autore di un librettino horror per ragazzi da poco uscito per una casa piccola piccola. “Altrimenti”, spiega, “per parlare dei miei altri libri dovrei cominciare un discorso molto più ampio che mi porterebbe inevitabilmente a dominare troppo  la conversazione – e questo non lo voglio fare. Cerco anche di pormi in una posizione di inferiorità…  Sono convinto infatti che soltanto essendo totalmente alla pari con chi dialoga con me e forse un pochino al di sotto potrò sperare a un certo punto, se se ne presenta la necessità, di ergermi per un istante al di sopra di lui e imprimergli con tutta la forza del mondo un messaggio che possa essergli d’aiuto.”
 
Gli ho risposto:
 
Andare in giro a rivelare di essere scrittori (gli ennesimi) oggi come oggi, non fa affatto sembrare automaticamente superiori, semmai solo un po’ patetici (salvo i casi di conclamato e raggiunto prestigio, e mi spiace dirti che non rientri ancora tra questi): nella testa dell’interlocutore non può che formarsi la muta interiezione “Poareto!”*-°
 
Lui: 
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Ti sbagli di grosso, Angelini, se hai pubblicato opere di finzione le cose cambiano. 
 
Io:  
 
Forse in peggio, certo. Sottolineo un’altra minchiata: “Così non solo gli dico che ho scritto un romanzo dell’orrore ma aggiungo anche che è un ***romanzo per ragazzi***”. E se ti scambiano per Joanne Kathleen Rowling? 
 
Lui: 
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Siccome non puoi attaccare Joanne Kathleen Rowling (che per inciso non so nemmeno chi sia) allora te la prendi con me. Ad ogni modo che tu mi adori, che mi detesti o che mi ignori sapere che ho pubblicato delle opere di finzione cambia le cose. 
 
Io: 
.
Nella *maggior parte dei casi* – oggi come oggi (60.000 nuovi titoli all’anno!) – pubblicare o non pubblicare è la stessa cosa. Chiudiamola qua.
P.S. La Rowling è l’autrice di Harry Potter, a cui somigli un po’ fisicamente, ma non moralmente:- ) 
 
Lui: 
.
Uno scrittore in Italia che pubblica un libro e vuole fare lo scrittore siccome non può fare il professore di scrittura creativa [?] cercherà di trovare spazio dove la scrittura c’è (per mettere a servizio le sue qualità: non per chissà quali scopi malvagi) e quindi si rivolgerà agli editori, magari al giornalismo. Se nella migliore delle ipotesi ce la fa, il sistema creerà una specie di mostro e in qualche modo lo danneggerà come autore. Perché se vogliamo essere onesti un autore che rivesta anche un ruolo importante riceverà degli elogi più facilmente degli altri autori – ossia la sua autorialità verrà alterata ulteriormente. Allora facciamo qualcosa… 
 
Io: 
.
Sì, facciamo qualcosa. Diamoci una ridimensionata. 
 
Lui: 
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Va bene, Angelini. Dopo questo show passi tu a raccogliere le monete con il cappello? Grazie, perché io adesso ho altro da fare. 
 
Io 
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Ok. Ma prima lascia che ti faccia una TERRIBILE (tua definizione) domanda: di che cosa parlano i tuoi libri? Ti autorizzo ad allargarti in un discorso molto ampio che ti porterà INEVITABILMENTE (l’hai detto tu) a DOMINARE TROPPO la conversazione. Sono pronto ad avere soggezione di te*-°
 
Lui: 
 
Il fatto è che se io metto in soggezione una persona io quella persona la annullo. 
 
Io: 
.
Immagino un incontro su un treno tra MC e JKR.
.
“Lo sa che io sono uno scrittore italiano?”
“Davvero? E di che cosa parlano i suoi libri?”
“Ah, sciocchezzuole. Robetta horror per ragazzi. Ma non voglio seccarla con la mia Autorialità. Lei, invece, di che si occupa?”
“Io sono Joanne Kathleen Rowling.”
“Mi perdoni, il suo nome non mi dice nulla.”
“Non c’è problema. Come si trova qui in America?”
Eccetera.
 
 
Lui: 
.
Lucio, è un peccato così grande non conoscere il nome di un’autrice? Cavoli, provi orrore e indignazione praticamente per qualsiasi cosa che dico e scrivo! Per te probabilmente dovrei andarmi a nascondere sotto terra e non uscire più! Vuoi sentirmi dire che non sono uno scrittore? Vuoi che mi metta in ginocchio sui ceci? Dimmi, cosa devo fare, perché tu la smetta di attaccarmi (o nella migliore delle occasioni di sfottermi come se fossimo all’oratorio)? 
 
Io:
 
Hai delle reazioni sempre esagerate o fuori dalle righe. Riassumendo: non preoccuparti di “umiliarti” o auto-degradarti al miserabile rango di “scrittore per ragazzi” (spero tu conosca almeno Hans Christian Andersen) per avere un rapporto sincero con chicchessia. Non sei ancora nessuno e nessuno si imbarazzerà all’idea di conversare con te. Aspetta almeno di aver raggiunto il credito, chessò io?, di un Michele Mari… prima di immaginare di incutere un senso di reverente timore in chicchessia.
 
P.S. Non ti sto ATTACCANDO. Sto semplicemente cercando di “imprimerti con tutta la forza del mondo un messaggio che possa esserti d’aiuto”, grazie all’uso di “parole nude e le meno corrotte possibili” (come dire che per avere uno scambio sincero mi sono spogliato di proposito della mia imbarazzante autorialità):- )
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Giulio Mozzi: 
.
Basta così. [E ha chiuso i commenti al post:
 
 
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13 dicembre 2010

AND THE WINNER IS… MARCO CANDIDA

(Da sx a dx: Marco Candida e Giulio Mozzi)

Secondo IL SOLE 24 ORE (ma la scelta è di Michela Murgia), i migliori libri di narrativa italiana usciti nel 2010 sono i seguenti:

IL PRIMO PASSO NEL BOSCO
Alessandro De Roma Il maestrale
pagg. 208 | € 17,00

HO RUBATO LA PIOGGIA
Elisa Ruotolo
Nottetempo
pagg. 164 | € 14,00

CHIEDO SCUSA
Francesco Abate e Valerio Mastrofranco
Einaudi
pagg. 236 | € 17,50

http://www.ilsole24ore.com/art/cultura/2010-12-11/letteratura-italiana-152620.shtml

Secondo Aleksandar Hemon il miglior rappresentante della fiction italiana 2010, degno quindi di apparire nell’annuale BEST EUROPEAN FICTION 2011 (il BEF si prende sempre con un anno di anticipo), è Marco Candida (con un brano tratto da Il diario dei sogni, Las Vegas editore).

BEF 2010

Per essere inseriti nell’annuale raccolta della Dalkey Archive bisogna seguire le SUBMISSION GUIDELINES indicate qui:

http://www.dalkeyarchive.com/aboutus/?fa=Submission

We prefer submissions to be sent by e-mail, directed to submissions@dalkeyarchive.com.

Ecco come è andata. L’anno scorso Elizabeth Harris, traduttrice di Giulio Mozzi, inviò un testo di Mozzi alla Dalkey Archive e nell’edizione BEF 2010 fu scelto proprio lui come miglior autore italiano. Allora il suo allievo (nelle scuole di scrittura creativa svoltesi a Tortona) Marco Candida, forse nel tentativo di superare il maestro, scrisse a Elizabeth e – non contento – ci si fidanzò. Questa volta l’esimia traduttrice inviò alla Dalkey Archive un testo di Candida. Casualmente, per il 2011, è stato scelto proprio lui.

Ha osservato Emanuele Bozzi sul Corriere della Sera:

“Lo strano caso di un romanziere sconosciuto in mezzo alle voci della meglio Europa”.

Avevo osservato anch’io nel blog di Gulio Mozzi:

http://vibrisse.wordpress.com/2010/11/24/best-european-fiction-2011/#comments

“Sarebbe bello che Hemon spiegasse se ha scelto Candida fra altri dieci, fra altri cento, fra altri mille o solo perché il suo testo gli è piaciuto tout court. In tal caso resta scorrettissimo titolare l’antologia ‘Best European fiction 2011’. Se l’Italia è rappresentata solo da Marco Candida, è più che lecito – per un osservatore anche distratto – domandarsi: e tutti gli altri e pur notevolissimi autori italiani 2011 (= 2010) che fine hanno fatto? Sono stati presi in considerazione solo quelli già tradotti in inglese o solo quelli di cui qualcuno si è preso la briga di inviare il testo tradotto? Questo il punto essenziale. Mi par di intuire che solo una manciata abbia inviato a Hemon una traduzione inglese del proprio lavoro… in linea di massima autori non vincolati per contratto alle grandi case editrici.”

Giulio Mozzi ha ammesso:

“Un volume che s’intitola ‘Best European Fiction’ accampa sicuramente una pretesa; e dovrebbe argomentare tale pretesa (in linea di massima: spiegando come sono stati selezionati i testi). E su questo c’è poco da dire: il BEF dell’anno scorso non argomentava un bel niente; quello di quest’anno non so – non mi è ancora arrivato.”

E Marco:

“Giulio, consideriamo il titolo dell’antologia ‘Under 25’. Se vogliamo guardare alla lettera è il titolo più neutro e oggettivo possibile, significa semplicemente ‘Categoria sotto i venticinque anni di età’. Già, ma questo titolo si riferisce a quella particolare e problematica categoria che sono da sempre gli scrittori. Dunque Pier Vittorio Tondelli aveva selezionato un gruppo di testi di giovani di meno venticinque anni e aveva detto: ‘Signori miei, questi giovani sono già scrittori’. Se teniamo conto di questo, il titolo neutro e oggettivo ‘Under 25’ assume sfumature assai più provocatorie. Naturalmente anche allora si sarebbe potuto obiettare: ‘sì, ma secondo Pier Vittorio Tondelli’…”.

Mio commento:

“C’è una bella differenza tra chiamare un’antologia ‘Under 25’ e “***BEST*** EUROPEAN FICTION 2011′. Certo, potrei organizzare anch’io un concorso di bellezza qui a Fano e assegnare il titolo di MISS EURASIA 2011 alla commessa più decente che decidesse di iscriversi. Di qui al considerarla davvero la più bella dell’Eurasia ce ne correrebbe… Quanto a Hemon, credo d’aver capito il tipo. Bel furbacchione. Ciao”

Comunque siano andate le cose, e mie malignità a parte, auguro a Marco Candida la più veloce stileliberizzazione possibile (il suo vero sogno, benché non registrato nella tediosa lista del  ‘Diario dei sogni’), adesso che si è portato a casa questo sorprendente risultato*-°

36 Risposte a “AND THE WINNER IS… MARCO CANDIDA”
  1. unpoapolide Dice:
    13 dicembre 2010 alle 11:15   Arrivo qui da NI. E sì, ok, per Marco Candida è andata così. Ma quello che mi chiedo, in tutta questa storia (che a me piace), è quanti contributi di autori e autrici del nostro paese Hemon ha potuto leggere. Mi sembra ovvio che non abbia potuto leggere tutti i 50 mila titoli che ogni anno escono in Italia. E, seppure si può sindacare sul metodo delle segnalazioni, certo questo facilita il compito del curatore, anche perché in tutta Europa usciranno centinaia di migliaia di libri di narrativa ogni anno, immagino. Non si può fare una colpa a Candida e Harris di aver mandato il proprio contributo. Piuttosto, in quanti hanno mandato segnalazioni di autori e autrici italiani? E se non è stato fatto, per quale motivo? Eppure, come si vede, è un buon mezzo pubblicitario, mi sembra. Voglio dire, sarei molto più curioso di sapere tra quanti contributi italiani è stato scelto il brano di Candida. Com’è andata, si sa. Ma sarebbe potuta andare diversamente? Se non si gareggia, non si vince. Buon per Candida, quest’anno. E magari il prossimo anno Hemon si dovrà leggere migliaia di pezzi di italiani (sempre che non l’abbia fatto anche quest’anno). No?ndr
  2. XmarcocandidaX Dice:
    13 dicembre 2010 alle 11:27  Lucio, almeno metti un link al mio blog!
  3. XmarcocandidaX Dice:
    13 dicembre 2010 alle 11:43   Ricordo solo che l’anno scorso nel Best European Fiction 2010 e’ stato incluso un racconto di Giulio Mozzi. Cosa segnalata in un articolo su Repubblica dallo scrittore Giorgio Falco. Quindi dell’esistenza del Best European Fiction si era gia’ data notizia. Tutta questa attenzione alla parola “Best” poi a me sembra morbosa e il segno di un Paese (l’Italia) profondatamente ferito da tutte le storie di corruzione, furberie che lo hanno attraversato.
  4. utente anonimo Dice:
    13 dicembre 2010 alle 12:17   forse, banalmente, bisognerebbe ammettere che il testo di marco è risultato abbastanza buono da essere considerato degno di comparire in una simile antologia. certo, probabilmente non è il risultato di una selezione di un campione altamente significativo della produzione italiana del 2010, ma sicuramente è possibile per noi fare una valutazione comparativa con i pezzi degli altri scrittori compresi nell’antologia. bisognerebbe leggere l’antologia nel suo insieme. se risultasse che raccoglie dei buoni pezzi, magari (al netto delle polemiche) si potrà concludere che anche il pezzo di marco ne è all’altezza? il mondo delle lettere è segnato dalle intense attività promozionali degli autori riguardo ai propri  lavori. che ciò piaccia o meno (a me poco, per esempio), perché rimproverare solo a marco di credere in sé stesso e di provare a convincere del valore dei suoi romanzi chiunque gli capiti a tiro? o quello che brucia è che lui qualcuno l’ha convinto?
    (P.S. per sgombrare il campo da equivoci: non sono una fan incondizionata di marco. se dovessi esprimermi quantitativamente, è più quel che non mi piace dei suoi testi di quello che mi piace. però, in quello che ho letto, ho sempre trovato delle pagine molto molto belle. a ben vedere, in effetti, non sono stupita che possa ben figurare in una antologia perché è capace di grandi acuti. per la tenuta sulla lunga distanza, probabilmente, si farà. è un giudizio mio, personale e opinabile. è che non mi piacciono i discorsi che sembrano un po’ invidiosi. confondono le acque. )
  5. utente anonimo Dice:
    13 dicembre 2010 alle 12:18   scusate, non mi sono firmata. il #4 l’ho scritto io.
    paolab.
  6. utente anonimo Dice:
    13 dicembre 2010 alle 13:28   Che Giulio Mozzi comparisse nell’edizione 2010 non stupì nessuno, date le quotazioni del personaggio. I problemi nascono con CANDIDA, di cui si mormora che stia facendo carriera con l’uccello. (sto scherzando). ihihih
  7. Lioa Dice:
    13 dicembre 2010 alle 15:26   @ unpoapolide e paolab.  Be’, il fatto che la stessa traduttrice abbia piazzato due suoi autori per due anni di seguito suscita più di una perplessità, ma tutto può essere. L’unica cosa di cui sono sicuro è che “Il diario dei ogni” non mi pare ***nemmeno alla lontana*** il miglior testo dell’anno*-°
  8. Lioa Dice:
    13 dicembre 2010 alle 15:31   @marco. Eccoti accontentato:http://lamaniaperlalfabeto.splinder.com/
  9. utente anonimo Dice:
    14 dicembre 2010 alle 09:11   D’altra parte, Lucio, se Marco e io siamo le vette della narrativa italiana d’oggi, che ci possiamo fare? giulio
  10. Lioa Dice:
    14 dicembre 2010 alle 11:12   @ Giulio. Bene, portati il pupillo in Stile Libero e siate felici:-)
  11. utente anonimo Dice:
    14 dicembre 2010 alle 23:41   Lucio, Lucio: Marco Candida non è il mio “pupillo”. E’ un artista del quale ho stima, molta stima. Tutto qui.
    (E, naturalmente, mica decido io chi viene pubblicato in Stile libero. Io posso solo suggerire). giulio mozzi
  12. Lioa Dice:
    15 dicembre 2010 alle 06:31   @Giulio. In effetti intendevo dire “portati il pupo” in Stile Libero… tanto lo spiritus di Repetti e Cesari “tenerissima coquit”*-°
  13. ferrucci Dice:
    17 dicembre 2010 alle 11:43   Ciao, Lucio: sei sempre in forma, e questo mi fa molto piacere.Voglio solo osservare che, come l’inserimento di Mozzi l’anno precedente non servì minimamente a elevare la sua visibilità e il suo accreditamento, meno che mai l’inserimento del suo discepolo oggi in questa sconosciuta antologia potrà servire a dargli un briciolo di visibilità. Nessuno s’è accorto di nulla e il loro status resterà il medesimo. Ci vuole ben altro, per farsi strada. Un caro saluto.
  14. Lioa Dice:
    17 dicembre 2010 alle 13:21   Be’, se l’uscita sull’antologia dalkeyarchiviana a Marco porterà bene, buon per lui. Non è che desideri il suo male. Eccepivo – fondamentalmente – solo sull’apoditticità di quel “Best”*-° ferrucci Dice:
    17 dicembre 2010 alle 14:00   Infatti, l’apoditticità di quel “Best”, conferita a una pubblicazione del genere, ne rivela tutta l’inconsistenza *-°
  15. XmarcocandidaX Dice:
    18 dicembre 2010 alle 15:05  Ferrucci scrive: “Ci vuol ben altro, per farsi strada”. Questo pero’ e’ benaltrismo! Di fatto lei pone un giudizio di inutilita’ su ogni risultato raggiunto, come sulla legittimita’ della questione tutta intera, rimandandola sine die. Nell’arte si puo’ dire con tutto, si puo’ negare il valore di qualsiasi risultato ragionando con tesi benaltriste! Si puo’ dire: “Ha venduto un milione di copie, ma ci vuole ben altro per dimostrare di essere di valore!”. Chi puo’ negarlo, in fondo? “E’ stato insignito di quel premio, ma ci vuol ben altro per dimostrare di essere di valore!”. Di nuovo, chi puo’ davvero negarlo? Si puo’ fare con tutto nell’arte! Non discuta la parola ‘Best”. Ne discuta piuttosto i contenuti, senza negarli a priori.Faccio una riflessione. Quando diciamo che in Italia “non si riconoscono i meriti” bisogna chiarire che questo significa non soltanto che si fanno delle ingiustizie non riconoscendo i meriti quando sono evidenti a tutti (tutti li sanno ma tacciono), ma anche che non si riconoscono i meriti semplicemente perche’ non si vede nessun merito. Il problema in questo caso e’ che si puo’ rischiare di essere ciechi e presuntuosi. Ad esempio si puo’ pensare, come fa Ferrucci, che solo chi segue un “certo percorso” (che pero’ Ferrucci non spiega, limitandosi a liquidare tutto con un: “Ci vuole ben altro”) puo’ essere a ragione ritenuto degno di lode. Ma cosi’ si rischia per l’appunto di essere ciechi e presuntuosi. I modi per dimostrare valore possono essere moltissimi e le variabili moltissime e nell’arte, forse, va fatta l’operazione opposta a quella di squalificare ogni risultato: di ogni risultato va tenuto conto. E’ cosi’ che il Corriere della Sera ha ragionato. Si sono detti: “Se un autore cosi’ piccolo e’ finito in un’antologia cosi’ grande, con autori cosi’ importanti, curata da un autore cosi’ importante, con la prefazione di un autore cosi’ importante, evidentemente del merito c’e'”. Si tenga presente che il giornalista che ha scritto l’articolo sul Corrirere della Sera si e’ fatto mandare il Best European Fiction in redazione e l’articolo non e’ stato scritto e pubblicato dall’oggi al domani. Ripeto ancora una volta che negli Stati Uniti esiste una forte tradizione di antologie che si intitolano “Best”. Sono curate dai migliori e ci finiscono i migliori. Non e’ detto che questi “migliori” siano conosciutissimi, a volte possono apparire in queste antologie in veste di giovani promesse, semplicemente perche’ il curatore li stima, grazie a segnalazioni, se ne e’ sentito parlare molto bene, qualche autore ha speso parole importanti su di loro. Credo che sia una differenza culturale e basta. In Italia alcuni (pochissimi per la verita’ e sempre i soliti; quelli che ce l’hanno con me anche se pubblico gli auguri di buon compleanno a mia mamma sul giornale della parrocchia) trovano la parola ‘Best” pretenziosa. Negli Stati Uniti non ci badano. Poi i testi inclusi nell’antologia quest’anno sono veramente molto belli.  
  16. ferrucci Dice:
    18 dicembre 2010 alle 18:06   Ribadisco: ci vuole ben altro, per farsi strada.
    Farsi strada non significa necessariamente esser degno di lode: come vediamo da qualche tempo, oggi in Italia si fa strada soprattutto a colpi di tette e di culi. Spostando il concetto in campo editoriale, un “certo percorso”  potrebbe essere sedurre la direttrice editoriale di un importante editore. Nel caso specifico, dunque, dopo aver mirato a una rivista straniera non resta che alzare il tiro.
  17. XmarcocandidaX Dice:
    18 dicembre 2010 alle 20:26   Ferrucci, in nome di Dio, la smetta! Non e’ una direttrice di rivista straniera! E’ solo una donna che insegna e traduce. Sono sicuramente stato fortunato a incontrarla, ma il risultato che abbiamo raggiunto insieme e’ stato eccezionale a prescindere. NON SONO AL CAPONE! Non ho nessun potere qui negli Stati Uniti d’America! E non sono con la figlia o la nipote di Al Capone! Le e’ chiaro? Le e’ chiaro che nella vita esistono concetti come grinta, fascino, capacita’, intuizione? Le e’ chiaro che io non navigo esattamente nell’oro?  Le e’ chiaro che senza l’aiuto degli altri, senza una buona parola di qualcuno non si va da nessuna parte? Lo vuole ammettere a se stesso o vuole continuare a fare il fregnacciaro per il resto dei suoi giorni? Tiri fuori ‘sti coglioni e vada per il mondo e lo cambi invece di accusare prima questo o poi quello di quanto sbagliano! Sono i vigliacchi che parlano come lei!
  18. ferrucci Dice:
    18 dicembre 2010 alle 20:59   “Le e’ chiaro che nella vita esistono concetti come grinta, fascino, capacita’, intuizione?”Certo che mi è chiaro:  io, modestamente, li incarno tutti e quattro. E so che l’aiuto degli altri e la buona parola di qualcuno servono, altroché se lo so.
    E allora?
  19. utente anonimo Dice:
    19 dicembre 2010 alle 01:41   Okay, there’s only so much of this a girl can take. Would you people please leave Marco alone?He published something in an anthology. It was a good thing. Not just for Marco, but for me, a fairly unknown translator who is trying to become known in the US publishing world. I chose to translate Giulio Mozzi’s work and Marco Candida’s work because as far as I’m concerned their writing is fantastic: stylistically challenging for a tanslator, imagistic, thematically complex, humane. Lots of fun to translate. I’ve been fortunate in getting their work published here in the States: the level of journals–as well as Dalkey Archive’s anthology–where they’ve been published suggests that these are two exceptional writers; all of the places where I’ve published my translations are competitive and accept unsolicited work only rarely (an example: Kenyon Review accepts less than .5 % of the fiction submitted each year). I have no connections; I wish I did. I know no one at Dalkey. Any connection I have to Dalkey at this point is through the merit of the authors I’ve translated and through the merit of my translations themselves. I’ve worked my butt off to do a good job with these two authors’ work; and of course they’ve worked extremely hard to be such terrific writers.Ignore “best” in the title of Dalkey’s anthology. It’s a marketing ploy to get more books sold: Houghton Mifflin has a series titled “Best American Short Stories,” so Dalkey, a small, nonprofit, experimental literary press, based their title on this series to promote sales. The stories in the anthology are terrific and both issues are receiving fantastic reviews. The work for the anthologies was submitted by publishing houses or translators; Aleksandar Hemon chose the works he peferred, Giulio’s and Marco’s, luckily for us, were among his choices. Now, stop complaining and criticizing. And stop insulting Marco and me. And mind your own business about our relationship.Elizabeth Harris
  20. Lioa Dice:
    19 dicembre 2010 alle 08:16   @Elizabeth. Grazie per essere scesa in campo al fianco del delicato fidanzato, ma non serviva. Hai solo confermato parola per parola quello che sostengo io: il superlativo “best” è solo “a marketing ploy (1)  to get more books sold”, perché l’antologia – degna finché vuoi – non è altro che l’ennesima raccolta di testi ritenuti interessanti dal curatore di turno. Aleksandar Hemon, intendo dire, sarà anche il Barberi-Squarotti:-) d’America, ma non ha affatto vagliato il meglio della produzione europea esistente nei vari mercati nazionali, bensì solo il meglio dei testi a lui “submitted”, non importa se nella traduzione di una soccorrevole morosa o di questo o quel traduttore ingaggiato per vile danaro. Quanto a voi due, che posso dire se non “auguri e figli maschi!”? (anzi “del sesso che preferite”, non vorrei essere scambiato per maschilista). Un abbraccio.(1) ploy = an action calculated to frustrate an opponent or gain an advantage indirectly or deviously; a maneuver.
  21. utente anonimo Dice:
    19 dicembre 2010 alle 10:30   Lucio, ho pubblicato un breve romanzo sperimentale, che risulti gradevole alla lettura sia ai bambini che agli adulti. Tu che sei un’autorità nel campo della narrativa per l’infanzia, potresti dargli un’occhiata? Magari qualche raccolta di Best potrebbe prenderlo in considerazione. Grazie per la cortese attenzione.
    Felice Muolo Quattro stracci, una rupia e una bambola di cartapesta. Editore Fermenti.
  22. utente anonimo Dice:
    19 dicembre 2010 alle 10:42   Ho dimenticato il link: http://www.felicemuolo.it
  23. Lioa Dice:
    19 dicembre 2010 alle 10:46   Macché autorità d’egitto. C’è chi assicura che io sia solo uno spregevole troll. Comunque dopo le feste provo a cercarlo in libreria*-°
  24. utente anonimo Dice:
    19 dicembre 2010 alle 11:48   Se mi dai l’indirizzo, lo spedisco. Grazie, comunque.
    Felice Muolo
  25. XmarcocandidaX Dice:
    19 dicembre 2010 alle 12:03   Elizabeth e’ finita in questa discussione perche’ ho lasciato nei commenti del mio facebook il link a questo pezzo. Ci ha cliccato, ha letto i commenti, e’ rimasta orripilata ed e’ intervenuta. Altrimenti questo blog Elizabeth non lo avrebbe visitato in mille anni. Ripeto che l’antologia e’ curata da Aleksandar Hemon con la prefazione di Colum Maccan. E’ stampata in venticinquemila copie, distribuita negli Stati Uniti e in Gran Bretagna, nelle librerie e nelle biblioteche. Si sta parlando addirittura di tradurla. Ha ricevuto recensioni positivissime dal New Tork Times, dal Los Angeles Time, dal Guardian, dal Pubblisher Weekly, dal Time… e in Italia dal Corriere della Sera. Tra l’altro stiamo parlando di un’antologia che non hai nemmeno letto – anzi che non avete nemmeno letto, tutti coloro, dico, che hanno preso parte a questa discussione. Non e’ vero, come concludi tu, Angelini, che Hemon ha preso in considerazione solo il materiale pervenuto. Ti avevo gia’ spiegato, nei cinquanta commenti su Vibrisse, come sono andate le cose l’anno scorso. Sono stati valutati tra gli altri autori come Tiziano Scarpa e Diego Marani. Solo questi due nomi bastano per dare un’idea che il lavoro e’ serio. Tra gli autori inclusi quest’anno ci sono Ingo Schulze e Hilary Mantel – e altri autori importanti. Essendo stati inclusi nell’antologia autori realmente importanti, e testi veramente belli, ed essendo il nome del curatore e quello del prefatore molto importanti, diventa piu’ credibile che questa antologia possa esibire sulla copertina la parola “Best”.
  26. Lioa Dice:
    19 dicembre 2010 alle 13:21  @Marco. Dici: “Altrimenti questo blog Elizabeth non lo avrebbe visitato in mille anni”. Certo. Un po’ quello che sarebbe accaduto ad Hemon nei confronti del tuo testo, non glielo avesse spiaccicato sotto il naso lei. Tutto è dovuto al Caso, come vedi.Ma non ripeterci per l’ennesima volta che sei diventato una celebrità mondiale e che nei migliori salotti letterari del pianeta non si parla che di te. Abbiamo abbastanza capito che… le cose non stanno esattamente così :-) , altrimenti di dimeneresti di meno.
  27. Lioa Dice:
    19 dicembre 2010 alle 13:23   @ Felice. Via [omissis] 30126 Venezia.
  28. XmarcocandidaX Dice:
    19 dicembre 2010 alle 14:55   Angelini, ti ricordo che questa e’ una discussione pubblica e che le cose che dici restano. Percio’ io mi vedo costretto a intervenire per fare precisazioni le piu’ oggettive possibili. Dopodiche’ ogni interpretazione e’ possibile.
  29. Lioa Dice:
    19 dicembre 2010 alle 15:21  Oddio, quando mi chiama Angelini è incazzato nero*-°
  30. ferrucci Dice:
    19 dicembre 2010 alle 19:31   “fare precisazioni le piu’ oggettive possibili”:Dio, cosa mi tocca sentire.
  31. XmarcocandidaX Dice:
    20 dicembre 2010 alle 13:17   Ferrucci, se se ne va in giro a fare commenti come quelli che ha lasciato qui a me, allora capisco bene il motivo per il quale ha disabilitato i commenti sul suo blog! Le cose che dico sono verificabili. Verificabili, ha capito? Quello che dice lei e Angelini e’ da querela istantanea.
  32. XmarcocandidaX Dice:
    20 dicembre 2010 alle 13:41   Pero’ almeno per Angelini c’e’ l’attenuante che sta facendo satira. E’ lei che mi pare stia prendendo un po’ troppo seriamente il tutto! Non che le cose che dice le consideri realmente offensive, sia chiaro. Sto parlando in via del tutto ipotetica.
  33. ferrucci Dice:
    20 dicembre 2010 alle 15:32   Anch’io sto parlando in via del tutto ipotetica.
    E allora?
  34. fabio painnet blade Dice:
    13 dicembre 2011 alle 20:02   Mi intrometto nella controversiaq fra Marco Candida e Lucio Angelini senza alcuna velleità o la necessaria autorità per esprimere mediazioni, ma solo con l’intento di inquadrare meglio i margini di un problema che valuto di grande attualità letteraria. Non sono nemmeno un assiduo frequentatore della rete che provo a seguire nelle sue controverse dinamiche solo da pochi mesi. Forse un anno, non di più. Mi esprimo pertanto coi mezzi di cui dispongo, come semplice osservatore e col solo proposito di apprendere, magari, qualcosa di nuovo. La diatriba in atto mi ha trasmesso per la verità una nota di sconforto e perplessità, forse per la malcelata imprudenza dei giovani bloggers (a loro volta autori) impegnati in questo confronto serrato, forse per la sensazione che senza la loro ingenuità una digressione del genere non avrebbe avuto modo di nascere.
    Ho provato quindi ad appropriarmi di ulteriori elementi risalendo la china fino al sito dell’Angelini. Noto che le prime incomprensioni fra quest’ultimo e lo scrittore in erba Marco Candida risalgono ad almeno un anno fa. Non ho tardato quindi a rendermi conto che l’appellativo di ingenuo, se non direttamente di idiota, calzi meglio al sottoscritto che ai relativi autori. La mia principale preoccupazione è attualmente quella di non sversare nel dibattito ulteriore brodaglia polemica, conscio del rischio di poter ingarbugliare ulteriormente la matassa. Le mie affermazioni perciò non vorrebbero attenersi a un calco provocatorio, tutt’altro. Devo dire però che sono rimasto alquanto stupito dalla posizione ‘sulla difensiva’ di Marco Candida, anche se a questo punto non posso astenermi dal domandargli (senza strascichi polemici, lo ripeto), se davvero crede che i ‘sospetti’ agitati dall’ ANgelini facciano parte solo della sua personale acredine, anzichè di una comune riflessione sullo stato attuale dell’imprenditoria di settore, o meglio, sui meccanismi che determinano i flussi di mercato e quindi sullo spinoso problema della valutazione di qualità di un opera. Aldilà di una asciutta e necessaria interrogazione su tali logiche promozionali, sono ora convinto, non possano sussistere margini di confronto. Angelini insomma, in uno stile sopportabilissimo, agita dubbi assai vivi nel nostro immaginario ( parlo come lettore), palesa forse ruggini accantonate o incertezze che gli si può imputare, casomai di compendiare in maniera pedissequa e sufficiente, ma non infondata. La mia perplessità sull’utilità di un siffatto scambio d’opinioni è inoltre avvallata da una sintetica risposta di Mozzi sul tema che avrebbe dovuto chiudere la questione da tempo e che, in termini forse più contorti, ho provato a riproporre nel mio precedente post. Ma allora non avevo letto l’assunto di Mozzi che suona pressappoco così: “Un volume che s’intitola ‘Best European Fiction’ accampa sicuramente una pretesa; e dovrebbe argomentare tale pretesa (in linea di massima: spiegando come sono stati selezionati i testi). E su questo c’è poco da dire: il BEF dell’anno scorso non argomentava un bel niente…”
    Quindi Mozzi aveva già liquidato il problema poiché ‘argomentare i criteri di selezione’ significa, in sintesi, fornire utili parametri di critica letteraria ‘condivisi’. Senza questi, credo che ogni ulteriore polemica non può che apparire superflua. Detto così parrebbe ovvio, tuttavia la questione centrale continua ad essere quella dell’ accettazione e la ‘condivisibilità’ di suddetti criteri. Personalmente sono convinto che persino le strategie della cosiddetta GRANDE DISTRIBUZIONE palesino analoghe incongruenze. Ognuno insomma applica paletti secondo una propria utilità, con vincoli spesso viziati da iniquità ideologiche (ma questo è un’altro scottante paragrafo della questione). L’autorità di tali giudizi editoriali si regge pertanto su un assurdo dispotismo fondato sul controllo e l’appropriazione degli spazi mediatici(sulla quantità, sulla forza). Per questo motivo in precedenza ho parlato di ‘legge della giungla’ , e di un humus ideale in cui le Grosse imprese amano sguazzare e decidere le sorti degli autori. In questo modo le promozioni caldeggiate da questi organi seguiteranno ad accaparrarsi le più ambite porzioni del mercato, con buona pace di coloro che non si allineano ai modelli, come ben sa il buon Valter Binaghi. Parlare a tal proposito di ‘circuiti specifici’ non credo sia una bestemmia e non credo nemmeno equilibrata la scontrosa suscettibilità di Marco Candida. Concepire l’esistenza di questi circuiti non deve essere ritenuto offensivo ma solo un buon esercizio di raziocinio. Ciò non implica certo un attestato di disistima verso quegli autori che, in buona fede, entro determinati ‘circuiti’ possono anche capitarci, ma da parte loro è bene – a mio avviso – tentare nuove verifiche e guadagnarsi la fama sulla base del talento e non dei riconoscimenti accademici. Sul sito di Angelini, stavolta in data recente, rilevo un riferimento decisivo, utile forse a far chiarezza sulla deriva presa dal discorso. Alludo alla selezione offerta dal quotidiano ‘Il sole 24 ore’. Anche qui il mio scetticismo trova appigli favorevoli, poichè, nemmeno l’attendibilità – supposta a priori – di questa testata sembra volersi attenere alle solide ‘argomentazioni’ di cui diceva MOzzi, ovvero all’uso o allo studio del problema dei parametri. Conoscendo due dei tre testi citati, posso affermare senza timore di smentita, che un autore (Francesco Abate) e una casa editrice (IL MAESTRALE di Nuoro), non possono considerarsi distanti (ideologicamente e geograficamente) dalla premiata ditta di MIchela Murgia, un dato, questo, che sobilla rapporti di fratellanza o compiacenze reciproche più o meno conosciute ( come tempo addietro attestava la fertile intuizione di Valter Binaghi, oggi costretto ad un sofferto, ma meditato karakiri in rete) ma proprio per questo poco attendibili . Per attenermi a vincoli di political correct, posso aggiungere, per esperienza diretta, che la casa editrice in questione, fornisce costantemente, scrupolose analisi ai manoscritti presi in visione ed inoltre che lo stesso francesco Abate abbia composto un testo di sensibile e rilevante spessore, ben meritevole di lettura (a mio parere). Ciò va di sicuro a loro merito, tuttavia non deve bastare a diradare le fumose pretese di una casta di Editori che preferiscono operare su base selettiva arbitraria. Perchè il problema di fondo – per noi fruitori almeno – non si discosta di un millimetro da quello di poter accedere ad una cultura riconosciuta tale da un apparato di valutazione sostanzialmente condiviso entro più ampi ‘circuiti’, se Candida mi passa il termine. Saluti a tutti. fpb

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 17 dicembre 2011 

FATTI SOTTO ANTI-TROLL!!!

 

 
 
In sei anni di blog sono stato invitato più volte a mettere in moderazione i commenti non in linea con le mie convinzioni, per non dimostrare di avere lo scroto sceso. Le mie fotografie sono state ritoccate a colpi di Photoshop facendo sì che la mia testa troneggiasse sopra il corpo di un guerrigliero del NIE, di una giornalista boccoluta del quotidiano La Repubblica, di Gianni Biondillo con megavagina di plastica tra le braccia. Sono stato definito vecchio, debosciato, incapace, sciatto, demagogo, pappamolla, post-moderno. E, soprattutto, fiancheggiatore del libero pensiero. È la dura legge dell’anti-troll, cui nessuno sfugge, e noi blogger ancora meno. Chi interviene su un blog per dissentire rispetto al pensiero del titolare (questo fa un troll, almeno nella particolare accezione di certe blogstar accanite censuratrici) nutre la giusta convinzione che un blogger democratico e libertario non potrà respingerlo, ma dovrà tollerare pazientemente le sue idee, di qualunque segno esse siano. E in effetti io le tollero, anzi no, le accolgo di buon grado, mi rifiuto di bannare chicchessia, nella certezza di non avere alcuna supremazia di pensiero da salvaguardare. Ed è qui che l’anti-troll sbotta, e parte a caccia dei simili, invocando repressione e censura. L’unione fa la forza, e moltiplica l’intolleranza: “Angelini, fatti furbo, blocca l’IP di questo! Angelini, sii duro, blocca l’IP di quello!”. Ma io niente, impassibile come un Buddha di Banyiam sotto i colpi dei talebani. Prevenzione? Impossibile: perché l’anti-troll non è la ragazzina smanettona della vulgata: fra i miei, posso annoverare stalinisti bolognesi in tuta mimetica, esponenti delle terribili Brigate Ždanov, persino la nota prefica Girolamo. La difesa? Il consiglio migliore è quello della nonna: don’t feed the anti-troll, non nutrirlo, non rispondere, rendilo trasparente. L’anti-troll chiede attenzione, con maggiore o minore intensità a seconda della patologia (perché in moltissimi casi di patologia si tratta, a volte “di gruppo”, come nel caso di certi collettivi interessati unicamente a vendere le proprie opere). Ignorare, ragazzi. E resistere… Viva la libertà. Abbasso la censura. Fanculo agli/alle intolleranti.
 
[CALCO sul sg articolo di Loredana Lipperini:
In sette anni di blog sono stata invitata a spararmi un colpo in testa e ad andare in palestra perché ho il culo sceso. Le mie fotografie sono state ritoccate a colpi di Photoshop facendo sì che la mia testa troneggiasse sopra il corpo di una pornopoliziotta, di una madre badessa, di una scrittrice nuda, di una punk con elemento fallico tra le braccia. Sono stata definita vecchia, bigotta, incapace, sciatta, mafiosa, isterica. E, soprattutto, censuratrice del libero pensiero. È la dura legge dei troll, cui nessuno sfugge, e le blogger ancora meno: perché chi interviene su un blog per interrompere la conversazione allo scopo di portare il discorso su se stesso e su quel che pensa e scrive (questo fa un troll) nutre la curiosa convinzione che una donna non potrà respingerlo, ma dovrà tollerarne pazientemente le intemperanze. In effetti, per un po’ tollero: ma al decimo richiamo pubblico e alla quarta mail privata, metto in moderazione per salvaguardia del dibattito che si sta svolgendo. Ed è qui che il troll sbotta, e parte in caccia dei simili sottoposti allo stesso trattamento (su altri blog o su Facebook): l’unione fa la forza, e moltiplica l’insulto. Prevenzione? Impossibile: perché il troll non è il ragazzino smanettone della vulgata: fra i miei, posso annoverare scrittori e uffici stampa di trasmissioni tv. La difesa? Il consiglio migliore è quello della nonna: don’t feed the troll, non nutrirlo, non rispondere, rendilo trasparente. A dire il vero, c’è stato un giorno in cui stavo per denunciarne due fra i più affezionati, dopo che un’amica giurista, esaminando con orrore la documentazione, mi aveva consigliato di farlo. Sono arrivata sulla porta della stazione di polizia. Sono tornata indietro. I troll chiedono attenzione, con maggiore o minore intensità a seconda della patologia (perché in moltissimi casi di patologia si tratta, e non di complotto organizzato). Denunciarli sarebbe dargliene troppa. Ignorare, ragazze. E resistere. (Loredana Lipperini scrive il blog Lipperatura)
 

 61 Risposte a “FATTI SOTTO ANTI-TROLL!!!”

  1. fabio painnet blade Dice:
    18 dicembre 2011 alle 11:01   Ti seguo lucio. Io son quello che son stato messo alla porta con te (voi) e ancora mi sto domandando perchè. Mi si dice che ‘con gli ossessivi’ non si discute che sa molto di fascismo bushita con la parola ‘ossessivo’ al posto di ‘terrorista’ . ma intanto vengo trattato alla stessa maniera a prescindere che facessi parte o meno della categoria ‘tanto odiata’ , a prescindere dalla mia estraneità in un habitat che sto cercando di valutare obiettivamente solo da qualche mese. Difficile però trattenere il ribrezzo di fronte a condotte di questo tipo. Mi si dirà che ho avuto la colpa di trovarmi in mezzo al fuoco incrociato fra mozzi e angelini, con marco candida nel ruolo di esca, ma ciò non dissolve i miei dubbi
    Bhè, se questi sono i metodi di ‘giudizio’ dei sani di mente son ben felice di esser discriminato alla stregua di un ossessivo, di un troll o di un terrorista. solidarizzo fpb
  2. Lucio Angelini Dice:
    18 dicembre 2011 alle 11:51   Caro Fabio, un conto sono i troll veri e propri (provocatori/disturbatori alla cazzo di cane e perditempo), un conto coloro che vengono censurati come ‘troll’ solo perché non si inchinano al Sublime Pensiero del titolare di un blog. C’è una bella differenza. Purtroppo la censuratrice accanita a cui in questo post ho ***rifatto il verso*** perde ogni aplomb ogni volta che non si è in linea con il suo pensiero o con quello dei suoi adoratori di prima fascia, salvo poi dichiarare pubblicamente (ma SENZA ammettere REPLICHE) di essere perseguitata dai troll. In realtà la REGINA dei troll è proprio lei:http://lapeperini.wordpress.com/2011/11/14/loredana-lipperini-regina-dei-troll/
  3. paolo f Dice:
    18 dicembre 2011 alle 11:56  Alcune osservazioni.
    – Oggi il termine blogstar denota qualcosa che non esiste più, perché le vere blogstar avevano in’identità quando i blog erano in auge, mentre ora che i blog sono decaduti – in termini di lettori e di appeal – si sono ridotte a superstiti in cerca dell’identità perduta.
    – Nell’Italietta che conosciamo, in specie quella “delle lettere”, fatalmente i dibattiti in rete si liquefanno in una fuffa sbrodolante che incide zero sulla coscienza civico-culturale, o su qualsiasi altro aspetto che possa interessarci.
    – A questo non sfugge nessuno degli attori a cui ti riferisci: finiscono tutti nella melma e diventano parte dell’ecosistema. Gli stessi commentari sono luoghi infrequentabili: basti l’esempio di nazione indiana. La nazione Indiana delle origini era una vera iniziativa con un progetto e un’identità; ma da quando i veri scrittori e intellettuali se ne sono andati, mettere un piede là dentro significa sporcarselo come quando si cammina in città senza guardare per terra.
    – Altro discorso vale per un sito come carmilla: lì si mandano i proclami a senso unico, senza contraddittorio, nel solco della tradizione vetero-comunista; che tutto sommato mi sembra una scelta più autentica e coerente.
  4. Lucio Angelini Dice:
    18 dicembre 2011 alle 12:19   Be’, le blogstar saranno anche decadute, ma alcune di loro sono ancora convinte di essere nel pieno fulgore come Gloria Swanson in Sunset Boulevard:-)
  5. paolo f Dice:
    18 dicembre 2011 alle 18:23   A proposito di Sunset Boulevard: l’ho rivisto recentemente, dopo almeno un trentennio, e son rimasto impressionato dalla grandezza del capolavoro. Un film inquietante e attualissimo, a cominciare dall’incipit con le esequie della scimmia defunta (che già sembra preconizzare la fine di tutto): pare di leggere – appunto – certe situazioni di oggi.
  6. fabio painnet blade Dice:
    19 dicembre 2011 alle 08:11   ok, ok. Grazie mille per le delucidazioni. Però vediamo di ricapitolare, perchè ciò che si scorge sotto il sofà non è la solita ciabatta impolverata, ma che il ceruleo piede di un cadavere. ..E dal puzzo parrebbe pure in av st di decomposiz.
    Riprendiamo però dal fattaccio: In una tale osteria due avventori, vengono messi alla porta per disturbo alla quiete pubblica. Uno, è un noto alcoolista dedito a fa caciara nelle bettole dei dintorni, l’altro è un povero cristo di passaggio che chiedeva al vecchio avvinazzato poche informazioni, tanto per capire meglio che aria tirasse in quelle contrade o di quale annata fosse il rosato che gli era stato portato al bancone. ..
    …Aveva già notato la scialacquatura di piatti che il locandiere spacciava per fine borgogna, però, data la fama della locanda, pensò ad una distrazione dell’esercente e provò a domandarne il motivo, così come conviene a qualunque buontempone incapace di cogliere al volo le intenzioni, non sempre nobili, di chi gli sta davanti e vuol vendergli qualcosa. Il vecchio beone, che la sapeva lunga, gli sibilò qualche dritta sulla consuetudine di quel luogo di faine e malfattori, ma per quanto era fesso non riuscì a convincerlo ed allora lo mandò direttamente dal titolare con la richiesta di farsi mostrare il rovere che avrebbe dovuto contenere la sopraffina bevanda di cui si faceva gran consumo in tutta l’osteria. A quel punto, richiamato dal baccano del vecchio, di botto l’ambiente si ammutolì e tutti si voltarono nella direzione del forestiero e del locandiere….
    Il resto è noto, ma la domanda è la seguente:
    Come si comportarono le persone che assistettero al diverbio? cosa dissero al locandiere?
    Rimasero tutti in silenzio a farsi i fatti loro o pretesero ragionevoli spiegazioni per i sospetti mossi dai due ? Gli chiesero a loro volta di aver accesso alle rinomate cantine? …
  7. iannozzi Giuseppe Dice:
    19 dicembre 2011 alle 08:38   Che dire? Ci sono parecchi lit-blog, o sedicenti tali, che per la censura orwelliana che operano oramai non considero neanche più. Un paio li hai citati già nel tuo bel post, Lucio. Capita che passi a vedere che hanno propagandato una volta a settimana, se ne ho voglia, ma neanche. Di tantissime cose me ne infischio altamente oramai. Non è possibile pensare di censurare chi adopera il Libero Pensiero ed io da sempre non mi sono mai schierato, perché schierarsi porta al fanatismo quando non a un fondamentalismo pseudo-culturale. Essere liberi significa poter dire che un libro dei Nessuno è una schifezza, e non per questo venire minacciato con mezzi a dir poco terrerostici… e questo, casomai ce ne fosse bisogno, posso provarlo coi fatti, tutti documentati e archiviati. Nel momento in cui ho detto che alcuni lavori dei Nessuno sono schifezze non pubblicabili, l’attacco è subito arrivato, da certi Nessuno che s’illudevano di poter essere anonimi. Si sono inventati l’impossibile per appiccicarmi addosso l’etichetta di troll, quando i troll erano loro che agivano in maniera più che mai disonesta con attacchi personali e minacce. Si spacciavano per un certo Melloni, minacciando di farmi chiudere il blog, etc. etc. Ne hanno fatte di cotte e di crude credendosi onnipotenti, e tutto questo perché il Libero Pensiero a loro non piace, non quando applicato su di loro. Queste cose ovviamente, un tempo, ho cercato di portarle sul blog della Donzella che si crede una blogstar: il risultato è stato che in meno di un minuto il mio commento è stato censurato, perché i Nessuno sono per lei ‘intoccabili e di piu’”. Non che Mozzi sia migliore, tutt’altro: anche lui applica la più bieca censura. Su ogni blog c’è dello spam, ma una cosa è lo spam, tutt’altra cosa è chi interviene firmandosi e non con un nickname per dire la propria opinione. A Mozzi le opinioni che non sono in linea con il suo pensiero non piacciono, ed allora applica la censura: anche lui si crede chissà chi. E anche lui, nonostante più volte gli abbia fatto presente gentilmente, di togliere commenti che riportavano in toto miei brani o poesie postati nel box commenti del suo blog, lui no, non ha agito: ha lasciato che troll anonimi, forse suoi amici, prendessero senza autorizzazione dal mio blog e mettessero sul blog di Mozzi, affinché poi i troll potessero divertirsi. Complimenti a Mozzi, personaggio davvero squisito e parzialissimo. Comunque non mi va di farla tanto lunga… certi personaggi meglio non cagarli manco di striscio: non meritano attenzione, perché se gliene dai fai il loro sporco gioco e aumenti la loro visibilità, ed è proprio questo che vogliono.
  8. Lucio Angelini Dice:
    19 dicembre 2011 alle 08:49   @fabio. scusa, io sarei il noto alcolista? a’n vedi questo:-)
  9. Lucio Angelini Dice:
    19 dicembre 2011 alle 08:51  @Kinglear. “togliere commenti che riportavano in toto miei brani o poesie postati nel box commenti del suo blog, lui no, non ha agito”. nemmeno io tolgo commenti su richiesta, però. se mai accetto i controcommenti.
  10. iannozzi Giuseppe Dice:
    19 dicembre 2011 alle 09:13  D’accordo. Ma quelli non erano commenti. I troll prendevano a piene mani dal mio blog e postavano i miei scritti, senza la mia autorizzazione, sul blog di Mozzi. E poi giocavano a prendermi per il sedere, senza che io potessi replicare. A casa mia una cosa del genere si chiama rubare e Mozzi è stato correo di questi troll, perché li ha foraggiati con il suo silenzio, lasciando che i troll postassero in luogo di commento i miei lavori e cosa ancor peggiore che mi prendessero per i fondelli. E lui che ha fatto? E’ stato zitto. Si sarà divertito immagino, almeno lo spero per lui che un pochettino si sia divertito, altrimenti non so: di certo non ha fatto una bella figura. Non è stato un signore. Si è messo sullo stesso piano dei troll e peggio ancora. Non ci vuole molto a capire chi erano questi troll, che Mozzi non ha pensato di rintuzzare nemmeno con uno sbadiglio. Ti lascio indovinare.
  11. Lucio Angelini Dice:
    19 dicembre 2011 alle 09:16  @giuseppe. dissento in toto. libertà di citazione. diritto al controcommento. altrimenti dovremmo cantare con Mia Martini: “Sai, la gente è pazza, prima ride e poi s’incazza… “. non vedo perché giulio avrebbe dovuto prendere le tue difese. ti difendi abbastanza da solo, mi pare. no?
  12. iannozzi Giuseppe Dice:
    19 dicembre 2011 alle 10:46  Problema è che non ho potuto difendermi, né io avevo autorizzato i troll a postare i miei lavori su quel blog, dove, detto papale papale, non ci tengo proprio ad apparire, in nessuna veste. Tu pensa se io venissi sul tuo blog, rubassi un tuo post e lo ribaltassi da me invitando poi i commentatori a prenderti per i fondelli o comunque lasciandoli liberi di screditarti e insultarti, senza lasciare a te la possibilità di ribattere e senza attribuire la paternità dello scritto da me rubato a te. Rispondimi solo se ti piacerebbe: sì o no?
  13. iannozzi Giuseppe Dice:
    19 dicembre 2011 alle 10:47  I troll sai chi erano? Li conosci molto molto bene, ed è stato questo il motivo precipuo per cui Mozzi li ha lasciati liberi di fare e dire adoperandosi contro di me.
  14. Lucio Angelini Dice:
    19 dicembre 2011 alle 10:50  @giuseppe. riconosco loro lo stesso diritto di commentare che ESIGO per me.
  15. iannozzi Giuseppe Dice:
    19 dicembre 2011 alle 11:25  In pratica sei d’accordo che se io – non lo farò né con te né con altri, va da sé – ti rubassi un post, o più post, senza attribuirti la paternità dei medesimi, e li postassi da me senza lasciarti la possibilità di ribattere ma lasciando liberi di commentare i miei amici, i tuoi nemici, nonché i troll per dire peste e corna di te, tu non batteresti ciglio.
  16. fabio painnet blade Dice:
    19 dicembre 2011 alle 12:45   L’ubriacone è i n fondo lo stereotipo romantico dello sboccacciato grillo di collodiana memoria, il fesso invece è sempre fesso. Questo lo devi riconoscere dear lucio. tuttavia anche quel fesso si maschera dietro la folla di fessi come lui ed è a questi che mi sto in realtà rivolgendo, non tanto alle primedonne. Se tu mi reggi la parte vorrei però concludere la mia storiella e dunque rispondi alla domanda, se ti viene qualcosa in mente, perché non è con la retorica che vorrei firmare il mio intervento.
    Al Iannozzi consiglierei invece di non prendersela tanto per gli ssfottò, molte volte giocano contro chi li fa e poi possono anche aiutare a non prendersi troppo sul serio che, dato l’argomento trattato, non mi sembra poi un’esortazione da buttar via.
    Comunque, tu come cliente di quella tal locanda, nel dubbio di esser truffato, come ti comporteresti?
    Riguardo agli pseudonimi, personalmente ne faccio un uso propagandistico perchè tengo molto a quell’autore e a quell’opera magnifica della quale mi piacerebbe tutti potessero ricordarsi, specie in tempi come questi. Il mio nome invece non val una cicca e per questo che non so che farci, nè ho difficoltà a rivelarlo. mi chimo atzori , tanto piacere, volendo si può far ironia anche su quello. Spalle larghe Iannozzi, vedrai che qualcuno si fa più male di te!!!!
  17. Lucio Angelini Dice:
    19 dicembre 2011 alle 14:22   @Giuseppe. Il furto di post altrui e/o l’attribuzione degli stessi ad altri che l’autore è un reato perseguibile secondo la legge ordinaria sul plagio, credo. bisogna vedere caso per caso se vale la pena impiantarci sopra un caso giudiziario, tipo l’autrice che sta facendo causa a Tiziano Scarpa per ‘Stabat Mater’.@fabio. avrai capito che sono solito protestare a oltranza quando subisco un abuso, non tanto perché tenga in modo particolare alla benevolenza di questo o quel personaggio (ho più volte letto la balla dello “sfan” che in realtà sarebbe un fan, tipo l’odio come altra faccia dell’amore), ma perché non sopporto ipocrisia e trombonismo.*-°
  18. Iannozzi Giuseppe Dice:
    19 dicembre 2011 alle 18:18   Chiaramente non sono d’accordo. Magari un giorno di questi rubo a Mozzi un suo post e faccio quello che lui ha lasciato che si facesse a me, tanto più che mi pare che qualcuno qui giustifichi questi comportamenti come non prendersi troppo sul serio. Vediamo se Mozzi reagisce o no! Reagisce eccome, con una bomba. Ma mi hai convinto. Adesso rubo un post a Mozzi e ci divertiamo e se parla, se ci prova, lo mando da te, Lucio caro.Non parlo del caso S.M. Ci sono dei post appositi, c’è che un caso giudiziario aperto.
  19. Lucio Angelini Dice:
    19 dicembre 2011 alle 18:27   @giuseppe. ti sconsiglio vivamente di metterti dalla parte del torto. ti spiace, invece, citarmi il link ove io possa verificare il furto dei tuoi scritti? (così mi rendo conto di testo e contesto e posso capire meglio ciò che sostieni sia avvenuto).
  20. paolo f Dice:
    19 dicembre 2011 alle 19:17  Se il luogo del “misfatto” era il vecchio vibrisse, quella sorta di blog collettivo che sembrava avere un progetto, ho l’impressione che gli archivi non esistano più. Ripensando a quei tempi, ricordo un episodio. Un giorno, Mozzi propaganda in gran pompa la nascita di una rivista in rete (ovviamente abortita), “fatta da sole donne, per sole donne”: si chiama “I dialoghi della varechina”. Dopo aver letto l’elenco delle partecipanti al numero zero, Iannozzi commenta qualcosa del tipo: “Ah, beh, come prevedevo sono sempre i soliti nomi…”, e a quel punto Mozzi perde le staffe e il suo proverbiale aplomb, recriminando contro il perenne ateggiamento distruttivo iannozziano. Oggi, di fronte all’inconsistenza di quella discussione, viene quasi da sorridere…
  21. Iannozzi Giuseppe Dice:
    19 dicembre 2011 alle 19:59   Esatto, gli archivi non esistono più, come ha ben evidenziato Paolo.Comunque non lo prendo il post a Mozzi, ma non per non mettermi dalla parte del torto, ma perché non intendo fargli pubblicità, neanche in maniera trasversale.

    Lasciamo poi perdere la censura a dir poco orwelliana… no, diciamo le cose come stanno: la censura fascista applicata su Vibrisse e non solo è qualcosa di a dir poco raccapricciante, fa cadere le palle anche agli stoici più duri… per cui meglio non leggere certi blog.

    Paolo: non dissi niente di grave, solo “i soliti nomi”. E per questo uno dovrebbe perdere le staffe e squinzagliare i troll? Non credo che questo gioverà mai all’immagine di M. né dei troll che oramai tutti sanno chi sono e di che cosa sono capaci pur di rosicare un misero angolino di pubblicità.

  22. paolo f Dice:
    19 dicembre 2011 alle 21:48   Mah, mi sembra che a volte (o spesso) non è la “figura di riferimento” a sguinzagliare i troll, ma sono i troll a muoversi da soli, con grande zelo e tempestività, convinti di compiacere la loro guida.Su questo punto, poiché i troll li ho visti in azione, posso dire (mia opinione) che Lucio Angelini non fa parte di questi. Lui, più che altro, ha fatto il verso ai troll, facendone casomai una parodia. Quelli che l’hanno attaccato e bastonato (nei commentari) si dividono quindi in due famiglie:
    – coloro che si sentivano toccati dai suoi interventi, e quindi reagivano male perché privi di senso dell’umorismo e di autoironia (quelli che si prendono sul serio senza se e senza ma)
    – quelli che, surclassati dal suo folleggiare e serviili nei confronti del microsistema in cui nuotavano, lo attaccavano in maniera pesante e sleale (ricordo un episodio proprio in vibrisse, in cui una nota troll – ancora attiva – lo accusò di cose false, ferendolo sul serio; della serie: “calunniate, calunniate, qualcosa resterà”).

    Sapete che effetto mi fanno quelli che “bannano” Lucio Angelini? Mi fanno pietà, perché danno l’impressione di vivere in una bolla d’aria e credere che sia il mondo vero.

  23. fabio painnet blade Dice:
    20 dicembre 2011 alle 07:52   @paolo
    molto attuale quella dei cortigiani compiacenti che si sguinzagliano da soli.@Iannozzi G.
    Giuseppe io non giustifico nulla! dico solo che sei furente, troppo arrabbiato, tanto alterato da confondere la mia solidarietà per provocazione.
    In realtà credo – come il Lucio . che bisogna reagire duramente,
    NON IGNORARE. Ma per farlo ci vuole una certa freddezza. Capisci che voglio dire? Non illuderti che il silenzio serva a qualcosa, se una botta è ben data fa male a chiuque. prendi il povero Pasolini, quanto parlava… Non sembra però che i suoi assassini politici gradissero tanta pubblicità. Io direi che ogniqualvolta la censura viene praticata fa più male a sè ed al contempo ti fornisce la garanzia di essere nel giusto e che le critiche avessero una loro ragion d’essere, quindi che fossero ben soppesate, taglienti e fastidiose (per chi è nel torto). Questa funzione è preziosa perchè fornisce una cartina tornasole sulla bontà e sull’effetto della denuncia. L’ultima censua di GM , FINO A PROVA CONTRARIA sta diimostrando proprio quanto avesse torto nel discorso su Candida ed io che ci son capito in mezzo del tutto ignaro, ora posso avere un orientamento più preciso sull’intera faccenda. Ma senza l’Angelini starei ancora qui a farmi domande stupide o a spedire lavori a certi indirizzi. Spero di essermi spiegato, stavolta.
  24. iannozzi Giuseppe Dice:
    20 dicembre 2011 alle 08:36   @ FABIOCaro Fabio, oramai è acqua passata, certo è che certi blog non li seguo più e se sì, una volta a settimana con distrazione calcolata, e nemmeno. Non ho voglia di perder il mio tempo prezioso dietro chi applica la censura. Penso che la censura sia un metodo fascista, solo questo. Io non ho lasciato passare da me solo alcuni commenti di chiara matrice razzista, tutti gli altri, anche insulti a me rivolti, li lascio passare, questo perché non sono un censore.
    E’ acqua passata, ma puntualizzo che non dimentico, per cui verso Mozzi e altri, sotto il profilo umano sociale, non nutro proprio alcuna fiducia o stima. Poi mi puo’ anche piacere un romanzo scritto da M. o dai Nessuno, o dai compagnetti dei Nessuno: ma per poterli considerare li devo considerare vestendo i panni del critico.
    I tempi sono cambiati e la rete deforma le informazioni e la pubblicità molto più di ieri, per cui non val la pena far pubblicità, anche se negativa… La cosa migliore è di non dare visibilità a certa gente, perché certa gente vuole la pubblicità, positiva o negativa che sia, per credersi primadonna, centro dell’universo, etc. etc. Io la penso così.

    ciao

  25. paolo f Dice:
    20 dicembre 2011 alle 10:49   Rettifico: l’episodio in cui la nota troll calunniò Angelini avvenne non in vibrisse, ma in (quel letamaio di) nazione indiana.
  26. Lucio Angelini Dice:
    20 dicembre 2011 alle 11:45   @paolo. non ne ho nessun ricordo. puoi rinfrescarmi (anche in pvt)?
  27. paolo f Dice:
    20 dicembre 2011 alle 12:28   modificahttp://www.nazioneindiana.com/2006/11/20/vibrisselibri-la-carta-non-e-tutto-ma-aiuta/
  28. paolo f Dice:
    20 dicembre 2011 alle 13:20   In realtà l’episodio a cui mi riferisco non mi sembra in questo thread, ma in un altro collegato (essendo passato un lustro, è difficile ricordare).
  29. Lucio Angelini Dice:
    20 dicembre 2011 alle 13:22   Dio, che tenerezza… the way we were. Mi sono commosso leggendo le parole in mia difesa di Mariastrofa, che poverina non c’è più. Come la rimpiango. Grazie anche a te, Bart, e i pochi altri che mi sostennero nell’ora del vituperio.P.S. Però, che orrenda megera quella Georgia. E che orrendo megero anche Franz Crespicapelli, a rileggerlo. Non potevano prevedere che dal mio ‘personale tornaconto’ in Vibrisselibri alla fine mi sarei auto-licenziato per stanchezza… *-°
  30. paolo f Dice:
    20 dicembre 2011 alle 13:36   Infatti: quanta malevolenza, quanto livore, quanto nulla…
    E Maria Strofa era veramente un grande, uno dei migliori.
  31. fabio painnet blade Dice:
    20 dicembre 2011 alle 17:44   Come detto non pratico la rete, perciò le mie parole possono apparire (oppure lo sono) sciocche rispetto a logiche e pensieri trattati da vecchi volponi (esperti dell’ambiente). Però certi fatti mi lasciano sempre perplesso. leggevo il riferimento linkato di paolo f, quasi un amarcord su accadimenti trascorsi.
    La mia considerazione è quindi la seguente. Com’è possibile che un organismo prolifico come un fiume (di idee, buoni propositi e, perchè no, di freschi talenti), e formato da persone capaci e competenti che possono creare e portare a termine un progetto ambizioso, vada a frammentarsi in tanti piccoli rivoli, buoni al massimo per l’intrattenimento o per qualche rimpatriata nostalgica? Possibile che l’unione che dovrebbe fare la FORZA, una volta digitalizzata, perda completamente quelle caratterisitiche autentiche’ che in potenzialità, cioè entro l’architettura di un’idea solida , potrebbero altresì completarsi in un progetto maturo? In altri termini perchè un gruppo dotato delle necessarie potenzialità intellettuali non riesce a organizzare e dare corpo ad una creatura propria (anche un movimento d’opinione), con l’ambizione di lasciare un segno tangibile nella società del mondo reale?. Possibile che tutto ciò possa così facilmente andare perduto? Da cosa deriva l’attuale acredine fra personaggi un tempo vicini e solidali fra loro? Perché un esperienza ‘forte’ , com’è stata quella di NI, oggi sembra finita al macero? E’ possibile avere una risposta ben articolata al posto delle due solite e facili battute di spirito?
    se ho scritto stronzate me ne scuso. fpb
  32. paolo f Dice:
    20 dicembre 2011 alle 19:19  La prima osservazione che mi viene da fare (premessa di un ragionamento senz’altro complesso) è che l’esperienza “forte” di NI risale ai primi anni, quando – se non sbaglio – tra i fondatori/animatori c’erano Carla Benedetti, Antonio Moresco, Tiziano Scarpa, Sergio Garufi e qualche altro personaggio di peso. Poi, con la scissione seguita alla polemica sulla “Restaurazione” innescata da Moresco (che diede luogo al sito Il primo Amore, gestito rigorosamente senza commenti), in NI sono rimaste sostanzialmente le scorie, che han fatto ciò che han potuto.
  33. fabio painnet blade Dice:
    21 dicembre 2011 alle 10:57  sì, la cronostoria è nota. Chiedevo semplicemente una visione più prospettica sulle cause, chessò, magari un accenno di autocritica, Possibile che non esista un’idea critica? una sorta di costruzione onesta sulle dinamiche, sul meccanismo che ha determinato le lacerazioni.Un cattiveria su vibrisse: leggevo oggi di un tale che si lamentava d’esser l’unico a leggere il romanzo a puntate. Chi glielo va a spiegare che difficilmente si rimette piede da dove si viene sbattuti
    fuori? Il discorso naturalmente è generale. Personalmente vorrei intervenire, ma se poi l’angelini ne combina una delle sue, rischio seriamente di prendermi un’altra passata di calci in culo e siccome vorrei evitare…però guardo dalla vetrina come un cane randagio,.
  34. Lucio Angelini Dice:
    21 dicembre 2011 alle 14:02   http://it.wikipedia.org/wiki/Nazione_Indianasegui i link segnalati in basso*-°
  35. Lucio Angelini Dice:
    21 dicembre 2011 alle 14:03   > “ma se poi l’angelini ne combina una delle sue”Fabio, ma che stai a ‘ddi? Sono gli altri che ne combinano a me. Io sempre rispettosissimo fui…
  36. paolo f Dice:
    21 dicembre 2011 alle 17:29   Questo “rivoltare la frittata” di Angelini è irresistibile: mi ci riconosco soprattutto nella mia vita professionale, dove spesso mi trovavo alle prese con persone che volevano il mio scalpo, e il “rivoltamento di frittata” era il mio pezzo forte *-°@fabio: forse non ho capito bene: vuoi dire che su vibrisse ti è inibito commentare? Cioè sei stato bloccato?
  37. fabio painnet blade Dice:
    21 dicembre 2011 alle 22:52  E’ così che mi sono imbattuto nell’Angelini. Hai presente la storiella
    dell’avvinazzato e del gran fesso? la trovi pochi post più su, in fondo a sinistra non c’è da sbagliare.
    Uno sarebbe il lucio e l’altro il sottoscritto. Se ti leggi la sequenza degli interventi dell’articolo… (mò non mi sovviene il thread) su vibrisse, puoi giudicare da solo se era il caso o meno di chiudere i commenti in quella maniera Fino a quel momento non riuscivo a capire bene come fossero messe le cose, e perchè questo tal Marco Candida se la prendesse tanto con l’Angelini che sollevava dubbi – tutto sommato – leciti. Si, lo faceva da gran villano, siamo d’accordo, però si dà il caso là in mezzo vi fossi anch’io, e che peraltro tenessi un contegno misurato rispetto agli altri , per non esasperare il clima più di quanto non facesse il nostro amico ‘Semprerispettosissimofui’. Per farla breve, posso dirti che stavo là, più che altro per realizzare meglio come funzionasse questa faccenda della promozione di un testo inedito in rete. Poi, la reazione scomposta del portinaio-padrone, cioè dell’oste, mi ha schiarito un pò le idee. E su un bel mucchio di cose,.. . Io aspetto ancora le scuse, sia ben chiaro, ma mi sa che l’attesa sia destinata a durare a lungo.
  38. paolo f Dice:
    21 dicembre 2011 alle 23:51   Dunque il padrone di casa ha semplicemente chiuso i commenti di quel post, non ti ha inibito i commenti nel blog. Probabilmente riteneva che proseguire la discussione non avrebbe portato a nulla.
    Teniamo conto che sull’argomento c’era stata una querelle pregressa, quindi è normale che il clima fosse teso. Non ne farei una questione importante, considerata l’inconsistenza dell’oggetto: una raccolta di racconti finanziata con soldi pubblici, di cui nessuno sa nulla.
  39. paolo f Dice:
    22 dicembre 2011 alle 01:07   Lucio, casualmente sono capitato nel post in cui Giulio Mozzi pubblica la prima puntata di quello strano romanzo dove (a quanto dicono) non si capisce niente. Nel commentario (a parte la gustosissima commedia degli equivoci con Sergio Garufi, che purtroppo è caduto nella trappola) c’è quel Marco Candida che afferma:
    se mozzi dice che sei bravo sei bravo non ci sono storie“.Poi, in risposta a una puntura di Garufi, aggiunge:
    “Insomma, certamente l’affermazione ‘se mozzi dice che uno è bravo è bravo’ non può essere vera, ma in questi anni, Garufi, Mozzi ha dimostrato di essere bravo a fare quello che fa. Tra l’altro qualche sera fa (scusa se bisticcio) su Rai Uno (alle tre di notte circa) durante un documentario (roba registrata, dunque; non in diretta) Andrea Cortellessa ha speso parole di grandissimo elogio nei riguardi di Giulio come talet-scout dicendo, lo ricordo bene, che Indicativo Presente (Sironi Editore) è la migliore collana degli ultimi tempi etc.”

    Lucio, sono allibito: ma questo ci è o ci fa?

  40. Lucio Angelini Dice:
    22 dicembre 2011 alle 01:49   Marco adora definirsi bravo, sia in forma esplicita, sia in forma implicita, per esempio con la frase “se mozzi dice che sei bravo sei bravo non ci sono storie“, visto che fu proprio Giulio Mozzi a sverginarlo come autore in Sironi*-°
  41. iannozzi Giuseppe Dice:
    22 dicembre 2011 alle 08:30   Le mafiette editoriali. ;-) Per quanto riguarda Marco sverginato in Sironi da Mozzi. Con un libro a dir poco penoso, tra i più schifosi mai letti. Fortuna che non c’è più in Sironi Mozzi, e difatti la qualità dei libri pubblicati è migliore, decisamente.
  42. paolo f Dice:
    22 dicembre 2011 alle 09:31   Appunto perché fu Giulio Mozzi a sverginarlo, mi domando come faccia il ragazzo a spararle così, senza il minimo senso del ridicolo.
    Così come, senza il minimo senso del ridicolo, si è dato il titolo “Best ecc.” a quella raccolta; e si è pure avuto il coraggio di pubblicizzarla.
    In più, detto in via puramente incidentale: uno che sente il bisogno di specificare, per un documentario andato in onda alle tre di notte, che è “roba registrata, dunque; non in diretta“, difficilmente può definirsi uno scrittore, e tanto meno “bravo”.
  43. fabio painnet blade Dice:
    22 dicembre 2011 alle 10:19   O @Paolo, ma ti sembra ne abbia fatto una questione importante?
    E’ da quel dì che ce la ridiamo con quel furfante di Angelini.E’ certo che quel Candida se la tira sui piedi da solo, ma è davvero
    poco angelico l’Angelini nei suoi confronti. Hai presente quando nel bel mezzo della discussione (fra me e il Candida) ne esce con quel velenosissimo. ” fabio, qui Marco parla di sè”. Se l’altro fosse stato d’accordo ne sarebbe uscito un pezzo da cabaret memorabile.
    Quando ho letto il post dell’intervista ho cominciato a ridere, ma a ridere talmente di gusto che a momenti mi cavavo un occhio sui due bei cornini affilati (del ‘lucio-ifero’) che venivano fuori dal monitor..
  44. Marco Candida Dice:
    22 dicembre 2011 alle 10:58  Guardate che le leggo le cose che scrivete. Non vi passi nemmeno per un istante nella testa che non sappia le cose che fate e che in qualsiasi modo le approvi. Non mi piacete. Nemmeno un po’.
  45. Lucio Angelini Dice:
    22 dicembre 2011 alle 11:38   oddio. ci ha scoperti. e adesso che facciamo? ve l’avevo detto che era meglio darci convegno all’alba dietro la cripta dei cappuccini… mettete che Marco vada a fare la spia dal Maestro, che ne sarà di noi? non oso pensarci. pazienza per me e ferrucci, che ormai siamo avanti con gli anni, ma il povero blade? bruciato così su due piedi, prima ancora di aver mandato un solo dattiloscritto a einaudistilelibero? sono davvero desolato per lui *-°
  46. Lucio Angelini Dice:
    22 dicembre 2011 alle 11:41  @marco. te lo giuro sul tuo onore. io sempre rispettosissimo fui…
  47. fabio painnet blade Dice:
    22 dicembre 2011 alle 17:45   @Marco, possibile che ci provi gusto a spararti sulle palle a quel modo?
    Ma mi spieghi cosa significa quel ‘non mi piacete’? Ti pare che freghi a qualcuno di piacere a te? Qui, si parla per ridere, ma si sottende anche qualcosa di serio, perciò dopo averci fatto sbellicare ora fatti avanti, sputa il rospo una volta per tutte, dì qualcosa di serio!, perdindirindina@ Lucio-ifero.
    Non è qui che ho letto : ‘perdete ogni speranza, voi che entrate…’ ?
  48. paolo f Dice:
    22 dicembre 2011 alle 19:53  Sì, Lucio, sono un po’ avanti con gli anni (meno di Mozzi, però): ma si dà il caso che abbia appena deciso — non scherzo — che scriverò 40 (quaranta) romanzi nei prossimi dieci anni. Questo significa 4 romanzi all’anno, pari a uno al trimestre. Ho già pronti i titoli – strepitosi – di tutti i 40, resta solo da scriverne il contenuto: dopo le feste mi metterò subito al lavoro.
    Quindi, in effetti, un po’ di carriera la sto mettendo a rischio… e tutto questo per te.
  49. Lucio Angelini Dice:
    22 dicembre 2011 alle 20:54   @paolo. come dice il proverbio, “chi ha già il titolo, è a metà dell’opera”.@marco. dai, scialla (stai sereno). ti auguro ogni bene.

    @ fabio. avrai capito che, sotto sotto, sono un “toco de pan”. auguri anche a te*-°

  50. Iannozzi Giuseppe Dice:
    22 dicembre 2011 alle 20:58  Oddio, sono disperato, disperatissimo, ho fatto una homerata. :-D Siamo osservati. Adesso Marco – tutta colpa tua Lucio che ci avevi assicurati che qui alla luce del sole nessuno ci avrebbe comunque scoperti ;-) – spiffererà tutto all’orecchio di Yoda Gran Maestro del Consiglio Jedi, e così addio alla possibilità di pubblicare il mastodontico seguito di Guerra e Pace da me scritto e che conta 10,000 pagine, copertina esclusa, e che ovviamente ha per titolo Guerra e Pace II. ;-) Che danno, che danno, che immenso danno. Mi strappo i capelli, per la vergogna. AH AH AH
  51. paolo f Dice:
    22 dicembre 2011 alle 21:34  Capelli? Quali Capelli?
  52. J.Tevis Dice:
    22 dicembre 2011 alle 23:11   in mancanza di capelli, si strapperà gli orecchini.
  53. fabio painnet blade Dice:
    23 dicembre 2011 alle 08:06   Eheilà ragazzi. Per me è venuto il tempo di riprendere il cammino.
    @ lucio = paolo = giuseppe : grazie per lo spasso e auguri di buon Natale. Se capito di nuovo da queste parti ci facciamo un’altra bevuta eh?
  54. iannozzi Giuseppe Dice:
    23 dicembre 2011 alle 08:37   I pochissimi che mi sono rimasti, Paolo. Tu non ti rendi conto, adesso quello spiffera tutto a Yoda e chi diavolo me lo pubblica più il mio Guerra e Pace Tomo II? Be’, aspetta aspetta… forse in Sironi… tanto Mozzi l’hanno fatto fuori… per cui possibilità c’è. ;-)Comunque la linea editoriale Sironi è migliorata moltissimo dopo la dipartita di Mozzi, e questo lo dico con piena sincerità e felicità, perché finalmente ci sono libri che sono libri sul serio, come il bellissimo Pugni, svastiche, scarabei di Ned Beauman (di cui parlerò a breve), il fantastico Linea d’ombra Thomas B. Reverdy, Filosofia dell’umorismo di John Morreal (che consiglio a tutti di leggere, per capire le radici dell’umorismo), etc. etc. Un catalogo di tutto rispetto con autori spessi sul serio. Insomma, si respira un’aria nuova, molto più letteraria, di sostanza in Sironi. Niente più manie per l’alfabeto, finalmente.@ Fabio, ci siamo divertiti, abbiamo bevuto in allegria e amicizia, e abbiamo detto anche delle verità che altrimenti sarebbero rimaste nascoste. Direi che è stato un bel thread e che Lucio è stato un bravo ragazzo, un ottimo oste. ;-)

    Buone feste a Tutti, ragazzi. .

  55. azurblau Dice:
    24 dicembre 2011 alle 00:55   chi salverà il blog di maria strofa? :|
  56. Lucio Angelini Dice:
    24 dicembre 2011 alle 02:11   Speriamo ci pensi sua figlia…
  57. paolo f Dice:
    24 dicembre 2011 alle 20:22  Ricambio gli auguri di buone feste, ragazzi.
    Quanto al blog di Maria Strofa, avendo perso i riferimenti di sua figlia non so come contattarla: ho avvisato Luca Tassinari, ma forse la mail indicata nel blog la consulta di rado e non ho ancora avuto risposta. Bisognerebbe contattare la ragazza su facebook.
  58. Lucio Angelini Dice:
    24 dicembre 2011 alle 23:46   Ho provato a mandare io un messaggio a serena b. su facebook, chiedendo comunque se è effettivamente la persona che stiamo cercando. Ancora nessuna risposta. Sotto le feste non tutti sono al pc a tutte le ore:-)
  59. diait Dice:
    11 giugno 2012 alle 10:21   quel “non mi piacete neanche un po’” è un’affermazione forte….
  60. paolo f Dice:
    11 giugno 2012 alle 11:20   Infatti fu come una mazzata, una specie di fulmine a ciel sereno: ci rimasi veramente male:-/
  61. fabio painnet blade Dice:
    11 giugno 2012 alle 17:08   Io non presi sonno per tutta la notte
——————————
 
20 APRILE 2012

NUOVO DIALOGHETTO AL VELENO CON MARCO CANDIDA

Il primo “Dialoghetto al veleno con Marco Candida” è leggibile qui:

http://lucioangelini.wordpress.com/2010/01/21/dialoghetto-al-veleno-con-marco-candida/

Ieri se ne è svolto un secondo nella pagina facebook di Giulio Mozzi, che non manca mai di aggiornarci sulle gesta letterarie di uno dei migliori nuovi talenti letterari d’Europa:

http://lucioangelini.wordpress.com/2010/12/13/and-the-winner-is-marco-candida/

Dunque, nella pagina FB di Giulio Mozzi ieri era apparso il seguente comunicato:

“GIULIO MOZZI segnala che Gianfranca Cacciatore ha realizzato un micro-booktrailer di ‘Il ricordo di Daniel’  di Marco Candida [il romanzo sta uscendo a puntate su Vibrisse Bollettino, N.d.R.] .

Dopo aver visionato il trailer e ascoltato la colonna sonora, ho posto la scherzosa domanda:

“Canta Elizabeth Harris?” [= la morosa americana di Marco, nonché traduttrice di testi mozziani in anglo-americano. N.d.R.]

 Lì per lì Marco ha commentato:

“Attento!”, poi ha cancellato il commento e l’ha sostituito con il meno minaccioso:

“Sì, e dirige Vince Tempera.”

Allora gli ho ripropinato il suo precedente “Attento” appena cancellato.

A quel punto è scesa in campo Elizabeth stessa:

“Lucio: the singing is beautiful, isn’t it? I sure wish I had a voice like that.”

Mia risposta:

“A bit masculine.”

Marco Candida:

“E pensare che Claudio Angelini è uno dei miei scrittori preferiti… Dovrebbe denunciarti [sic!!!!!] perché gli infanghi il cognome solo perché sei suo omonimo!”

Lucio Angelini:

“Marco, sei proprio idiota.”

In serata, forse consigliato da Mozzi stesso, Marco ha cancellato la propria squallida battuta, e così  la mia replica adesso risulta del tutto gratuita, ma visto che Marco in precedenza mi aveva più volte minacciato di querela per diffamazione, nel frattempo l’avevo fotografata :-)

La vicenda mi ha ispirato il seguente raccontino in latino:

“Ad rivum eundem Lupus et Agnus venerant siti compulsi: superior stabat Lupus, longeque inferior Angelinus: tunc fauce improba latro incitatus jurgii causam intulit. ‘Cur’, inquit, turbulentam fecisti mihi istam bibenti [perché infanghi col tuo cognome quello di Claudio Angelini?]‘? Laniger contra timens, ‘qui possum, quaeso, facere quod quereris, Lupe? A te decurrit ad meos haustus liquor’. Repulsus ille veritatis viribus, ‘ante hos sex menses male’, ait, ‘dixisti mihi’. Respondit Agnus: ‘equidem natus non eram. Pater hercle tuus, inquit, maledixit mihi’. Atque ita correptum lacerat injusta nece.
Haec popter illos scripta est homines fabula, qui fictis causis innocentes opprimunt.”

[C’era una volta un grande scrittore, Claudio Angelini, uno dei più amati dall’intenditore Marco Candida. Purtroppo ce n’era anche un altro, piccolo piccolo, Lucio Angelini, colpevole di mancata ammirazione per Marco Candida. Un giorno Marco Candida disse a Lucio: “Claudio dovrebbe denunciarti perché gli infanghi il cognome solo perché sei suo omonimo.” E Lucio gli rispose: “Marco, sei proprio idiota.”]

Lo propongo all’attenzione di FABIO PAINNET BLADE per un’analisi cinematico-deambulatoria:-)

Commenti

MARCO CANDIDA”

  1. fabio painnet blade Dice:
    20 aprile 2012 alle 07:10   “badate che vi sto osservando…e non mi piacete per niente!”memorabile. Un pezzo da antologia dell’umorismo
  2. Giulio Mozzi Dice:
    20 aprile 2012 alle 07:24   

    In serata, forse consigliato da Mozzi stesso

    Ipotesi errata.
    Che ne pensi del romanzo “Il ricordo di Daniel”, Lucio?

  3. fabio painnet blade Dice:
    20 aprile 2012 alle 07:27   Siamo ammessi anche noi o è un tenero ritrovo fra ex?
  4. Lucio Angelini Dice:
    20 aprile 2012 alle 07:31   Giulio. Mi riconosco colpevole di mancata ammirazione per Marco Candida. Come più volte espresso, lo considero il tuo peggiore abbaglio come talent-scout…
  5. Giulio Mozzi Dice:
    20 aprile 2012 alle 07:58   Ma del romanzo “Il ricordo di Daniel”, nello specifico, che cosa pensi?
    Il mio peggiore “abbaglio” come talent scout è stato rifiutare un romanzo che poi vendette un milione di copie. Ma sono ancora contento di averlo rifiutato.
  6. fabio painnet blade Dice:
    20 aprile 2012 alle 07:58   @lucio cosa vuoi che valga un commento del genere? Come lo motivi? Ti accontenti di fornire una banale risposta senza consolidare una minima attendibilità? Eppoi GM sa benissimo come la pensi. Perché questa richiesta ostentata ? Più che altro sembra un’ennesima, puerile ricerca di visibilità dato lo scarso seguito sul suo blog .@lucio, adesso ti diranno che non sei credibile perché i tuoi lavori non sono apprezzati in casa mozzi e via con la solita tititera del ‘dente avvelenato’ già replicata all’infinito. Uffa. Me ne vado al lavoro che almeno mi diverto un po’. E mi porto dietro il libro di Candida perché angelini mi sembra de ltutto prevenuto e quando valuta qualcosa con piglio serioso perde ogni lecita credibilità. Mi voglio fare un opinione personale dell’opera. Alcuni passaggi peraltro mi sono piaciuti parecchio. Però, lo facevo più scarso l’amico. A si biri crasi, piccioccus
  7. fabio painnet blade Dice:
    20 aprile 2012 alle 08:02  prima di uscire leggo l’ultimo commento di mozzi. bellissimo! della serie: ebbene sì! continuiamo a farci del male!
    Grazie ragazzi, prima di passare per Cz Lt ero di pessimo umore.
  8. Lucio Angelini Dice:
    20 aprile 2012 alle 08:14  Giulio. Scelgo a caso un campione di prosa di Marco:“Daniel vorrebbe far mettere una Tv anche lí, di modo da evitare a se stesso di addormentarsi in salotto, distruggendosi la schiena e facendogli correre il pericolo d’inciampare quando si alza come un mezzo sonnambulo per trascinarsi a letto, già in pigiama e coi denti lavati, tuttavia Sara non vuole, una televisione le basta e avanza.”Come si giustifica quel “facendogli”? *-°
  9. Giulio Mozzi Dice:
    20 aprile 2012 alle 08:34   Grazie per la segnalazione del refuso.
  10. pirulix Dice:
    20 aprile 2012 alle 08:50   Quando si fa notare qualcosa a uno scrittore o a un traduttore* la giustificazione classica è sempre il refuso. Meno male che esistono! Lucio, due cose: perché invece di fotografare lo schermo del pc non salvi direttamente la schermata della pagina?
    Conosci il detto: il chiurito di cu*o è cchiù forte du terremoto .
    e che prendiamo di mira individui che non capiscono il. tuo sense of humor
  11. pirulix Dice:
    20 aprile 2012 alle 08:54   Ehm… scusate i refusi… ;-) :-@
  12. pirulix Dice:
    20 aprile 2012 alle 08:59   Il senso dell’ultimo periodo del penoso post di prima è sia che in rete è difficile scherzare: non sempre il nostro humor è affine a quello degli interlocutori, sia che le persone si prendono maledettamente sul serio e hanno reazioni e comportamenti che nella vita reale non si sognerebbero di avere.
  13. paolo f Dice:
    20 aprile 2012 alle 09:08  Il mio peggiore “abbaglio” come talent scout è stato rifiutare un romanzo che poi vendette un milione di copie. Ma sono ancora contento di averlo rifiutato. Ecco, questo è uno dei casi in cui vorrei essere come Giulio Mozzi. Io, al suo posto, non mi sarei più ripreso.
  14. pirulix Dice:
    20 aprile 2012 alle 09:22  “In serata, forse consigliato da Mozzi… ”
    Beh, questa è la provocazione di Lucio per tirare in ballo l’amico :-)
    Di Mozzi è ammirevole la pacatezza serafica… ma si incavola ogni tanto? Dopo anni di rete e dopo infinite letture si raggiunge l’atarassia? ;-)una cosa che un po’ mi urtica e che in rete a mio avviso si amplifica: TUTTI si sentono in diritto di disquisire di letteratura (o di cinema); tutti, con competenza specifiche che nulla hanno a che fare con i campi in indagine, recensiscono, citano, hanno le risposte e le proposte in tasca…
  15. Giulio Mozzi Dice:
    20 aprile 2012 alle 09:35   Pirulix, m’incavolo se ne vale la pena. In questo caso non mi pare che ne valga la pena. (Posso sbagliarmi).
    Mi pare che la competenza di Lucio sia sufficientemente certificata dal suo curriculum (e ricordiamo almeno i complimenti di Aldo Busi, un tipino non proprio facile).
  16. paolo f Dice:
    20 aprile 2012 alle 09:39   Che a Lucio questa cosa abbia “fatto fare la ruota come un tacchino” non mi stupisce, a dire il vero;-)
  17. pirulix Dice:
    20 aprile 2012 alle 09:40   Non mi riferivo assolutamente a Lucio!
    Che ritengo una delle persone più argute, colte, competenti e ironiche che ho letto in rete: per questo dà fastidio e molti hanno cercato di “farlo fuori”
  18. paolo f Dice:
    20 aprile 2012 alle 09:44   Lucio è Croce e delizia
  19. pirulix Dice:
    20 aprile 2012 alle 09:47   Lucio è cancro, vero?
  20. paolo f Dice:
    20 aprile 2012 alle 09:50   No, è Gemelli, purtroppo…
  21. pirulix Dice:
    20 aprile 2012 alle 09:54   perché purtroppo?
  22. paolo f Dice:
    20 aprile 2012 alle 09:55   Sto con una Gemelli da trent’anni e so cosa vuol dire:-/
  23. diait Dice:
    20 aprile 2012 alle 10:02   pirulix: TUTTI si sentono in diritto di disquisire di letteratura (o di cinema); tutti, con competenza specifiche che nulla hanno a che fare con i campi in indagine, recensiscono, citano, hanno le risposte e le proposte in tasca…questo è il ballo che si balla in rete – e fuori. Si può partecipare o no, al ballo, non è obbligatorio. Se lo fai, ogni tanto ti becchi un pugno in faccia o uno sputo, e scegli se restituirlo. Oppure no: come Mozzi, che sceglie di non partecipare al ballo e resta serafico aspettando che la bolla si sgonfi, e riservando la sua indignazione – forse – per cause che ritiene più urgenti/degne. Non so.Quando Parente scrive le sue smargiassate in qualche modo di espone a pugni e sputi di ritorno. Di questo va dato atto a lui e agli altri che lo fanno. Io per esempio, invece, per temperamento sono paurosa e un po’ vigliacchetta, e tendo a identificarmi nel tipo “anguilla”, che ogni tanto magari fa la sbrasata, ma poi quando si mette male batte in ritirata buttandola in caciara con una battuta.Perché TUTTI non dovrebbero dire la loro? E’ come quando intervenivo nei forum sull’infanzia, dicendo la mia su bambini, educazione, madri e figli o altro, e mi si ribatteva: tu non puoi parlare perché non sei madre. Eh, sì, ciao. Una madre ce l’ho avuta anch’io però.
  24. diait Dice:
    20 aprile 2012 alle 10:03   x paolo – ma state insieme fin da ragazzini allora!
  25. paolo f Dice:
    20 aprile 2012 alle 10:04   Proprio così…
  26. Lucio Angelini Dice:
    20 aprile 2012 alle 10:14   Gaia Conventi in FB ha commentato il link con una battuta fantastica: “Smile, you’re on candid Candida! :)”ah ah ah ah ah
  27. diait Dice:
    20 aprile 2012 alle 10:18   accidenti che complimenti quelli che ti fa Busi, lucio. Te li giro sulal parola. L’unica è rivolgersi alla Caccia al libro di Fahrenheit per procurarselo, però, mi sembra di avere capito. Ma potrebbe esserci qualche intoppo….
    sempre spiritosa Gaia.
  28. diait Dice:
    20 aprile 2012 alle 10:24  x paolo – che bravi. Sono un’appassionata di coppie che durano. Il mio modello assoluto è rappresentato dalla coppia Mel Brooks/Anne Bancroft (amore + cameratismo + umorismo).
  29. maria pia Dice:
    20 aprile 2012 alle 10:26  Anguilla… Eel…
    @diait, non mi sono spiegata: se non si hanno competenze specifiche non si va certo a discettare amabilmente di astrofisica, matematica, fisica, medicina.
    La “lettere” sono terra di nessuno. Ed è una considerazione, niente a che vedere col diritto e la libertà di parola, che io rivendico per me e per chiunque.
    Sulla maternità: anche io ne discutevo quando non avevo figli ed ero solo zia (prima non me ne poteva fregar de meno).
    La maternità mi ha fatto prendere atto che essere madri non è essere figlia. Che è diverso. Almeno per me.
    Maria Pia, aka pirulix
  30. diait Dice:
    20 aprile 2012 alle 10:34  Non posso dirti quello che provi tu, come madre. Ma potrei dire quello che io penso di te come madre (se ti conoscessi), delle madri che conosco, e di quelle che vorrei conoscere. Sono competente a parlare di madri e figli anche se non sono madre. Non è questione di diritto ma di competenza, proprio. Infatti, in linea teorica, se porti un astrofisico in una classe di bambini delle elementari o delel medie, non è escluso che qualcuno di loro se ne esca con domande, riflessioni o obiezioni pertinenti. Lo dice chi – da astrofisico, filosofo o altro – ha fatto questa esperienza. Posso intervenire, quindi, come figlia, certo, e come osservatrice esterna di madri, e come ricercatrice autodidatta nel campo famiglia. Dalla mia prospettiva, cioè, che non è irrilevante. Anzi. Una cosa che osservo, da quando sono nata, è che tra l’essere madri e l’essere oneste sull’essere madri semrba esserci un conflitto di interessi.
  31. diait Dice:
    20 aprile 2012 alle 10:43   lucio: ma il raccontino è in latino vero? Con tutte le cose al posto giusto? Oddio mio, caspita.
  32. Lucio Angelini Dice:
    20 aprile 2012 alle 11:00   @diait. Il testo latino è quello di “Il lupo e l’agnello” di Fedro, sciocchina. (Il ragionamento del lupo – nella sua illogicità – è simile a quello di Candida sul mio infangare il cognome di Claudio Angelini):-) http://www.latin.it/autore/fedro/fabularum_phaedri/!01!liber_primus/!01!lupus_et_agnus.lat
  33. diait Dice:
    20 aprile 2012 alle 11:10   oddio che frana che sono. Abbattetemi. D’altronde, non ho mai finito neanche il liceo, ci sarà un perché. Ero proprio refrattaria allo studio.
  34. Lucio Angelini Dice:
    20 aprile 2012 alle 11:14   Naturalmente la mia traduzione in corsivo tra parentesi quadre dopo il testo latino non è letterale:-)
  35. xmarcocandidax Dice:
    20 aprile 2012 alle 11:16   Be’ sì, i commenti li ho cancellati. Non mi è piaciuto che si chieda “Canta Elizabeth?”, quando a cantare è un uomo. Mi è sembrato offensivo e sono intervenuto prima scrivendo “Attento” e poi con un più conciliante e ironico (Sì, è dirige Vince Tempera”. E’ vero che ho minacciato di querela Lucio Angelini. Per telefono, per e-mail. Ho provato però anche a farmelo amico. In effetti non so più come fare. E’ difficile sedersi al computer aprire facebook e trovare insulti a bella posta, così, tanto per. Mi consolo pensando che io non sono l’unico che Angelini attacca. La Lipperini, Biondillo, Wu Ming, Giulio stesso… Angelini ha il suo pantheon, ci entra dentro e lo prende a calci. Va bene. Quello che in tutto questo continuo a non capire è perché mai Angelini lavori così tanto nella costruzione del suo personaggio e invece non usi questa forza espressiva per creare un narratore, personaggi e una storia che rappresenti qualcosa anche per gli altri. Forse perché è questa la differenza tra uno scrittore e qualcuno che scrittore non è. Uno scrittore è in grado di indossare una maschera e poi di togliersela quando va per il mondo – compreso quello virtuale. Cioè lo scrittore riesce ad essere altro da se stesso o a dominare quest’altro, a sguinzagliarlo solo nelle sue opere. A mantenere una distanza, anche perché il suo lavoro è quello di dare una rappresentazione, dire delle cose, offrire una visione un certo tema. Non è offrire semplicemente se stesso. Uno scrittore prende seriamente quello che fa, non si interessa di se stesso, se parla di se stesso lo fa per mettersi in gioco – penso ad esempio a Quentin Tarantino. Spesso c’è anche lui nei suoi film. In effetti sarebbe un po’ scorretto che un regista dirigesse degli attori facengoli interpretare la parte dei disgraziati, mascalzoni lui standosene seduto su una seggiola con un cappellino calcato sulla testa e un megafono a dire “Ciack!”. Secondo me è giusto che il regista si metta in gioco direttamente. Ed è così che ho pensato anch’io quando ho scritto i miei primi due romanzi. Se devo raccontare la storia di qualche buono a nulla, se raccontassi questa storia inventandomi personaggi finti che niente hanno a che vedere con me, significherebbe implicitamente che io non considero me stesso un buono a nulla e che ho inventato un mondo dove io sono il dio superiore. Ho pensato allora fosse molto meglio che in qualche modo fosse chiaro che anch’io c’ero coinvolto. Ecco, forse Angelini dovrebbe chiudere e basta e dedicarsi a scrivere una storia inventata. Penso che funzionerebbe.
  36. diait Dice:
    20 aprile 2012 alle 11:27  certo che darti l’amicizia su FB, lucio, è un bel rischio però! E in quello che dice Marco qui sopra – “Angelini ha il suo pantheon, ci entra dentro e lo prende a calci” – ci riconosco sia me che te. E Lars Von Trier, di cui un suo attore-feticcio dice proprio la stessa identica cosa.
  37. pirulix Dice:
    20 aprile 2012 alle 11:45  Condivido moltissimo di quanto ha scritto marco candida, tranne il suo giudizio su Angelini e i suoi consigli su cosa dovrebbe o non dovrebbe fare.
  38. diait Dice:
    20 aprile 2012 alle 11:49  Naturalmente la mia traduzione in corsivo tra parentesi quadre dopo il testo latino non è letterale:-)Hai fatto bene a dirmelo…
  39. Lucio Angelini Dice:
    20 aprile 2012 alle 12:10  @marcocandida. Ho apprezzato le prime sei righe (sincere) della tua risposta, un po’ meno le ultime otto.Quanto a“Quello che in tutto questo continuo a non capire è perché mai Angelini lavori così tanto nella costruzione del suo personaggio e invece non usi questa forza espressiva per creare un narratore, personaggi e una storia che rappresenti qualcosa anche per gli altri”,devo deluderti: non sto cercando di “costruire” alcun “mio personaggio”. Sono così e basta. Tutto acqua e mascarpone. E naturalmente il mio blog – con le sue narrazioni – è appunto rivolto a chi ha voglia di leggerlo.Come scrittore per ragazzi, risalgono agli anni 90 i miei primi tentativi: “Quella bruttacattiva della mamma!”, “Grande, Grosso e Giuggiolone” e via discorrendo, in cui “misi in gioco”, come dici tu, le mie esperienze di fanciullo. Non è colpa mia se Einaudi Ragazzi tarda a ri-pubblicarli. Gli editori fanno un po’ quello che vogliono. Avrei anche un romanzo nuovo di zecca e non escludo di farlo uscire prima o poi, se mi avanza un po’ di tempo tra un calcio e l’altro al mio pantheon. Ma tu cerca di non squalificarti con battute tipo quella sul mio cognome che infangherebe claudio angelini. Fai davvero brutta figura.
  40. pirulix Dice:
    20 aprile 2012 alle 12:26 Ovviamente non condivido che Lucio “insulti” qualcuno: che le sua ironia possa non piacere è un fatto, ma l’insulto è ben altro, imho. Poi, la frase del Pantheon in cui Lucio entra e prende a calci i suoi inquilini…ehm, elevare al rango di divinità , anche solo per costruire una bella frase d’effetto, certi soggetti che tutto hanno fuorché qualcosa di lontanamente paragonabile al divino… beh, no! C’è un limite a tutto.
  41. diait Dice:
    20 aprile 2012 alle 12:28  ma il pantheon era una metafa! E ce lo vedo Lucio piccolo, a staccare la testa a tutti i suoi Playmobil!
  42. Lucio Angelini Dice:
    20 aprile 2012 alle 12:38  Scriveva Gaia Conventi qui: http://www.sulromanzo.it/blog/gli-emersi-dall-inferno-on-line “Se si parla di lit-web — e noi di questo parleremo —, bisogna decidere da che parte stare. La via della notorietà non prevede patteggiamenti. Il primo caso è il più semplice e quello maggiormente seguito: avere un blog letterario che parla bene di tutti gli altri blog letterari e recensisce bonariamente qualsiasi autore abbia scritto qualunque cosa.”Forse a Marco piacerebbe che passassi a quella sponda e dicessi un gran bene di tutto e tutti, ma piuttosto mi sego la carotide:-)
  43. pirulix Dice:
    20 aprile 2012 alle 12:43  Una bella metafora, senza dubbio, anche divertente!
    … poi ho pensato a lippagiunone, gioveming… e m’è venuta l’orticaria!
  44. pirulix Dice:
    20 aprile 2012 alle 12:47  Lucio, ripeto, a mio avviso per pubblicizzare il.NISE hai fatto più. tu della Lipperini. Soprattutto con i tuoi esilaranti sfottò. In un certo senso sei dalla loro parte: se non li sfottessi si incenserebbero a vicenda, PUNTO. Visibilità e dibattito zero.
  45. paolo f Dice:
    20 aprile 2012 alle 12:48  Mi consolo pensando che io non sono l’unico che Angelini attacca. La Lipperini, Biondillo, Wu Ming, Giulio stesso… Angelini ha il suo pantheon, ci entra dentro e lo prende a calci.”Ammazza, che pantheon: tutti gli dèi sono lì.
  46. paolo f Dice:
    20 aprile 2012 alle 12:54  Consiglio a Marco Candida di consolarsi: c’è chi sta peggio. E gli consiglio, vista quest’esperienza, di non unirsi a una donna del segno dei Gemelli.
  47. Lucio Angelini Dice:
    20 aprile 2012 alle 13:00  @paolo. noi gemelli siamo timidi, maldestri, scanzonati…
  48. paolo f Dice:
    20 aprile 2012 alle 13:01  Appunto: questa è la vostra forza, infatti vorrei esserlo anch’io (e non dovervi subire…)
  49. diait Dice:
    20 aprile 2012 alle 13:06 paolo: potresti non infrangermi subito il mito della tua coppia? Gradirei che restasse sull’altarino altri cinque minuti. Punto. (Maria Pia, come vado con l’interpunzione?)
  50. paolo f Dice:
    20 aprile 2012 alle 13:11  Ok, non infrangiamo il mito (visto che siamo in tema di pantheon)
  51. paolo f Dice:
    20 aprile 2012 alle 15:09  Comunque sono un ottimo “maritino”, quindi va tutto bene:-)
  52. Felice Muolo Dice:
    20 aprile 2012 alle 17:08  Paolo, se avessi vissuto quarant’anni con una donna pesci ti lamenteresti di meno.Lucio, mi sa tanto che Marco ti ‘stimola’, in modo che si parli di lui. Infatti, quando la conversazione arriva al culmine, lui riparte dal basso con tono addolcito e sembra che ti frega.Giulio, potresti dire il titolo del romanzo che ha venduto milioni di copie? Così, per evitare che altri te ne mandino dello stesso genere.Saluti a tutti.
  53. Lucio Angelini Dice:
    20 aprile 2012 alle 18:48   @felice. in effetti il post di oggi ha già ricevuto quasi mille visite. se marco ne trarrà beneficio, ne sarò contento per lui. magari col tempo e con la paglia diventerà uno scrittore più interessante di quanto non mi sembri oggi (con i suoi infiniti elenchi di post-it, di sogni, di allucinazioni e via discorrendo):-)
  54. diait Dice:
    20 aprile 2012 alle 18:56   a Marco, forse, manca un a capo ogni tanto, per venire incontro al lettore sfiatato….
  55. carlocannella Dice:
    20 aprile 2012 alle 21:28   C’e’ un tipo che a capo non ci e’ andato mai, e neppure ha mai suddiviso i suoi romanzi in capitoli, eppure…
  56. paolo f Dice:
    20 aprile 2012 alle 21:40   Anch’io ho allucinazioni e sogni fatti in semi-coscienza, quando mi corico, prima che arrivi il sonno. Faccio sequele di ragionamenti sconnessi e dialoghi insensati con persone immaginarie, sembrano le cose che accadono quando si ha la febbre alta. Ora ho capito – finalmente – che se riesco a materializzare questa roba sulla carta divento uno scrittore vero, di quelli che creano i “mostri narrativi” di cui si occupava vibrisselibri.
  57. diait Dice:
    20 aprile 2012 alle 21:47   C’e’ un tipo che a capo non ci e’ andato mai, e neppure ha mai suddiviso i suoi romanzi in capitoli…E’ a piede libero?
  58. paolo f Dice:
    20 aprile 2012 alle 21:51   E’ facile che sia defunto, chissà.
  59. Lucio Angelini Dice:
    20 aprile 2012 alle 21:54  @paolo. nemmeno lo ‘stream of consciousness’ sarebbe una novità. Vd la breve scheda qui:http://it.wikipedia.org/wiki/Flusso_di_coscienza
  60. pirulix Dice:
    20 aprile 2012 alle 22:11  (piena solidarietà alla signora ferrucci @.@ )
  61. Lucio Angelini Dice:
    20 aprile 2012 alle 22:13  (poareta)
  62. diait Dice:
    20 aprile 2012 alle 22:19  ah, era Joyce. Allora io sono il lettore che quel tipo non lo ha mai letto. Spero che questo non mi collochi troppo in basso nella scala umana…
  63. paolo f Dice:
    20 aprile 2012 alle 22:21  Anch’io le do solidarietà, sapendo quanto sono problematico… (poareta, hai detto bene)
  64. diait Dice:
    20 aprile 2012 alle 22:24  Un momento, paolo resta senza solidarietà. No way.
  65. paolo f Dice:
    20 aprile 2012 alle 22:30  Grazie. Nemmeno io ho mai letto Joyce: ma ho tutti i suoi libri in casa. Bisogna che mi decida ad affrontarlo.
  66. diait Dice:
    20 aprile 2012 alle 22:34  Mio padre era uno studioso/appassionato di Joyce. Anch’io ho tutto, e in edizioni che ormai saranno anche rare… Eredità di papà.
  67. carlocannella Dice:
    21 aprile 2012 alle 09:09  Joyce a capo ci andava spesso, direi in maniera regolare. Il tipo di cui parlavo era Bernhard.
  68. paolo f Dice:
    21 aprile 2012 alle 09:21  Ottimo: un altro degli autori che devo ancora scoprire.
  69. diait Dice:
    21 aprile 2012 alle 10:17  ah, ho appena letto il nipote di wittgenstein. E sono andata a guardare, e è vero, non ci sono né a capo né capitoli. Che roba. Un fatto che non avevo registrato. Tra l’altro mi è piaciuto, nel ramo “e ora qualcosa di assolutamente diverso”. Eppure, nonostante le aspettative che suscitava il nome di Bernhard, e la sua vita difficile, e la mia passione per tutto quello che si chiama Wittgenstein, sono rimasta delusa. Del nipote, avrei voluto saperne e capirne di più. Invece muore solo e B manco va sua sua tomba a dirgli crepa. Poi mi è rimasto impresso quel modo con cui chiamava la donna/mamma che gli è stata vicina tutta la vita, “la mia persona”, mi pare, e i rendez-vous da un padiglione all’altro dell’ospedale, quasi sempre falliti. Carlo, se non mi ci facevi pensare tu, io neanche mi ero accorta che avevo letto una cosa di ben 132 pagine senza mai prendere fiato. D’altra parte, mi sono letta “Autorità e uso della lingua” di DFW in Considera l’aragosta, con tanto di note e interlocuzioni.
  70. carlocannella Dice:
    21 aprile 2012 alle 10:35  Ho appena letto “Il soccombente” e devo dire che era anche un gran burlone. Nella prima pagina ci sono 3 a capo, per tutto il resto del libro nessuno. Ma mentre leggere DFW mi pesa un mucchio, con Bernhard ho la sensazione opposta. Non smetterei mai.
  71. diait Dice:
    21 aprile 2012 alle 10:37  io il contrario! ma tu pensa. Riprova che una misurazione scientifica – deambulante o meno – dell’arte mi suona difficile.
  72. carlocannella Dice:
    21 aprile 2012 alle 10:40  Per fortuna e’ cosi’.
  73. riccardo ferrazzi Dice:
    21 aprile 2012 alle 10:47  Gran libro “Il soccombente”! Personalmente lo considero il capolavoro di Bernhard.
  74. pirulix Dice:
    21 aprile 2012 alle 11:45  Se Marco Candida, la sua scrittura, tra un cazzeggio e l’altro, porta a fare connessioni e riferimenti a joyce, bernhard, passando per dfw…vuol dire che o i cazzeggiatori hanno un solido bagaglio culturale o giulio mozzi è un bravo talent scout o entrambe le cose oppure nessuna: nei salotti si deambula cinematicamente senza soluzione di continuità da un autore all’altro… non ho mai letto bernhard e grazie a voi il suo stile mi ha incuriosita, grazie
  75. Iannozzi Giuseppe Dice:
    21 aprile 2012 alle 15:45  Non mi diverte né G. né M. Sono diversi anni che G. continua a ripetere, sino alla noia, che M. sarebbe il,,, E io sono Ernest Hemingway reincarnato, come no!Vabbe’, tanto son anni che non leggo i loro blog. Saluti, Lucio.

BOCL N. 43 (PIERSANDRO PALLAVICINI: SIZE DOES MATTER!)

12 settembre 2005

MADRE NOSTRA CHE SARAI NEI CIELI

di Piersandro Pallavicini, Feltrinelli editore.

SINTESI: “Nel libro di Pallavicini c’è un tizio che la fa un sacco lunga sul
fatto che sua madre si becca la leucemia”:-) 

Il mostro di Vigevano” mi era parso un libro a pera, secondo la memorabile
definizione escogitata da Pietropaolo Bianchi in it.cultura.libri per i libri di Heinlein dagli anni ’50 in poi [a pera = “inizio grosso e finale piccolo. Un grande attacco, una ambientazione credibile e partecipata, un dispiegamento di  trame e personaggi, e poi… in dirittura d’arrivo, un finale precipitoso,  raffazzonato, insoddisfacente”]. Nel finale de “Il mostro di Vigevano“, infatti,

il soufflé narrativo si sgonfia, ancorché volutamente: il protagonista del libro si rivela assai meno mostruoso di quanto promesso dal titolo e al lettore, che si stava preparando a una vera e propria orgia di sangue finale, non resta che mettersela via.

Nostra madre che sarai nei cieli ha la struttura contraria: inizio piccolo
e finale grosso… All’inizio del romanzo l’architetto Mario Provera, maniaco di tutto ciò che fa tendenza e responsabile di una rivista che – naturalmente – fa
tendenza anch’essa, presenzia alla performance di un’artista di cui si
mormora che potrebbe fare tendenza, tale Relata Rèfero [dipinta di blu dentro una sfera colma di liquido anch’esso blu]. Purtroppo la poveretta ha la sventura di apparirgli subito finto-estrema, e, quel che è peggio, già superata in sul nascere. La sua performance è stata “alla carlona”. E allora il Provera non esita a definirla via via, nel corso della narrazione, “contadina metropolitana”, “la scema”, “brava contadina abruzzese allo sbaraglio, lontana dai suoi campi e dalle stalle cui era abituata”, “incongruamente colorata di blu”, “vestita di svolazzi di sete alla Patty Pravo”, “pazza blu”, “bestia”, “vacca blu”, “giunonica sciocca in blu”, “disastrosa erede di un’impresa funeraria”,
“l’imbecille”, “specie di orribile femme fatale tristemente dispiaciuta”. Ma
il suo poco lusinghiero giudizio non gli impedisce, per altri versi, di
corteggiarla e portarla a letto per molte settimane. In una scena clou, infine, il Provera sbotta: “Ma quanto lo vuoi tenere questo colore da imbecille? E come ti sarebbe venuta in mente questa solenne stronzata di aggirarti mesi e mesi per Milano dipinta di blu? Lo capisci che non è più tempo? Lo capisci che è roba di quindici anni fa? [sic!… forse pensava al Modugno di ‘Nel blu dipinto di blu’]. E che tu, al massimo, ci puoi fare una figura da mentecatta che gioca a fare l’artista  estrema?” 

Ma vediamo di dove proviene questo gran raffinato, questo snobbissimo
architetto Mario Provera, titolare di uno studio milanese di successo, che si permette di dare della “contadina pescarese” alla suddetta art-performer: è figlio, nientepopodimeno, che di un capufficio dell’Ausonia Assicurazioni di Cantù e di una segretaria contabile di un mobilificio. Ce lo rivela Pallavicini stesso in una serie di arditi flash-back: ha passato l’infanzia in un appartamento che i suoi genitori hanno acquistato con un mutuo; la Seicento bianca, invece, l’avevano ottenuta a suon di cambiali; al loro piano abitava – per dirne un’altra – “un falegname appena diventato mobiliere”; a quattro anni di età, quando i suoi sono via per lavoro, Provera piccolo viene in genere portato dalla nonna Giuliana, nella cui cantina gioca spesso con Mauro, il figlio di un muratore dei paraggi. Ebbene, un giorno i due, di gioco in gioco, si spogliano e Mario, vedendo il pistolino dell’amico, si china a baciarglielo. Mauro lo schiaffeggia. Accorre nonna Giuliana che commenta: “Peccati come questi fan sanguinare il cuore di Gesù Bambino”, e anche “Povero Gesù Bambino…”, prima di somministrargli a sua volta dei sonori ceffoni. In un’altra occasione il piccolo perverso-polimorfo è  scoperto da sua madre con le mutandine calate, intento a spingere nell’aria il pistolino. Riceverà nuovi “schiaffi secchi e nervosi”. Inutile dire che quando, col tempo, si ammalerà, finirà per convincersi che i suoi dolori altro non siano che la giusta punizione celeste per i suoi peccatucci “con Mauro e da solo”. Divenuto adulto, Mario inizia a frequentare il pittoresco mondo  dell’avanguardia artistica, ma trova anche il tempo di sviluppare un intenso affetto per il nipotino Teo e di definirlo addirittura “il mio piccolo idolo nella bacheca del cuore”. E proprio con lui ripeterà l’antico gioco ad azzuffarsi già praticato nell’infanzia con il figlio del  muratore (Mauro). Un giorno, sulla sponda di una piscina, zio e nipote si strusciano a vicenda finché allo zio accade uno strano fenomeno: il cazzo, sotto il costume, gli si fa curiosamente lungo e duro. Come se non bastasse, proprio in quel momento sopraggiunge la madre di Teo e, notando il dettaglio, afferra il piccolino per un braccio e lo porta via. Da quel giorno in poi guarderà con comprensibile sospetto il cognato. La situazione peggiora dopo che, in una successiva occasione, lo zio Mario va a prendere a scuola il nipotino Teo, ormai dodicenne, e, dopo vari giri in città, lo porta in casa sua, dove non trova di meglio che mostrargli le sue nuove orgette-collage, la croce anale di Waters e le foto dell’artista Renata Réfero  completamente nuda, oltre che se stesso nudo sotto la doccia. I genitori di Teo (ovvero il fratello e la cognata di Mario), nell’apprendere la cosa, entrano in allarme rosso.

Come ci ricorda la canzone “Tutte le mamme”, i figli, in genere, crescono,mentre le mamme, parallelamente, imbiancano. Le più sfortunate, a volte, addirittura si ammalano. È quanto accade alla mamma del Provera che, entrata in ospedale per delle semplici analisi, non ne uscirà più, se non per andare nei cieli (come da titolo). La reazione del Provera non sarà per niente trendy, ma ancora più datata e goffa delle performance di Relata Rèfero (la “vacca in blu”). Da un lato la parte ambientata all’ospedale Niguarda di Milano è la più tediosa del romanzo, dall’altro è anche inframmezzata da una serie di movimenti all’indietro che tentano di vivacizzarne la piattezza. La leucemia della madre del Provera, peraltro, ricorda da vicino l’idea centrale di quell’Angela prende il volo di Palandri che riscosse vivo successo al premio Mastronardi (Pallavicini era nella giuria), anche se in quel romanzo a  salire nei cieli toccava al padre:- >

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Questa la Quarta di Copertina de “Il Mostro di Vigevano”:

“Il protagonista della storia si chiama Marco Calibani. Ha un buon lavoro, una fidanzata, parenti e amici. E una sessualità esuberante. Fa sesso con la sua ragazza, con extracomunitari giovanissimi, con prostitute di colore. Inoltre colleziona video porno da visionare in solitudine o in riunioni di gruppo. Pagina dopo pagina Calibani – che del mostro ha almeno il cognome – ci racconta con ascetica minuzia i suoi incontri e le sue frustrazioni rivelandosi pochissimo dotato degli attributi classici della mostruosità. E lo conferma la fidanzata che interviene con qualche lettera dichiarando (anche lei!) un tradimento extracomunitario, ma soprattutto l’irrinunciabile amore per il suo Marco. Piersandro Pallavicini (che segnala en passant un romanzo di Bret Easton Ellis in una delle case che descrive) ordisce il suo racconto senza appesantirlo di giudizi, ma preoccupandosi di creare suspense nelle feriali ricorrenti trame dei suoi personaggi. E prima o poi il lettore avverte che c’è qualcosa di pericoloso nel modo che Calibani ha di parlare di cibo, di corpi, di affetti. Che la sua mostruosità si nasconde proprio lì: nelle parole con cui nomina e valuta le persone e le cose. (Gilberto Severini)”

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venerdì, luglio 22, 2005 

PIERSANDRO PALLAVICINI, “Atomico dandy” (1)

“Bevo solo metà del caffè, che è pessimo oggi più di ieri”. 

Che cos’è? 

Semplicemente una delle prime informazioni che ci passa Vittorio Nuvolani, il protagonista (nonché  io narrante) del nuovo libro di Piersandro Pallavicini, “Atomico Dandy”, Feltrinelli editore.

 Di colpo – da pedante ex insegnante di lettere – mi distraggo per domandarmi: ‘Si può dire ‘più pessimo di ieri’?’;  ‘Si può dire – che è la stessa cosa – ‘più cattivissimo di ieri’?”.  ‘Ma sì’, mi rispondo, ‘la mimesi del parlato consente tutto’. E passo senza ulteriori indugi al secondo capitolo, dove Piersandro, pardon, Nuvolani, rievoca una mancata scopata tra uno studente imbranato (ma griffato Burberry, Pringle, Dior e Zegna) e una ragazza che veste  – orrore degli orrori – Benetton e Superga. L’aggettivazione, fin da subito, è quella tipica di Pierpalla: “immenso, cool, oltraggioso, vintage*, forsennato,  incommensurabile, abnorme…” La frase più bella? Questa:

“Io, allora, potente come un Silver Surfer cattivo, l’avevo staccata da me, le avevo preso il viso fra le mani e GUARDATA DA UNA MIA GALASSIA LONTANA” [il maiuscolo è mio] (p.23) 

Nel terzo capitolo Nuvolani non è più imbranato, ormai sa dove infilare la lingua e anche il resto. Sì, sono passati gli anni e le cose sono “terribilmente mutate”. Ma ecco che si profila all’orizzonte una suora…


* Sostantivo aggettivato

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PIERSANDRO PALLAVICINI, “Atomico dandy” (2)

Ma, amici lettori, insieme a Pallavicini (che salta continuamente dal 2002 al 1986), facciamo anche noi un bel salto indietro: un po’ più lungo dei suoi, a dire il vero, perché ci trasferiamo sì negli anni Ottanta, ma dell’Ottocento. Ebbene, cosa resterà di quegli anni Ottanta afferrati già/scivolati via, ci domandiamo con Raf?  La risposta, per comodità, ce la facciamo dare da un professore della Sorbona: 

«Montesquieu, nelle sue “Considérations sur les causes de la grandeur des Romains et de leur décadence” presentava la storia di un grande corpo politico che moriva per l’eccesso stesso della sua grandezza. Implicitamente paragonava alla decadenza dell’Impero romano quella della Francia del XVIII secolo. Gli uomini che vissero alla fine del XIX secolo fecero a loro volta questo paragone: Baudelaire parla nel suo saggio su Constantin Guys (1863) delle “decadenze”, cioè di quelle epoche tormentate, transitorie, “in cui la democrazia non è ancora onnipotente e l’aristocrazia è ancora solo in parte vacillante e avvilita”. Quella in cui egli vive appartiene a questo tipo ed egli si ritroverebbe perfettamente nel secolo di Apuleio. Il “Sâr”(1) Péladan (1859-1918) compone un vasto ciclo di romanzi, una “etopea”, per rappresentare e condannare i costumi moderni corrotti dal materialismo: l’intitola “La décadence latine”. Péladan condanna la decadenza. Altri, invece, provano per essa una invincibile attrazione. “Io sono l’Impero alla fine della decadenza” proclama Verlaine nel sonetto “Langueur” (1883). Tra questi due atteggiamenti il dandy si trova in una situazione ambigua. Cercando di sostituirsi all'”aristocrazia vacillante e avvilita”, volendo dare alla sua epoca e grazie all’arte uno splendore che le manca, si oppone alla vita moderna. E tuttavia ne è il prodotto. Deve adorarsi o disprezzarsi? Questa è in fondo l’incertezza che circonderà il Des Esseintes di Huysmans, tipo, ma anche caricatura del “decadente” (“A rebours”, 1884)…   Per aver abusato dei piaceri che gli procurava la sua ricchezza, Jean des Esseintes, rampollo di una nobile famiglia in via di degenerazione, ha preso disgusto per la società e si è rinchiuso nella solitudine della sua dimora di Fontenay-aux-Roses dove assapora le sensazioni di una vita posta interamente sotto il segno dell’artificio (organo per liquori, fiori naturali che imitano i fiori finti)… ma, inseguito dalla sua nevrosi e costretto ad abbandonare la sua dorata esistenza di cenobita, Des Esseintes implora il dio dei cristiani: le sue tendenze verso l’artificio, i suoi bisogni di eccentricità, in fondo non erano forse nient’altro che “dei trasporti, degli slanci verso un ideale, verso un universo sconosciuto, verso una beatitudine lontana”.»  (Pierre Brunel, “Storia delle letteratura francese”, Editrice Il Delfino, Bologna).

Tutte queste cose Vittorio Nuvolani, il protagonista di “Atomico Dandy”, le sa benissimo e non fa nulla per nasconderle, anzi vi accenna più volte (pag 49, pag. 50, pag. 63…), non fosse che lui, come Rita Hayworth, è “atomico”…

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PIERSANDRO PALLAVICINI, “Atomico dandy” (3)

Mentre andavo avanti con la lettura, è uscita in Vibrissebollettino.net la meticolosa rece di  Badimona (Bartolomeo Di Monaco), che come critico è senz’altro più serio e affidabile di me. Come dire: diffidate di queste mie noterelle e confidate piuttosto nelle sue. Io, purtroppo, tendo a  stancarmi di *quasi tutti* i libri che pur comincio con le migliori intenzioni (compreso il pipernesco ‘Con le peggiori intenzioni’). Dopo il primo centinaio di pagine – salvo casi eccezionali – cedo alla tentazione di saltare dapprima qualche periodo, poi delle mezze pagine, poi delle intere pagine e così via, sempre più impaziente di correre verso il  finale e passare ad altro. Confesso che la storia di questo dandy  un po’ ridicolo (che pensa di assomigliare a Des Esseintes solo perché veste Ermenegildo Zegna e aborrisce i papillon con l’elastico… i PAPILLON? ma per piacere!) mi ha preso abbastanza poco. Ho ritrovato  ingredienti e situazioni già utilizzate nel romanzo precedente (‘Nostra Madre che Sarai nei Cieli‘): il doppio voltaggio sessuale del protagonista, le triangolazioni amorose marito-moglie-negrone di turno, il mito per tutto ciò che è grosso e turgido (con particolare riferimento a capezzoli e cazzi: per Pallavicini,  evidentemente, “SIZE DOES MATTER!”:

qui un negrone ce l’ha di 24 centimetri), la mania della filodiffusione, la vita perennemente scandita da sottofondi musicali *come nei film* (se poi si tratta di un bootleg dei Mott the Hoople è festa grande!), eccetera.  

 Il tentativo di inserire la vicenda in un contesto storico più ampio ed emozionante (scontri Libia-Usa, Chernobyl) mi è parso abbastanza inane a sua volta (“Gli stronzi Stati Uniti d’America, poi, avevano attaccato”, “Le reazioni del libico Culatton Supremo e dei pazzi sovietici e peggio ancora dei cinesi…”, “mentre Craxi lasciava il campo a una reazione proterva del vecchio De Mita”… eccetera).   

La tanto attesa suora menzionata nella puntata n.1 ha uno sviluppo narrativo deludente: si chiama addirittura Consy, quasi come la Sconsy di Anna Maria Barbera, e semplicemente si dedica al recupero dei tossicodipendenti (fra i quali, tanto per movimentare un po’ la vicenda, il figlio del prof. Sormani, boss di Nuvolani all’università).   

Certo, Pallavicini scrive bene [salvo qualche passaggio sconcertante del tipo: “Mi ero ripetutamente masturbato fantasticando di accoppiarmi con GIOVANI neri, bianchi, asiatici, ***di sesso sia maschile che femminile*** “(p. 227)] e molte pagine appassionano. Interessante, per esempio, è il montaggio della vicenda, con salti indietro e in avanti nel tempo (ma il suo 2009 non è molto diverso dal 2005: la gente continua imperterrita a emailarsi, la filodiffusione a mandare “una musica pop italiana, struggente e anni ’60, scelta dall’impiegato in time sharing audioleso e maleducato” e l’unica vera *novità da premio Nobel* è proprio quella inventata da Nuvolani: un computer molecolare o Chemputer). 

Voto complessivo: 6 ½ 

P.S. Questa recensione mi attirerà l’odio degli scrittori: Jadelin Mabiala Gangbo, Raul Montanari, Antonio Moresco, Tiziano Scarpa e Dario Voltolini; degli editor Gabriella D’Ina e Alberto Rollo, degli scienziati Luigi Fabbrizzi, Jean-Pierre Sauvage e Jean-Marie Lehn; dei musicisti Dimitri from Paris, Bryan Ferry e Stephane Puompougnac, oltre che di Christian Patrick Mbondo e di Manola Dettori, moglie di Pallavicini, che li ringrazia in una pagina a sé (la 325) per aver contribuito – consapevolmente o inconsapevolmente – alla costruzione del suo romanzo. E naturalmente di Pallavicini stesso:-)

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venerdì, novembre 26, 2010

PIERSANDRO PALLAVICINI: PROMOSSO

Dopo aver strapazzato un po’ i precedenti “Madre nostra che sarai nei cieli” e “Atomico Dandy” (vedi archivio di questo blog, rispettivamente alle date 22 luglio 2005 e 12 settembre 2005), devo dire che ho trovato l’ultimo libro di Piersandro Pallavicini, “African Inferno“, notevole. L’antico frequentatore di it.cultura.libri è decisamente maturato, dal punto di vista letterario. 
L’argomento del libro? Be’, lo stesso dell’installazione di cui a pag. 324:

“Rappresenta con grazia lo scontro tra l’immanenza del magico nell’Africa del nuovo millennio e la volontà di cancellazione dell’irrazionale imposta dalla nichilistica supremazia della tecnica nel mondo occidentale”.

Ma ci ritorno. Complimenti a Piersandro. Buon weekend.

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lunedì, novembre 29, 2010

QUEL DEFICIENTE DEL CANE DEGLI OMODEO

(Piersandro Pallavicini) 

«Mi sento uno stupido e forse lo sono, ma ho il cuore in gola. Così che adesso, quando scendo dalla Mini davanti a casa e mi arriva alle spalle lo scoppio di latrati di quel deficiente del cane degli Omodeo, io salto all’indietro con una specie di urlo disarticolato. Si lancia verso di me contro la rete metallica, il lupo coglione.
“Crepa!” gli ringhio io.
E lui giustamente abbaia di più, abbaia come un ossesso, e si lancia di nuovo contro la rete come se volesse sfondarla col muso pur di azzannarmi alla gola, e mi accompagna a quel modo lungo i dieci passi sul sentiero in ghiaietto che mi conducono alla porta di casa.
Càgat adòs!” gli strillo: nella surreale speranza che, usando il dialetto dei suoi insopportabili padroni, lo stupido pastore tedesco riesca a cogliere il significato. L’odioso cane Fonzie. Pronuncia Fonzi. Ribattezzato all’istante Stronzi.
Càgat adòs, marcione!” gli urlo ancora, provocandolo, con un’altra folle speranza: che il cane Stronzi, a forza di musate contro la rete, possa procurarsi almeno una commozione cerebrale…»

(Piersandro Pallavicini, African Inferno, Feltrinelli 2010, pp. 30-31)

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martedì, novembre 30, 2010

CHI HA PAURA DELLA FABULA?

« La fabula – ci ricorda Wikipedia –  è l’insieme degli elementi di una storia visti nel loro ordine logico e cronologico… Si contrappone all’intreccio che è l’insieme degli elementi della storia nella successione in cui l’autore li dispone. Quando fabula e intreccio non coincidono emergono, allora, le analessi e le prolessi. Le analessi, che nel film sono chiamati flashback, sono racconti di fatti accaduti in precedenza (ricordi, esperienze passate, memorie, ecc..). Le prolessi sono invece le anticipazioni di eventi successivi.»

Un patito assoluto dell’intreccio è Piersandro Pallavicini, che non seguirebbe la successione logica e cronologica degli avvenimenti nemmeno sotto tortura. Non lo fa, di conseguenza, in “African Inferno“, dove si parte dall’11 marzo 2004 (cap. UNO), ci si sposta a domenica 15 giugno 2003 (cap. DUE), si ritorna a lunedì 15 marzo 2004 (cap. TRE) e così via fino alla fine. Analessi e prolessi a gogò, dunque, tanto da ingenerare nel lettore uno strisciante, ma sempre più insistito desiderio di fabula… 🙂

Scrivevo a proposito di “Atomico Dandy” nel lontano 2005:

« Ho ritrovato  ingredienti e situazioni già utilizzate nel romanzo precedente (‘Nostra Madre che Sarai nei Cieli’): il doppio voltaggio sessuale del protagonista, le triangolazioni amorose marito-moglie-negrone di turno, il mito per tutto ciò che è grosso e turgido (con particolare riferimento a capezzoli e cazzi. Per Pallavicini, evidentemente, “SIZE DOES MATTER!”:

qui un negrone ce l’ha di 24 centimetri), la vita perennemente scandita da sottofondi musicali ***come nei film***… eccetera ».

Be’, quanto a negroni (soprattutto camerunesi), ce ne sono a iosa anche in African Inferno. Con due di essi il protagonista Sandro Farina finisce addirittura per coabitare. Farina ama sua moglie e sua figlia, ma soprattutto ama segretamente (si intuisce) il “fascinoso amico congolese” Joyce, regista, videoartista, scopatore infallibile Congo-garantito:

“Tu allora guardi verso la porta del bagno e basta, implorando che si apra e che il tuo amico congolese ritorni a illuminare di diamanti e di stelle questo locale che stasera è tutto sbagliato” (p. 15, mio il grassetto). 

Il suo membro è talmente ipertrofico da essere nicknamato “l’anaconda” e diventare protagonista di un corto in cui passa dallo stato di riposo a quello di erezione (“The rise and fall of the Black Emperor“: cazzo imperatore, ci si chiede, o imperatore del cazzo?) . 

Molto peso, come già in “Atomico Dandy“, hanno le notizie apprese da radio-tivù-giornali. In AD le vicende private altalenavano oziosamente con quelle storico-politche degli scontri Libia-Usa. Stavolta è il turno dell’Iraq, del Fabrizio Quattrocchi di ‘così muore un italiano’, di Al Qaeda e altri eventi del biennio 2003-2004. Ma in African Inferno i topic dell’attualità non sono un mero contrappunto, bensì influenzano precisi comportamenti di alcuni personaggi.  Torna puntuale, inoltre, la tipica attenzione dell’autore per cibi e capi d’abbigliamento griffati (“Indosso il mio  vecchio Barbour…”).

Importante, infine, di nuovo!, il colore blu.

Queste mie annotazioni, tuttavia, non vogliono anticipare alcun giudizio letterario di condanna, perché “African Inferno” mi è sostanzialmente piaciuto. L’amalgama dei pur tipici ingredienti pallavicineschi mi è parso riuscito meglio delle volte precedenti, l’analisi del razzismo nostrano da un lato e dei pregiudizi che gli immigrati africani, dall’altro, nutrono nei nostri confronti è convincente, la lingua sicura, inventiva e con un forte sapore di verità (vedi l’esempio del brano postato ieri). In definitiva ho avuto l’impressione che questo romanzo segni il definitivo ingresso di Piersandro Pallavicini nella rosa dei narratori italiani più interessanti del nostro tempo. 

Confesso di aver raggiunto il momento di massimo orgasmo letterario al capitolo VENTITRÉ… Dovete sapere che “Epitaph” dei King Crimson è – da sempre – uno dei miei pezzi preferiti, e l’epigrafe del capitolo ventitreesimo recita appunto:

Confusion/Will be my epitaph

🙂

http://www.youtube.com/watch?v=eiJy2GT_fBQ

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APPENDICE:

2 DICEMBRE 2005

Il 30 giugno del 1998 Piersandro Pallavicini fu travolto dall’improvviso desiderio di contattare Hanif Kureishi. Ce lo dice Google/Groups, che – come è noto – non perdona :- )

Newsgroup: uk.adverts.books/Da: Piersandro Pallavicini  *****/Data: 1998/06/30/  

Oggetto: Hanif Kureishi – a contact?

“I’m an italian novelist and journalist. Need a contact with UK writer Hanif Kureishi (e-mail, or snail mail). Any one could help? If so, thanks from the deep of my heart!”(Piersandro Pallavicini ).

Non so se il nostro atomico Pierpalla riuscì a beccarlo. Fosse ancora interessato, sappia comunque che  – carramba che sorpresa! – oggi… Kureishi è… quiiiiiiiii! (Qui a Venezia, intendo):

Ecco, dalla stampa locale (il solito Gazzettino), la ghiotta notizia per gli estimatori dello scrittore:

Lo sceneggiatore anglo-pakistano Hanif Kureishi a Venezia per una mostra e una rassegna di film  

VENEZIA – Lo scrittore e sceneggiatore anglopakistano Hanif Kureishi sarà nei prossimi giorni a Venezia per l’inaugurazione alla Galleria d’Arte Traghetto di “Nightlight“, mostra di dipinti dell’artista veneziana Serena Nono ispirati al racconto omonimo del narratore anglo-pakistano. Nell’occasione il Circuito Cinema Comunale gli rende omaggio con una rassegna dei suoi principali lavori cinematografici. La rassegna, dal titolo “Hanif Kureishi , scrittore di cinema”, prenderà il via questa sera al Giorgione con la presentazione di “Intimacy – Nell’intimità” di Patrice Chéreau, preceduta alle ore 21 da un’intervista all’autore della giornalista Irene Bignardi, critico cinematografico e fino a pochi mesi fa direttrice del Festival di Locarno (ingresso a pagamento). Il ciclo proseguirà successivamente alla Videoteca Pasinetti con “My Beautiful Laundrette” di Stephen Frears (lunedì 5 dicembre ore 17.30/21), “Sammie & Rosie vanno a letto” ancora di Frears (mercoledì 7 dicembre ore 17.30/21), “Mio figlio il fanatico” di Udayan Prasad (venerdì 9 dicembre, ore 17.30/21) e infine “The Mother” di Roger Michell (lunedì 12 dicembre ore 17.30/21). Ingresso soci Pasinetti. La mostra “Nightlight” sarà inaugurata alla Galleria d’arte Traghetto (Campo Santa Maria del Giglio) venerdì 2 dicembre alle 18, presenti Serena Nono e Hanif Kureishi . Resterà aperta sino al 10 gennaio, nei giorni feriali, dalle 15 alle 19, con ingresso libero. 

(Serena Nono con Hanif Kureishi)